Scarlet, al secolo Rossella Sicignano, si presenta al grande pubblico col suo album di esordio “Wonder”, pubblicato lo scorso 5 Aprile per l’etichetta salernitana Luma Records.
Le otto tracce che formano l’LP sono principalmente di stampo rock leggero, almeno nella forma, pur mitigando qualcosa a macchia di leopardo.
Discorso diametralmente opposto, invece, per quanto riguarda i contenuti. L’animo tormentato dell’autrice si manifesta sin da subito con sfumature malinconiche, attraverso racconti introspettivi, ma capace anche di reazioni di forza.
Il brano iniziale dà anche il nome all’opera. Sorvolando sull’utilizzo di rime elementari (a fronte di tematiche da laurea o master), rese sicuramente necessarie dal bisogno comunicativo, l’attenzione si sposta sin dal principio sulla chiave interpretativa del canto. Alcune soluzioni destano “meraviglia”. Un gioco di equilibrio tra l’eccesso di fiducia e il dovere di ravvivare la linea melodica. Tutto si risolve in un ritornello che “acchiappa”, si fa riconoscere e canticchiare già all’impronta.
Per Demon, seconda canzone della tracklist, è stato girato anche un video a scopo promozionale. L’intro si pone musicalmente a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta, con un mix ben riuscito. Da lì in poi il pezzo si fa rockeggiante a tutti gli effetti. Carino il solo di “intenti” di chitarra, contestualizzato, mentre la voce di Scarlet a tratti richiama l’Anouk che tutti vorremmo ricordare. Lodevole la scelta di estrarlo come “singolo”.
In Take me back il mare rappresenta il luogo dove il dolore, misto a paura e malinconia, si sublima nel riscatto e nel dovere di fronteggiare qualcosa o qualcuno che, lasciatemelo dire, alla fine ha anche un po’ rotto il cacchio. Il fade out finale smorza un po’ la tendenza a troncare di netto le canzoni.
Interpretato e sentito come un lento, Behind, esprime con tratti delicati la piena consapevolezza di essere rimasti per troppo tempo impantanati in una relazione dannosa e negativa. Una ripresa che genera quiete e viene fuori tutta. Musicalmente si arricchisce con interventi di archi che danno un tocco in più all’atmosfera, mentre il falsetto sugli accenti forti rimanda alle connotazioni tipiche della compianta Dolores O’Riordan.
Non a caso il pezzo successivo si intitola “Youuh”, che traduco come espressione di gioia, di soddisfazione. Tuttavia se una protesta può essere intesa come tale, a mio parere, dovrebbe essere intrisa di energia, nel mondo del pallone la chiamerebbero “rabbia agonistica”. La grinta c’è ma manca la zampata decisiva che lasci stecchiti.
Segue Layne. I testi brevi e concisi non lasciano spazio a grandi fughe interpretative sui temi trattati. Nel caso specifico si tramuta in un forte vantaggio, in quanto è palese l’intento di buttare fuori un disagio intimo, senza troppi filtri. La chitarra acustica, qui, può accompagnare solo.
In Another gli arrangiamenti sono ben concepiti ed eseguiti. Tuttavia, si sente chiaro l’intento di una composizione che debba essere strettamente (o unicamente) propedeutica alla canzone, intesa come “idea, chitarra e voce”. Mancano di conseguenza la verve e il carisma tali da tenere l’ascoltatore incollato con le orecchie alle casse e partecipe, almeno nello spirito. La pausa sul finire, con relativo “reprise” (chiamiamolo così), non mi hanno destato particolari sensazioni, pur comprendendo pienamente il bisogno, in quel momento, di dover smuovere qualcosa.
Arizona si descrive così: ambiente, slide di chitarra, bisbiglio del vento e overdrive. Il brano conclusivo di Scarlet illustra, in senso lato, una porta che ci si apre davanti. Sta a noi prenderla e lanciarci con vigore e nuova linfa sulla strada sconosciuta che c’è dietro.
Il commento
Con Wonder gli animi più sensibili faranno un bel viaggio tra le emozioni più nascoste della personalità di un uomo (o donna), quelle che di rado mettiamo nelle mani degli altri, quelle che raccontano il nostro dolore. Da affine mi sento di dire che vale la pena munirsi di biglietto.
La forma musicale, piantata sul rock leggero, non sconvolge. I ritornelli, belli, cantabili, tutti azzeccati, aiutano a dare una certa orecchiabilità all’opera e ciò non guasta mai. Per tal proposito godrà di maggiore distribuzione di pubblico. Ripetitivo ma intelligente l’uso di dinamiche molto differenti tra strofa e refrain, al fine di sfruttare a pieno le capacità di una voce non proprio potente ma “giusta”, che declina perfettamente le sensazioni che vive e fa vivere durante l’ascolto.
Mario Aiello