Justice League – La Torre di Babele: la zona grigia del supereroe

Justice League – La Torre di Babele

la zona grigia del supereroe

Justice League

 

Che Batman sia uno dei più affascinanti supereroi del pantheon Dc Comics (e non) è un fatto assodato: l’uomo che tenta di farsi “super” con le proprie, esclusive, capacità intellettive e fisiche (e, sicuramente, anche qualche miliardo di dollari) e che subisce, più di altri “eroi”, l’ingerenza dell’emotività umana.

Ed è proprio da uno dei sentimenti umani più primordiali che ha avvio il ciclo La Torre di Babele.

È già capitato, e capiterà ancora, nessuno se lo augura ma, a conti fatti, è una possibilità da non sottovalutare: se ci dovesse essere la necessità, qualcuno dovrà fermare i più potenti supereroi della terra. Superman può impazzire, Wonder Woman condizionata da qualche super cattivone, Flash potrebbe essere plagiato, Lanterna Verde condizionato. Se questo dovesse accadere, qualcuno dovrà pur fermarli. L’unico eroe abbastanza paranoico, antisociale e, francamente, lungimirante che può farlo è proprio Batman.

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Batman, nel corso degli anni, ha segretamente escogitato dei metodi per fermare i suoi migliori amici e collaboratori. Non per cattiveria o con mire da conquistatore, ma per precauzione. “Metti che…” e Batman sarebbe stato pronto a contrastare ogni problema.

Ma, sfortunatamente per la Justice League, il potente ecoterrorista Ra’s al Ghul è riuscito a rubare tutti i piani, tutti i trucchetti e persino le armi escogitate da Batman e le sta usando contro i membri del supergruppo. Lo scopo di Ghul è quello di poter agire indisturbato mentre, grazie ad un segnale che confonde le facoltà linguistiche e cognitive, il mondo di autodistrugge.

Scritto da Mark Waid ed illustrato (principalmente) da Howard Porter, il racconto si sviluppa su un perno narrativo dalle forti ripercussioni: può la JLA fidarsi di un loro compagno che, dato proprio il ruolo “privilegiato” di compagno di squadra, conosce le loro debolezze e trova il modo di usarle per sconfiggerli?

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Il dramma universale, il plot con il villian di turno, il mondo in pericolo – elemento cardine dell’azione supereroistica – vanno del tutto in secondo piano rispetto alla questione della fiducia. Dalla quale scaturiscono questioni legate allo statuto stesso del supereroe: Batman fa bene a premunirsi contro i suoi superamici o la fiducia viene prima di tutto? L’eroe, idealmente, è senza macchia e senza paura, non si muove nelle zone grigie dei rapporti interpersonali, non agisce alle spalle di qualcuno, specie dei collaboratori. Eppure, Batman non lo ha fatto per fini egoistici o per megalomania, lo ha fatto perché conscio che, nel momento del bisogno, lui avrebbe potuto difendere l’umanità. Avrebbe potuto fare fede alla propria, incrollabile, promessa.

Se l’apparato grafico è di indubbio mestiere, la sceneggiatura si concede ad una narrazione estremamente pungente e coinvolgente, ricca di spunti di riflessioni e, soprattutto, realistica: nelle nostre vite, almeno una volta, ognuno di noi, ha avuto un amico che ha “tradito”, seppur in buona fede, la nostra fiducia. Oppure siamo stati noi stessi quell’amico. Dunque, chi effettivamente può biasimare Batman?

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Leonardo Cantone

 

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