Dopo vent’anni di attività, Piotta sta ancora troppo avanti

Tommaso Zanello, in arte Piotta, ci regala grandi pezzi dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso. Alcuni di voi lo conoscono per il tormentone Supercafone e sbagliano, perché il nostro caro Tommaso ha tanto altro da raccontare.

Il 28 settembre ha pubblicato ufficialmente il suo nono album, “Interno 7”. Il 21 settembre è comparso il lato A sulle piattaforme digitali, il 28, invece, è stato reso disponibile anche il lato B ed il cd è entrato in forma completa anche nei negozi. Come mio solito, volevo saperne di più ed ho chiesto all’autore di approfondire il discorso, con un viaggio tra presente e passato.

Piotta

Ciao, Tommaso! È un piacere ed un grande onore per me scambiare quattro chiacchiere con te. Facciamo un viaggio insieme nel mondo di Piotta. Il 28 settembre è uscito il tuo nuovo lavoro “Interno 7”. Cosa significa per te questo disco e precisamente cos’è questo interno 7.

È la casa dove son o cresciuto, a Roma. È la casa dove sono arrivato ad un anno e sono rimasto stabilmente fino al 2000, salvo tornarci per le varie festività. È, anzi era, visto che ora non ci sono più entrambi, la casa dei miei, la stanza del figlio.  

In quest’album hai abbandonato i toni più rock e graffianti per riavvicinarti alle chitarre acustiche e al pianoforte.  A cosa dobbiamo questa virata?

Al fatto che è un disco molto emotivo, di ricerca interiore, dove mi metto a nudo. Sono pezzi nati chitarra e voce e piano e voce, e volevo che, al di là dell’arrangiamento, questa anima messa a nudo venisse fuori il più possibile. Qualcuno lo ha definito un disco cantautorale, il nono di Piotta, o forse il primo di Tommaso.

Un particolare intrigante del disco è la distinzione tra lato A e lato B, proprio come per i vinili e le musicassette. Una scelta nostalgica, così come appare anche il disco, che ripercorre le tue memorie e i tuoi ricordi. Cosa è successo in questi anni? 

Di tutto e di più. Un lato A dove sono completamente da solo, un lato B con alcuni ospiti strettamente legati all’album, e per vicinanza umana e per musicalità. Dal compianto David (Primo Brown) alla street poetry del poeta anonimo romano Er Pinto, dalla struggente emotività popolare dell’Orchestraccia a quella urban dell’australiano Dub Fx.  

Nel brano “Solo per noi” si percepisce, tra i tanti, un riferimento ad alcuni luoghi della tua memoria. Quali sono i posti in cui ti identifichi a Roma? Qual è la vera capitale di cui parli nei tuoi brani?

In realtà in Solo per noi i riferimenti sono soprattutto a Tortoreto Lido, come nel video omonimo. Di Roma c’è però quel “prato arrugginito di centro città” – che poi è il pratone di Villa Ada – e l’Università La Sapienza, soprattutto legata agli anni in cui la frequentavo io. Premesso: questo l’album è pieno di volti, nomi, persone, posti che ho cercato di rendere il più universali possibili, perché ognuno ha il suo Interno 7, la sua città, il suo luogo del cuore, il suo mare, il suo lago, la sua stanza in cui è cresciuto.

Restando in tema riferimenti, in “Interno 7” se ne notano svariati agli anni del tuo esordio, come ad esempio in “Maledetti quegli anni 90”. C’è qualcosa di cui ti penti, qualcosa che se potessi tornare indietro cambieresti?

In realtà non c’è proprio alcun riferimento ai miei esordi.  In “Maledetti quegli anni 90” non parlo di musica né di lavoro, è un brano dedicato a mio padre, un ultimo dialogo tra me e lui sulle rive del lago di Bracciano, il posto dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, fino al 5 luglio. Comunque non cambierei nulla, tornerei solo indietro per godermi tutti quegli attimi di amore profondo che ho vissuto con e per la mia famiglia.

Facciamo un piccolo salto nel passato. Il successo ti è inizialmente arrivato con la pubblicazione del singolo Supercafone. Piotta, però, in questi anni ha sperimentato vari generi. 

Adoro sperimentare, da sempre. Nella musica sono un perenne navigatore, so da dove vengo ma cerco di toccare tante coste ed ogni volta di lasciare un segno e mescolarmi con le altre culture, gli altri suoni, gli altri background, per me la musica è ricerca. Ed è quello che ho fatto, che faccio e che farò fino all’ultimo album.

A volte la ricerca è repentina, a volte serve un tempo di maturazione maggiore, perché ogni semina ha i suoi tempi ed i suoi frutti.

Piotta

Sei ancora legato a quel brano oppure senti un rifiuto di quel periodo? Cosa ne pensi dei tormentoni, tra vecchi e nuovi, e del fatto che spesso il pubblico leghi (ingiustamente) una sola canzone ad un artista?

Non me ne curo, nel senso che penso tutto il giorno a tutte le cose che ho ancora da fare, piuttosto che a quelle già fatte. Il pubblico che mi segue con assiduità e amore sa bene come sono e lo spettacolo che offro, e come me è interessato ad uno show completo, di spessore, che racconti un cammino ventennale che va dai pezzi più hardcore a quelli più intimi di Interno 7 , passando per una hit multi generazionale come La Grande Onda.
In ogni decennio ho piazzato un pezzo di massa e ne sono contento, dai novanta con Supercafone, ai 2000 con La mossa del Giaguaro, agli anni zero con 7 vizi Capitale. Con una battuta potrei dirti che ora sto pensando a quella degli anni 10. 

Bene, per l’appunto, poco più di un anno fa compariva sulla piattaforma Netflix la serie italiana, anzi super romana, “Suburra”. Se la sigla finale “7 vizi capitale” è una bomba, un ringraziamento va ovviamente a te e ad Il Muro del Canto. Ti va di raccontarci quest’esperienza?

È una canzone che ho scritto in un giorno di pioggia, d’inverno, in questa Roma Cruda così diversa da quella che cantavo negli anni 2000 nel Mambo del Giubileo. Poi è stato arricchito dal featuring de Il Muro del Canto e 3 anni dopo è stata scelta come sigla internazionale della prima serie italiana prodotta da Netflix; da lì un susseguirsi di complimenti in tutte le lingue del mondo. Potenza della musica, puoi fare il giro del mondo senza muoverti dallo studio in cui si scrive e compone un brano.  

“Lei è un grande professionista, però, vede, lei è ancora legato ad una certa romanità che ci ha rotto un po’ le palle”. Sicuramente queste parole non ti suonano nuove, perché è l’intro del tuo brano “Troppo Avanti” con Caparezza. Ed è proprio da questa frase che sorge spontaneo chiederti quanto è importante per un artista essere legato alle proprie radici e cosa ne pensi della “scena romana” odierna (indie e trap).

Credo sia fondamentale per ogni artista. Le radici sono tante, arrivano lontano e da lontano, perché vanno in ogni direzione. In me c’è tantissima di quella Roma che adoro ma c’è anche l’autentica vecchia Milano di mia madre, c’è l’affascinante Venezia di mia nonna, la calda Puglia di mio nonno materno e il caparbio Friuli dei miei nonni paterni, quel nord est che mi dà il cognome. C’è il multiforme Abruzzo in cui mi ritempro e c’è l’abbraccio di Bracciano, nell’amore come nel dolore. Senza radici non siamo niente, perché la nostra storia è la nostra memoria. La scena romana spacca, il piattume di molti a&r delle major si è diretto altrove e ci ha lasciato la cosa più importante, la libertà creativa. Roma è una fucina di talento e talenti, dall’indie al pop, dal rap alla trap, a ciascuno il suo per sensibilità e gusto.

  

Piotta – Interno 7

 

Ringrazio Tommaso per la chiacchierata, chiarendo che a mio avviso la romanità non ha rotto le palle proprio per nulla. Anzi. Dopo ben 20 anni di attività continua a non smentirsi ed è ancora Troppo Avanti!

Vi suggerisco dunque di andarlo ad ascoltare dal vivo, nella vostra città o dove vi è più congeniale.

 

Assunta Urbano

 

Assunta vive a Roma ed è laureata in Lingue, Culture, Letterature,Traduzione presso La Sapienza. È una divoratrice di musica (specialmente britpop anni ’90) ed un'assidua frequentatrice di concerti. Ama i film tragicomici, legge libri classici, viaggia per il mondo, ma soprattutto mangia tanta tanta pizza.

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