Il 27 marzo 1963 nasceva uno dei più influenti, amati e discussi registi della storia del cinema: Quentin Tarantino.
Cinefilo incallito sin dalla tenera età, a 16 anni mollò la scuola per lavorare in un cinema porno. Successivamente trovò lavoro in un videonoleggio, dove cominciò a scrivere le prime sceneggiature. Nel 1992 debuttò con Le iene, ma è grazie al successivo Pulp fiction (con il quale vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes e il premio Oscar come miglior sceneggiatura originale) che il suo nome venne annoverato fra i registi di culto.
Il suo biglietto da visita è la violenza, brutalità come puro intrattenimento. Il sangue, gli intrecci, i personaggi grotteschi e i dialoghi sopra le righe sono elementi che rendono il suo stile unico e inconfondibile.
Fino ad oggi Tarantino ha vinto 2 Oscar, 2 Golden Globe, 2 BAFTA e 3 David di Donatello. Nel 2015 il suo nome è stato aggiunto fra le stelle della Hollywood Walk of Fame ed è stato definito da molti il regista più influente della sua generazione.
L’Adolescenza da telefilm
I primi anni della vita di Quentin Tarantino sembrano spuntar fuori da un tipico telefilm americano anni ’90. I suoi genitori lo concepirono molto giovani: la madre aveva solo 16 anni e il padre la lasciò prima del parto. Dal Tennessee, dove nacque, si trasferì a Los Angeles all’età di 8 anni, dove cominciò a mostrare interesse per il cinema, appassionandosi agli spaghetti-western e diventando un grande fan di Sergio Leone.
A 16 anni lasciò la scuola per studiare recitazione e, mentendo sulla sua età, si fece assumere come maschera al Pussycat, un cinema porno. Tempo dopo trovò lavoro in un videonoleggio grazie alla sua incredibile cultura cinematografica, dove cominciò a scrivere le sue prime sceneggiature.
«Non sono diventato un cinefilo perché lavoravo lì, è il contrario: mi hanno preso a lavorare in quel posto perché ero molto appassionato di cinema e sapevo tutto sull’argomento».
La carriera di Quentin Tarantino
Con il ricavato ottenuto dalle vendite delle prime sceneggiature (da cui sono stati tratti i film Una vita al massimo – True Romance, Assassini nati – Natural born killers e Dal tramondo all’alba), nel 1992 arriva il debutto con Le iene, grazie al quale, tempo dopo, gli vennero offerti numerosi progetti fra cui Speed e Man in black, che il regista rifiutò poiché stava già lavorando al suo nuovo film. In seguito rivelò di essersene pentito, ma quella nuova pellicola meritava decisamente tutta la sua attenzione.
È di Pulp fiction che stiamo parlando, una rivoluzione nel cinema indipendente. Un intreccio di storie scollegate solo apparentemente, impersonificate da un cast stellare composto da John Travolta, Uma Thurman, Samuel L. Jackson, Tim Roth, Ving Rhames, Rosanna Arquette, Bruce Willis, Christopher Walken e Harvey Keitel, e con un cameo di Steve Buscemi. Il film, attualmente al 94esimo posto nella lista dei migliori 100 film statunitensi di tutti i tempi, è diventato una pietra miliare nel cinema di culto.
«Pulp Fiction è emerso dal mio amore per il filone criminale, i polizieschi, il noir. Volevo però mostrare la quotidiana banalità della violenza, che quel filone ignorava. In genere in quei film vedi uno che spara, quello che muore, taglio sulla scena seguente. In Pulp Fiction restiamo a vedere come i personaggi reagiscono di fronte alle conseguenze dei loro atti. C’è un crescendo di tensione, ma poi non te vai via, rimani lì».
Nel 1997 diresse Jackie Brown, ispirato al romanzo “Punch al rum” di Elmore Leonard, uno degli scrittori preferiti del regista. Successivamente girò Kill Bill: Volume 1 e Kill Bill: Volume 2 con Uma Thurman, Bastardi senza gloria (ispirato a Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari), Django Unchained (uno spaghetti-western ispirato a Django, film di Sergio Corbucci degli anni ’60) e The Hateful Eight, con la splendida colonna sonora di Ennio Morricone. Un successo dopo l’altro.
Fra tanti capolavori l’anello debole è forse Grindhouse, a cui lavorò con il collega e amico Robert Rodriguez. Un’opera che riprendeva le trame deliranti e gli effetti speciali volutamente grossolani dei film a basso costo che entrambi avevano amato da ragazzi. Il risultato fu un horror diviso in due episodi: A prova di morte, scritto e diretto da Tarantino e Planet Terror, diretto da Rodriguez. La pellicola però non ottenne il successo sperato, ma rimase apprezzata fra gli amanti del genere.
Lo stesso Rodriguez, che tempo prima aveva accettato di comporre alcune musiche per Kill Bill con il compenso simbolico di 1 dollaro, al momento di girare Sin City (tratto dalla serie a fumetti di Frank Miller) chiese a Tarantino di ricambiare il favore, girando una scena della pellicola.
Il regista ha inoltre diretto una puntata della serie televisiva E.R. Medici in prima linea (Maternità) e CSI – Scena del crimine (Sepolto vivo), senza contare le numerose apparizioni come attore.
Attualmente Tarantino sta lavorando al suo ultimo film: Once upon a time in… Hollywood, con Leonardo di Caprio, Brad Pitt e Margot Robbie. L’uscita del film è prevista per il 26 luglio 2019 negli Stati Uniti e per il 19 settembre 2019 in Italia.
La violenza come intrattenimento
Guardando un film di Tarantino c’è una cosa che ci aspettiamo appaia sullo schermo: il sangue. La violenza è la definizione assoluta del suo cinema, una violenza totalmente esplicita e sfrenata da risultare assurda.
Eppure, mentre in altre circostanze quella visione disgusterebbe, e probabilmente ci fermeremmo a chiederci se è giusto continuare, con Tarantino non accade. La morale non c’è. Come egli stesso ha sottolineato in più occasioni, le sue storie sono soltanto finzioni, fantasie con cui divertirsi.
Ma come può la violenza essere divertente? Chi conosce Tarantino sa che guardando un suo film è piuttosto difficile provare empatia per i suoi personaggi, perché a priori sa che probabilmente la loro vita durerà poco. Così, mentre generalmente lo scopo è far immergere lo spettatore nella vicenda, in questo caso chi guarda rimane esterno alla storia, potendosi permettere di “godersi” anche la violenza, che rappresentata in modo così irrazionale diventa pura estetica. Questo è il suo marchio di fabbrica ed è intoccabile, o si ama o si odia. È la sua identità.
La celebre scena del taglio d’orecchio in Le iene, dove Mr. Blonde opera sulle note di “Stuck in the middle with you”, è l’esempio perfetto di come il regista sia in grado di mettere in scena, in maniera totalmente disimpegnata, anche un atto così crudo e bestiale.
Difficile credere che l’unico film ad averlo mai fatto spaventare sia stato Bambi, non è vero?
Quentin Tarantino, stile inconfondibile
I dialoghi eccentrici, i salti temporali, i diversi punti di vista di uno stesso episodio e la frammentazione della linea narrativa sono elementi ricorrenti nelle sue opere, così come le ossessioni per la cultura pop, i piedi femminili o determinate tecniche stilistiche come la “trunk shot” (la ripresa dal bagagliaio della macchina) utilizzata per Le iene, Pulp fiction, Dal tramonto all’alba, Jackie Brown, Kill Bill: volume 1., Grindhouse – a prova di morte e Bastardi senza gloria (senza auto, ma solo dal basso).
Grazie al suo amore per il cinema, moltissimi dei suoi film sono ricchi di allusioni e riferimenti ad altre pellicole. Per fare un esempio, la famosa scena del ballo fra Uma Thurman e John Travolta in Pulp Fiction è ispirata a 8 e ½ di Federico Fellini. In questo modo, guardare una sua pellicola diventa un vero e proprio esercizio di intellettualità. Il regista è stato spesso criticato per questa sua tendenza citazionista e, molte volte, accusato addirittura di plagio. Tarantino però non ha mai negato le sue fonti di ispirazione, piuttosto ha sempre sottolineate lo scopo di omaggiarle. Le stesse fonti, seppur “rubate”, vengono inserite in nuovi contesti e acquisiscono nuovi significati, creando qualcosa di completamente originale.
Citazioni o no una cosa è certa: lo stile di Tarantino è unico e inconfondibile. Il suo stampo si riconosce immediatamente e ciò contribuisce senz’altro a renderlo un mito del cinema contemporaneo.
Federica Brosca