Rammstein, un atteso ritorno
I Rammstein il 17 maggio sono tornati con un nuovo album, il settimo della loro carriera. Un lavoro che arriva a dieci anni di distanza dal discusso Liebe ist für alle da, disco che in Germania è stato inserito nell’indice dei media potenzialmente dannosi per i giovani.
Cosa aspettarsi dalla band tedesca più controversa di sempre? Qualcosa di destabilizzante e di memorabile. Un album capace di indignare i benpensanti e di sedurre gli anticonformisti. In effetti anche stavolta i Rammstein hanno sbalordito fans e critica, ma per un particolare decisamente inedito nella storia del gruppo: l’essenzialità con cui il nuovo disco si presenta.
Il titolo è semplicemente Rammstein. L’artwork è minimal ma evocativo: un fiammifero su uno sfondo bianco. Il fiammifero rimanda al fuoco, elemento chiave nelle esibizioni dal vivo della band teutonica. Ma al di là degli spettacoli pirotecnici, diventati un marchio di fabbrica dei Rammstein, quel fiammifero, non ancora acceso, simboleggia anche la possibilità di scegliere cosa farne del fuoco.
L’album, registrato tra Francia e Bielorussia per Universal, è stato prodotto da Olsen Involtini (per la prima volta grande assente lo storico produttore della band, Jacob Hellner).
Undici le tracce che lo compongono, come da tradizione per i Rammstein.

Rammstein | Rammstein (copertina)
Il mio cuore in fiamme
Il disco si apre con Deutschland, canzone lanciata anche come primo singolo. La band non poteva fare scelta migliore.
La Germania è indissolubilmente legata ai Rammstein, ma i sentimenti del grupp verso la madrepatria sono ambivalenti. Deutschland è una dichiarazione di amore-odio. Particolarmente toccante il verso in cui Till Lindemann afferma: “Mein Herz in Flammen, will ich lieben und verdammen” (il mio cuore in fiamme, voglio amarti e condannarti).
Insomma un rapporto complicato quello con il paese d’origine.
La potente canzone è accompagnata da un monumentale videoclip in cui il gruppo ripercorre la storia della Germania fino al regime nazista. Non sono mancate critiche e fraintendimenti, ovviamente. Eppure, mai come stavolta, l’atteggiamento dei Rammstein è cristallino: si schierano apertamente e duramente contro il nazionalismo.
Il potere della musica
Anche la seconda traccia dell’album, e secondo singolo estratto, Radio, è una canzone politica.
Radio, sia nel testo che nel video, rievoca gli anni bui della Germania ed ancora una volta parla del difficile rapporto della band con la propria identità tedesca. Questo brano è un’ode alla musica e alla libertà di espressione. La musica, come viene affermato nella canzone, permette infatti di immaginare anche ciò che non è possibile vedere con gli occhi (Meine Ohren werden Augen, Radio, mein Radio, so höre ich, was ich nicht sehe – Le mie orecchie diventano occhi, radio, mia radio, così ascolto ciò che non posso vedere).
Il brano, che strizza l’occhio al pop grazie al ritornello ipnotico alla Kraftwert, è assai efficace.
E il cielo si colora di rosso
Il terzo brano dell’album, Zeig dich, ha un’apertura magnificente con un coro gregoriano in latino (registrato con un’orchestra a Minsk), ma la tematica trattata è tutto tranne che nobile. In questa canzone si parla infatti degli abusi del clero cattolico sui bambini. Il brano musicalmente è un “oldschool” Rammstein: ritmo sempre più serrato in cui a farla da protagonista sono le potenti chitarre di Kruspe e Landers. Agghiacciante la strofa che raccoglie in tutta la sua oscurità la perversione dell’animo umano: “Zeig dich, versteck dich nicht, zeig dich, wir verlieren das Licht. Zeig dich, kein Engel in der Not und kein Gott zeigt sich, der Himmel färbt sich rot.” (Mostrati, non nasconderti, perdiamo la luce. Mostrati, nessun angelo in soccorso e nessun Dio si palesa. Il cielo si colora di rosso)
Sesso e provocazione
Dopo la spinosa tematica di Zeig dich la band prende una pausa dai temi impegnati. Arriva così Ausländer, una canzone dai toni decisamente leggeri. D’altronde la vena goliardica dei Rammstein è presente in ogni loro album. In questo brano lo “straniero” (Ausländer) Till Lindemann racconta il segreto per essere un grande seduttore anche all’estero: conoscere un minimo la lingua del paese in cui si viaggia. Un pezzo decisamente trash, esempio del tanz metall di Christian “Doktor Flake” Lorenz, ovvero la dance rivisitata in chiave metal. Questa canzone o si ama o si odia, non possono esserci mezze misure. La frase “Ciao ragazza, take a chance on me” riesce a strappare un sorriso anche a chi proprio non digerisce il genere.
Sulla scia di Ausländer, prosegue Sex, che, come si evince dal titolo, è un inno all’amore fisico. Lindemann afferma: “Wir leben nur einmal, wir leben das Leben” (Viviamo solo una volta. Viviamo la vita). Nonostante l’esplicito titolo, il testo, però, non è trasgressivo come si potrebbe immaginare. Anzi, è lontano anni luce dalla scandalosa Pussy. Musicalmente il brano è poco incisivo, ricorda Psycho dei Muse. Insomma è il meno riuscito di questo nuovo disco.
Isolamento e disperazione
L’album si riprende immediatamente con la canzone successiva. La più cruda, e a mio parere, la più intensa dell’album: Puppe. Protagonista della canzone una bambina che viene chiusa in camera a chiave dalla sorella maggiore mentre lei, prostituta di mestiere, deve lavorare. Unica compagnia della bambina, una bambola (in tedesco “Puppe”). La canzone ha un’emozionante intro strumentale e sembra addirittura una ballad. Il brano esplode poi improvvisamente nel ritornello. La frustrazione e l’isolamento della bambina crescono al tal punto che in un impeto di rabbia stacca la testa alla bambola. Il canto di Lindemann diventa agghiacciante, sconvolgente. Un grido mostruoso. Non si era mai spinto così oltre. Anche la sezione strumentale finale è da brividi. Chapeau a tutti. Dal vivo questa canzone sarà spettacolare.
Epicità della sofferenza
La vera ballad del disco è Was ich liebe, una canzone pessimistica e disfattista in cui si parla della rinuncia alla felicità. (Was ich liebe, das wird verderben. Was ich liebe, das muss auch sterben, muss sterben – Ciò che amo andrà in rovina. Ciò che amo, deve anche morire, deve morire).
La brevissima Diamant è una perla rara in cui la musica rispecchia chiaramente ciò che viene cantato. Lindemann paragona la donna amata ad un bellissimo diamante. Cori, violini maestosi, archi. Il sapore operistico della canzone però dopo due minuti e mezzo si interrompe bruscamente. L’uomo si rende conto infatti che quel bellissimo diamante altro non è che una pietra. (“Welche Kraft, was für ein Schein, wunderschön wie ein Diamant, doch nur ein Stein“).
Elettronica e chitarre distorte
Se nelle appassionate ballad il testo prevale sulla musica, a farla da padrone nelle ultime tre canzoni è il virtuosismo musicale dei componenti.
Weit weg è un buon mix di chitarre, batterie e tastiere anni’80. Grande protagonista del brano l’istrionico Christian Lorenz. A prevalere invece nella militaristica Tattoo le chitarre distorte di Richard Kruspe e Paul Landers. Un brano granitico e potente che nella sua ruvidezza riporta alla mente le atmosfere di Du riechst so gut. La canzone finale, Halloman, in cui si parla del rapimento di una ragazza, si apre con un giro di basso fenomenale di Oliver “Olli” Riedel. Un brano inquietante ed angosciante in cui vengono fuori i Rammstein delle origini. Ottimo per concludere il disco.
Lasciate accendere quel fiammifero
Cosa offrono i Rammstein con questo nuovo album?
La band teutonica, come sempre, unisce sapientemente elettronica e metal in un mix tenebroso ma allo stesso tempo trascinante.
Un ritmo irresistibile. Energia pura.
Il disco risulta indubbiamente più melodico rispetto ai predecessori, ma non per questo meno grintoso e potente.
A dieci anni di distanza il fuoco dei Rammstein è ancora vivo? La risposta è: ASSOLUTAMENTE sì.
Alessia Diano