L’unico mezzo universale per comprendere le sensazioni sapientemente instillate in Sonata A Kreuzberg è riprodurre il disco
Sonata a Kreuzberg è il fiero prodotto partorito dall’interazione di tre fattori: Massimo Zamboni, Angela Baraldi e Cristiano Roversi. Mai la matematica è stata un’opinione. Il disco, pubblicato il 16 Novembre per la Contempo Records, è composto da quattordici brani, dieci rielaborazioni (virtuose) e quattro inediti.
Ritrovarsi a Berlino, dopo quasi quarant’anni, con un muro in meno e tanti ricordi in più
Star qui a disquisire il dettaglio relativo al “chi ha fatto cosa e perché”, sarebbe tanto prolisso quanto inutile. Il punto di partenza necessario alla giusta predisposizione del proprio animo nei confronti dell’opera è questo: correva l’anno 1981, Berlino, un poco più che ventenne Zamboni si ritrova sul versante ovest del quartiere di Kreuzberg. Da musicista scatta una foto. Quell’immagine, negli anni, ha ispirato non solo suoni e melodie, ma anche parole, recitazione e sopratutto ha fatto da struttura per il filtro attraverso il quale, oggi, vengono rielaborate le sensazioni di quel tempo. I tre artisti lo fanno attraverso la più naturale estensione di sé, ovvero, la musica.
Sonata A Kreuzberg nasce principalmente come supporto per lo spettacolo teatrale Nessuna Voce Dentro, a sua volta trasposizione dell’omonimo romanzo edito da Einaudi. Autore, manco a dirlo, Massimo Zamboni.

UN ALBUM CHE PUO’ FARE A MENO DELLA “COLONNA VISIVA”
Il disco ha una forza tale da rendere quasi superflua la curiosità di conoscere il libro o lo spettacolo, nonostante gli inediti siano “solo” quattro su quattordici. Non servono immagini indotte per proiettare nella propria mente il groviglio di scene che derivano dalla musica. Il lavoro emotivo che con decisione ha delineato le rielaborazioni dei brani è subito identificabile. Non solo per la forma, spesso lontana dall’originale, ma soprattutto per l’interpretazione viscerale impressa. La pennellata di stile, peculiare, che ogni pittore lascia sulla tela.
L’unico neo – prima di sciorinare qualche nozione circa i contenuti – è dato dal fatto incontrovertibile che nessuno riuscirà mai a spiegare e raccontare le tracce meglio di quanto non faccia il trio Zamboni-Baraldi-Roversi. Sia mettendo mano agli strumenti che attraverso le didascalie che ho avuto il privilegio di poter sfogliare nel press-kit giunto in redazione. Io non ci provo nemmeno ed egoisticamente (nonché scioccamente) penso che il pubblico di Sonata A Kreuzberg debba assolutamente poter leggere quelle righe. Oggi viene facile l’analogia con la pittura, la seguo: prendiamo ad esempio una mostra monografica. Ecco, abbiamo davanti un concetto sezionato e ripreso in modi e forme diverse. Si può cadere in banali interpretazioni, trascinati a forza da finte linee guida auto imposte ma, grazie a quel piccolo suggerimento, riusciamo a vedere l’enorme sfumatura che si cela dietro ogni opera.
Nel nostro caso i brani di altri che sbocciano a nuova vita, secondo la visione del trio (che a fatica evito di chiamare “supergruppo”).
RESTA ANCORA UN PO’ DI GUERRA FREDDA IN OGNUNO DI NOI
Sonata A Kreuzberg è inevitabilmente figlia a Zamboni più di quanto non lo sia alla Baraldi o a Roversi. Una precisazione che non vuole assolutamente sminuire il ruolo e l’apporto (enorme) dei due musicisti, ma che vuole sottolineare quanto di Zamboni ci sia nella sua forma costituente (libro, spettacolo, etc.). Ora, ponendo come assodato che pochi in Italia ignorano chi siano i CCCP – Fedeli Alla Linea, si comprende perché l’LP riesca a prenderci di peso e portarci tanto nel passato, abbastanza nel presente e un po’ nel futuro. Avendo comunque come perno principale quell’aria rarefatta di una Berlino di inizio anni ottanta. Una città in cui andava esacerbandosi il sentimento represso di doversi dividere in due realtà distinte e separate, quando, partendo dai ceti popolari, tale sentimento voleva essere vissuto come unico ed indivisibile. Sentore identitario.
Tutto questo non può essere spiegato con parole, l’unico mezzo universale per comprendere le sensazioni sapientemente instillate in Sonata A Kreuzberg è riprodurre il disco. Se mi mettessi ad elencare pezzo per pezzo le cover (termine che qui stona terribilmente), le differenze che le separano dalle versioni originali, le sonorità, il perché della forma elettronica di certe rivisitazioni, come suonano gli inediti e tutto il resto che ne deriva da un ascolto critico di un album, non farei altro che dare cattivi suggerimenti. Ancora peggio sarebbe chiudere in compartimenti sezionati e sterili il grande lavoro profuso dal trio Zamboni-Baraldi-Roversi e questo, abbiate pazienza, non ho il coraggio di farlo.
Mario Aiello