The Other Side of the Wind – L’ultimo (Capolavoro?) di Orson Welles

The Other Side of the Wind è un film che il leggendario regista americano Orson Welles cominciò a girare nel 1970. Per questioni economiche è rimasto incompiuto per circa 40 anni. Nel 2017, a 33 anni dalla morte del regista, Netflix ha finanziato la finitura dell’opera e ne ha acquistato i diritti per la distribuzione, che avverrà in streaming a partire da oggi, 2 novembre 2018.

Il film è stato presentato alla 75esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ed è arrivato in anteprima nelle sale della metropoli partenopea grazie alla rassegna “Venezia a Napoli. Il cinema esteso”.

Orson welles

Per chi desidera approcciarsi a questa pellicola, sono necessarie alcune premesse.

Quando si pensa ad un film lo si immagina in un determinato modo, ma The Other Side of the Wind non è ciò che potreste aspettarvi. Di Welles c’è l’anarchia, l’avanguardia, l’anticonformismo (ovviamente contestualizzati all’epoca). Il girato è tutto suo. Si tratta originariamente di circa 100 ore di riprese, ridotte poi a due. Trattandosi di un lavoro postumo, si percepisce la produzione travagliata, passata sotto mani diverse. La sensazione che ne viene fuori è quella di guardare un documentario un po’ confuso, anziché un vero e proprio film.

Apprezzabile comunque il tentativo di portare a termine il lungometraggio dopo tutti questi anni e di regalarlo al pubblico, nonostante tutto. Quasi come fosse ormai un obiettivo morale, legato più a ciò che Welles rappresenta per la storia del cinema che al film in sé.

LA TRAMA

 

La storia, quasi come fosse un presagio di ciò che poi è accaduto nella realtà, parla di un regista che non riesce a terminare il suo film. J. J. “Jake” Hannaford (John Huston), dopo un lungo periodo trascorso in Europa, torna ad Hollywood con l’intento di girare l’ultima strabiliante pellicola della sua carriera: “The Other Side of the Wind”, che gli avrebbe definitivamente assicurato gloria eterna nel mondo del cinema.

Ciò che vedrete attraverso lo schermo è letteralmente un film nel film. Il nucleo, dove si sviluppa l’opera anticonformista ed estrema di Hannaford, è racchiuso dalla storia dello stesso Hannaford che, essendo autobiografica, rimanda a sua volta ad una realtà più grande, ovvero la vita di Welles. L’effetto matrioska, generato da queste vicende intrecciate e indissolubilmente legate fra di loro, appare alla fine come una curiosa coincidenza.

PRODUZIONE

Non è la prima volta nel corso della carriera del regista che le sue pellicole fossero rielaborate dai produttori o rimaneggiate da terzi e presentate dopo la sua scomparsa. Questo perché alla sua morte Welles lasciò una serie di opere incompiute e mai distribuite che hanno da sempre attirato l’attenzione di numerose personalità del mondo del cinema. Molti hanno provato a terminarne alcune con l’intento di celebrare il grande regista, ma spesso sono finiti soltanto per sconsacrarne il talento originale.

Il materiale di The Other Side of the Wind fu lasciato in eredità all’ultima compagna di Welles, l’attrice croata Oja Kodar (presente anche all’interno del film), ma la persona destinata a finirlo, alla quale Welles si rivolse chiedendogli di terminare il lavoro nel caso gli fosse successo qualcosa, fu il regista ed amico Peter Bogdanovich (anch’esso presente nel film nei panni di Brooks Otterlake). Oggi, nel 2018, grazie a Netflix e al produttore Frank Marshall che lavorò anche alle prime riprese, Bogdanovich ha mantenuto quella promessa, ma anche in questo caso nessuno ci assicura che il risultato finale possa essere vagamente somigliante a quello che sarebbe stato il prodotto di Welles.

Orson welles

ATTORI, STILE E MONTAGGIO

John Huston, Peter Bogdanovich, Oja Kodar, Norman Foster, Susan Strasberg… Welles scelse un cast di elevatissimo livello che del cinema masticava ogni sfaccettatura, essendo, gran parte di loro, oltre che attori anche grandi registi.

Diverso è stato per il montaggio, inevitabilmente imperfetto, ma per essere precisi bisognerebbe parlare di due montaggi, dal momento che, trattandosi di un film nel film, veniamo sottoposti in alternanza ad una doppia visione, i cui stili non potrebbero essere più differenti:

Da un lato abbiamo la vita di Hannaford, che ci viene presentata in modo quasi documentaristico, con scene particolarmente frenetiche e dal sonoro non impeccabile. In sottofondo perenne musica jazz, di quella folle, da mal di testa, e in primo piano la gente. Gente che beve e che parla, che parla, che parla, in continuazione. Del più e del meno e dei massimi sistemi. Difficile stare al passo perché ,anche volendoci soffermare sulla riflessione fatta dal personaggio del momento, trascorre poco tempo prima che si salti subito al dialogo successivo. La fotografia passa sistematicamente dal colore al bianco e nero, in modo però poco chiaro, che lascia  aperti degli interrogativi senza risposta, e ciò non fa che aumentare il senso di caos.

Dall’altro, in questo marasma, ecco all’improvviso un attimo di respiro, la storia nella storia: The Other Side of the Wind. Completamente opposto a ciò che abbiamo visto nei minuti precedenti, il film di Hannaford è muto, estremo e a tratti grottesco. Le scene hanno colori psichedelici e il tempo si dilata generando un ritmo lento, ipnotico, dove la focalizzazione cade non più sulle parole, ma sugli sguardi.

Orson Welles

Un film decisamente di difficile Interpretazione

Nel complesso, The Other Side of the Wind è un film decisamente difficile, stratificato e pieno di chiavi di lettura diverse.

I temi affrontati sono tanti: l’amicizia, l’arte, il ruolo del regista, l’omosessualità. Sarebbe impossibile riuscire ad elencare in poche parole tutti i riferimenti presenti all’interno dell’opera, per di più, trattandosi di una storia autobiografica. Lo stesso Bogdanovich, che nel film interpreta Brooks Otterlake, l’allievo più giovane di Hannaford, rappresenta semplicemente ciò che nella realtà egli era per Welles.

In definitiva, è chiaro che The Other Side of the Wind non è assolutamente un film per tutti. Gli appassionati, forse aiutati da una seconda visione, sicuramente sapranno apprezzare il lavoro, contestualizzando il tempo e le circostanze di come è nato, ma un occhio inesperto fa inevitabilmente fatica nella comprensione. Tuttavia l’opera andava fatta, semplicemente per il valore simbolico che rappresenta. Lo stampo di Welles si avverte nonostante le difficoltà della realizzazione e questo, per i cinefili incalliti, basterà sicuramente a perdonare le inevitabili pecche tecniche.

Federica Brosca

 

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