Different Times dei Giardini Di Mirò è uno di quegli album che ti fa capire la differenza tra i novizi con qualità e gli artisti con le spalle forti che sanno modellare quella qualità come si conviene.
Gli emiliani Giardini Di Mirò tornano sulla scena col sesto album di inediti, Different Times. L’LP, disponibile dal 30 Novembre per l’etichetta 42 Records, segue di quattro anni l’esperimento trasversale, Rapsodia Satanica (colonna sonora), e di ben sei il precedente ‘formale’, Good Luck. Cosa ci aspetta da quest’ultima fatica di Corrado Nuccini e soci lo scopriremo a breve, sarebbe stato interessante poter mettere le mani anche sul libro omonimo (Crac Edizioni. Autore Marco Braggion) ma tant’è. Vi racconto le nove tracce che compongono l’opera musicale: un recipiente alternative con un po’ di elettronica, qualche sfumatura ambient e il retrogusto post rock tipico della band, fiati e archi annessi.

Prima di lanciarci a capofitto in quest’avventura sonora, vorrei brevemente mettere le mani avanti e spiegare il perché: partendo dal presupposto che il mio inglese è forte quanto l’accento svedese del ragioniere più famoso d’Italia, ho trovato qualche difficoltà ad immergermi totalmente nei testi. Tuttavia – potere della musica – non è strettamente necessario esserne edotti. Le note, l’ambientazione, le scelte stilistiche e le melodie sono estremamente eloquenti. Non a caso, poc’anzi, ho utilizzato il verbo “raccontare”. I Giardini Di Mirò non hanno bisogno del mio commento, sicuramente nemmeno del mio racconto ma io mi cimento lo stesso.
Si Parte…
Apre le danze la lunga strumentale Different Times. C’è una sospensione iniziale che trattiene tutto nei primissimi minuti, fino a quando le dinamiche ‘canoniche’ fanno capolino, lasciando alle chitarre il grosso del lavoro di fino tra arpeggi e riff sugli stessi. Il senso corale è avvolgente e un po’ di tensione arriva di pari passo alle chitarre elettriche che riempiono ogni spazio nella banda delle frequenze. A metà brano si sviluppa una fase di calma, con connotati di elettronica e quella spolverata di ambient che arricchisce sempre (quando fatta bene). Sul finale, invece, ho notato un incedere quasi da fanfara bellica, mentre il climax ascendente continua a fagocitare qualsiasi cosa, pieno di chitarre, fiati e almeno altri dieci strumenti. Soddisfazione.
Segue Don’t Lie con Adele Nigro (Any Other), primo dei quattro featuring previsti in Different Times. Il brano è uno slow tempo incentrato sulla sensazione cullante della voce e delle frasi di viola (violoncello? Non sono bravo a riconoscere l’estensione degli archi, a parte il contrabbasso). La struttura è minimale, con batteria essenziale ed arrangiamenti più ricchi negli intorni dei ritornelli. Finale in fade out.
Conseguenza ‘astrale’ della canzone precedente è Hold On con Robin Proper (Sophia). Terzo brano e seconda featuring. L’impronta identitaria dei Giardini Di Mirò si scorge tra gli arpeggi di chitarra e il trasporto del basso. Il tappeto che fa da supporto è come sempre sostanzioso e studiato in ogni dettaglio.
Pity The Nation riprende l’apertura, essendo lungo (sette minuti e mezzo circa) e stratificato, come si conviene per composizioni del genere. Tuttavia l’anima centrale è ben definita e totalizzante, distintiva. Sulla coda mi è parso di sentire un cinguettio ma non bevo da un bel po’, dovrei essere lucido.
Terzo featuring, stavolta giunge in soccorso il buon Glen Johnson degli anglosassoni Piano Magic. La canzone si intitola Failed To Chart ed è un ulteriore calm down dal punto di vista delle dinamiche. È evidente che la tracklist sia strutturata in modo da veicolare lo stato d’animo di chi ascolta e i Giardini Di Mirò ci riescono non bene, non benissimo, bensì “benerrimissimo”.
IL BELLO DEL (PRESUNTO) B-SIDE
Void Slip, infatti, rialza sussulto e piglio con soluzioni sonore molto interessanti. Soprattutto, secondo me, attraverso la voce, che qui assurge a strumento vero e proprio ma con quel qualcosa in più (banalmente detto) che le dà autorevolezza.
Il ¾ di Landfall è andante e accompagna un immaginario assolo di danza, personale e nascosto. Una strumentale che non mi aspettavo ma che ci sta tutta. Evolve restando in tema verso metà brano e conclude corposa, a schiena dritta.
Under è il funambolo di Different Times. In equilibrio dinamico tra superfluo e imprescindibile. La discriminante è nell’interpretazione personale dell’intera opera. Nonostante ciò, è una canzone a spiccata matrice inglese, lievemente anni novanta. Tutto questo chiude nella mia testa un cerchio che non ha mai avuto la necessità di aprirsi, conoscendo la band.
Ultimo brano ed ultima featuring: Fieldnotes con Daniel O’Sullivan. Purtroppo, e ripeto purtroppo, i dieci e passa minuti di riproduzione sono un’ancora. Non ci sono grossi spunti se non quelli forniti dalla melodia della voce. Anche la parte più squisitamente strumentale, che prende il via intorno al sesto minuto, non gode della verve che si percepisce facile facile in Different Times e Landfall. Mentre mi rifugio nel sax che domina gli ultimi secondi del pezzo, mi accorgo di aver completamente perso la bussola interpretativa e questo m’ha lasciato un pizzico di amaro non previsto.

I MIEI DUE SPICCI
Rendere tanto personale il commento ad un disco può risultare improprio. Tuttavia, è giusto dare una motivazione che, per quanto soggettiva, abbia una certa forza, tale da restare in piedi, se correttamente contestualizzata. In breve: Different Times dei Giardini Di Mirò è uno di quegli album che ti fa capire la differenza tra i novizi con qualità e gli artisti con le spalle forti che sanno modellare quella qualità come si conviene. Tutti conosciamo la band, probabilmente la più ‘europea’ che, grazie a Dio, abbiamo nel nostro paese.
C’è poco da fare, l’immagine è questa: primavera, una terrazza in collina vista mare. Pomeriggio inoltrato e prime sfumature di crepuscolo. Un computer sul quale scrivere un articolo, una birra ghiacciata (per chi può) e Different Times che suona negli auricolari. Il cerchio che si chiude.
Compratevi il vinile se siete amanti del vintage e magari fatemi sapere com’è il libro.
Salam Aleikum.
Mario Aiello