Vinicio Capossela, Ballate per uomini e bestie: l’umanità dietro le canzoni

A tre anni di distanza dall’uscita di “Canzoni della Cupa”, Vinicio Capossela ritorna in scena  con la genuinità che lo contraddistingue per raccontare storie di uomini e di animali, tentando di ricucire il rapporto primordiale tra natura e uomo. Lo fa nel suo undicesimo album, “Ballate Per Uomini e Bestie”, che la scorsa settimana ha presentato presso la Feltrinelli di Napoli.

“Ballate per Uomini e Bestie” si presenta musicalmente come una sintesi di sinfonie barocche, medievali e rock  tali da creare un’atmosfera grottesca e allo stesso tempo immancabilmente poetica. Merito anche degli arrangiamenti di Raffaele Tiseo. 

La scelta della ballata, di origine popolare, è, come egli stesso sottolinea, di puro gusto personale.

Nato da genitori originari dell’Irpinia, Vinicio spiega di come la cultura popolare ha avuto da sempre il potere di esorcizzare. Per questo, in un tempo di “peste” come il nostro, molto simile al lontano medioevo, lui sceglie di scrivere ballate per trovare rifugio e non essere contaminato. 

L’idea nasce come recupero di uno stato originario, ma con esso il cantautore riesce a raccontare bene l’attualità . 

Vinicio Capossela - Ballate Per Uomini e Bestie

Vinicio Capossela | Ballate Per Uomini e Bestie

Sempre questi stranieri senza permesso”, significativo il verso del brano “ La giraffa di Imola” in cui riprende un fatto realmente accaduto nel 2012, quando, nella tranquilla cittadina di Imola, una giraffa scappa dal circo e per catturarla viene narcotizzata. Purtroppo da allora non si risvegliò più. Vinicio Capossela, con la sua acuta sensibilità, riscatta l’immagine dell’elegante animale, originario dell’Africa, la cui bellezza, per contrasto, rende volgare tutto ciò che le sta intorno.  Un essere indifeso, impaurito, che tenta di scappare “galoppando come a rallentatore”, come avrebbe potuto far del male? Eppure, poiché decontestualizzata, fa paura e va fermata.

Andando  a scavare alle origini, inevitabilmente recupera quel legame che l’uomo crea con la natura, percepita come entità superiore alla quale, con il tempo, è stato attribuito un nome e una figura. Peccato solo che l’uomo non solo si è allontanato dalla sua condizione istintuale di animale, ma anche da quegli stessi insegnamenti che il “Povero Cristo” ha dato ( ama il prossimo tuo come te stesso ),  forse proprio per l’impossibile realizzazione della sua buona novella.

A tal proposito Vinicio  cita Oscar Wilde, autore a cui si ispira per “Ballata del carcere di Reading”, in cui denuncia l’uso della pena di morte come tradimento del messaggio cristiano. Oscar Wilde con il suo ultimo testo De Profundis, scritto in prigione per scontare la colpa di essere omosessuale, mostra  un forte attaccamento all’umanità, confessando peccati e debolezze e portando fino in fondo la sua croce, come lo stesso Capossela sottolinea.

Alla domanda cosa fosse per lui il sacro e il profano risponde sorridendo con un esempio: « Immaginate di lasciarvi con la vostra ragazza. Il ristorante in cui andavate con lei diventerà per voi un luogo sacro, “intoccabile” e quindi distante. Poi capita che vi innamorate di nuovo e ritornate con la nuova ragazza nel vecchio ristorante. Ecco, avete appena profanato un luogo a voi sacro».   

Di fronte alla “pestilenza” Vinicio ci offre una via di fuga per non essere contagiati: unirsi ai tuoi simili in una “social catena” (citando Leopardi), non per fare la rivoluzione ma per formare una band, proprio come “ I musicanti di Brema”. Si sa, ” quattro sono meglio di uno “. La storia dei fratelli Grimm la conosciamo: un asino, un cane, un gatto e un gallo vissuti in quattro diverse fattorie, da sempre trattati male dai loro padroni, decidono di abbandonare il loro territorio e, dopo essersi incontrati, si recano a Brema (Germania) per vivere liberi e diventare musicisti nella banda della città. 

Concludendo, per rifarci all’ultima traccia dell’album, “La lumaca”, in cui canta “la sacralità della lentezza”, Vinicio ci invita a rallentare il tempo, fermarci e riflettere. In un’era di “rinnovate pestilenze”, siamo sempre più  impegnati a correre e a correre per arrivare non si sa bene dove. 

Allora vale la pena forse accettare l’invito e godersi ciò che la natura offre, senza contaminarla con il nostro ego.

D’altronde, noi stessi siamo per natura bestie, ma fatte di umanità. Attenzione a non perderla.

 

Claudia Avena

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