Songs Of Mercy And Desire. Ecco la terza opera Di Elli De Mon

Elli De Mon mitiga parzialmente le sue più vivaci attitudini. Songs Of Mercy And Desire è un album che trasmette emozioni e lo fa con un’attitudine infinitamente blues, e non solo

Il terzo LP della one woman band Elli De Mon è uscito venerdì 16 Novembre. Una data che gli amanti del blues e dello slide dovrebbero annotarsi. Non solo, Songs Of Mercy And Desire può far leva anche su digressioni folk e ‘country’, volendo, al fine di accattivare l’attenzione di una vasta platea. Il corredo non finisce qui, con una cover d’impatto e qualche ballad, il ventaglio si apre ancor di più, lasciando alla curiosità i piccoli innesti che, trascendendo il genere di partenza, fanno capolino durante l’ascolto. Cos’altro si può chiedere? Una cosa sola. La dico alla fine.

Elli de Mon - Songs of mercy and desire

Elli de Mon – Songs of mercy and desire (Copertina)

Per non inimicarci nessuno, ricordiamo che il disco esce sotto la cappa aurea della ‘serenissima’ Pitshark Records. Inutile dilungarsi oltre, meglio proiettarsi nella produzione che le chiacchiere stanno sempre a zero.

UNDICI TRACCE, UNA COVER E MOLTO MOLTO SLIDE

Sulla questione ‘Cover’ non sono certo ce ne sia solo una. Socrate diceva “so di non sapere”, mi accodo sommessamente e cerchiamo di essere subito chiari. Preambolo a parte, in alcuni frangenti la sensazione di ‘tributo’ o ‘omaggio’ è forte, fuorviante, ma sempre sul pezzo, coinvolgente e mai oltre contesto.

Apre le danze Louise e senza troppi giri di parole fa capire in pochi secondi cosa andremo ad ascoltare da qui alla fine. Lo slide – ovvero quel suono ‘trasportato’ che si riproduce con un arnese di vetro o ferro fatto scivolare sulle corde della chitarra – la fa da padrone assoluto. Il sospetto si possa trattare di una chitarra slide è fondato ed in tal caso la musica cambia perché in Italia è meno comune dell’oboe. L’impronta è blues, vena moderna ma non troppo.

Segue Let Them Out. Infarinatura come sopra. Dinamiche maggiormente articolate e nelle fasi meno cogitate risulta particolarmente intellegibile le voce che, ahimè, soffre la presenza degli altri strumenti e sopratutto la chitarra distorta. Il pezzo è orecchiabile e traduce in musica il messaggio che veicola, cioè, il sentirsi liberi mentre si lasciano fuoriuscire sensazioni negative.

Il folk acustico di Riverside è, a mio parere, la vera dimensione di Elli De Mon in questo album. Anche la voce viene fuori meglio e ciò aiuta parecchio mentre la chitarra dai suoni rotondi ed alti squillanti accompagna il racconto delle storie fatte di mancanze e lunghe attese emotive, proprio fisicamente, sulla riva del fiume.

Elegy ci catapulta in un western alla Tarantino. Le battute iniziali, scarne di strumenti, puntano tutto sul timbro della cantante. Man mano che il pathos cresce, aumenta pure la sensazione di trovarsi in scena. Potere della musica.

A questo punto viene fuori il primo ‘jolly’, il sitar. Chambal River, ovviamente, richiama sonorità indiane ma, in questo caso, fuse direttamente su un’impostazione blues. Il riff che all’istante trova spazio nel lobo frontale dello spettatore e i vocalizzi konnakol sul finale fanno il resto. Certe culture bisogna viverle per riprodurne, anche parzialmente, le atmosfere. Onore ad Elli De Mon.

NON SO SE L’ARCHITETTURA INDIANA PREVEDA LA ‘CHIAVE DI VOLTA’.

SIAMO COMUNQUE ALLA META’ ESATTA DEL VIAGGIO.

Wade The Water si può brevemente riassumere come una sorta di “brano impressionista”. Eclettico, vibrante e cadenzato. Volendo inflazionare il richiamo cinematografico, un regista qualsiasi, se potesse, lo userebbe forse fino alla nausea.

Onestamente ci ho messo un po’ a riconoscere l’omaggio che si cela dietro Grinnin’ In Your Face. Certo, è elementare per i più, ma per quanto ascolti musica continuamente, restano enormi le zone buie. Per fortuna il sopracciglio inarcato ha innescato il giusto meccanismo mnemonico e nulla è stato lasciato la caso. Son House l’ha resa immortale utilizzando solo voce e mani, il ‘clap’ (battito). Qui il tributo è più complesso ma il clap, appunto, ricopre un ruolo chiave, come esige il dogma che impera sul genere (assieme alla cassa in quattro e l’arpeggio).

Purtroppo non ho percepito grossi sussulti in Storm. Resto perplesso, ma non fa male. “Somebody save my soul” e ci si mette in fila volentieri.

Granpa dimostra che la fase puramente “elettrica”, in Songs Of Mercy And Desire, non porta con sé la dote che ci si aspetta. Elli De Mon, qui, ancora una volta, si esprime meglio con arpeggi e sfumature puramente acustiche. Personalmente ho gradito le piccolissime imprecisioni sul pizzicato, a quasi totale conferma del fatto che c’è realmente una chitarra slide: ditemi quel che vi pare, io ‘ste cose le adoro.

Flow segue un flusso più “canonico”, non a caso i termini sono ridondanti tra loro. La canzone, che anche le orecchie meno allenate percepiranno come tale, nell’economia del disco ha tutta la ragione d’esistere.

Chiude il sipario Tony, dove spiccano altri due ‘jolly’: il primo è il contrappunto vocale di Phill Reynolds che smuove un bel po’ di cose, in bene, anzi, in meglio, molto meglio; il secondo è il sax che è uno spettacolo di imprinting emozionale. Lo sottolineo, anche se sembro Lapo Elkann: imprinting emozionale!

Elli de Mon - Songs of mercy and desire

 ARRIVEDERCI A PRESTO. ORA, TUTTI A COMPRARE UNA CHITARRA RESOFONICA

Prima di dire cosa secondo me è mancato a questo bel disco, Songs Of Mercy And Desire, è bene capire che l’album è certamente un racconto biografico, o magari auto biografico della brava Elli De Mon, ricco di esperienze e sensazioni che spaziano dal personalmente intimo al rudimentalmente collettivo. Tutto preso, così com’è, e messo in musica. Sembra semplice, ci riesce uno su centomila (magari meno. Sì, meno). Se aveste un attimo di pietà circa l’uso omicida che faccio degli avverbi di modo, avreste la lucidità per comprendere: la voce è rimasta imbrigliata in un missaggio perfetto in studio, con monitor a risposta piatta e impeccabili, ma con un banale riproduttore multimediale e delle cuffie in-ear nella media le cose cambiano ed io impreco perché tutto gira attorno a lei, la voce. Ne volevo di più.

P.S.

Se la comprate la chitarra resofonica, tenete a mente di accordarla il SOL ‘aperto’.

Mario Aiello

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