Il Firenze Rocks e i live memorabili di Tool e Smashing Pumpkins

A conferma che ormai il Firenze Rocks è l’occasione per il pubblico italiano di assistere alle migliori produzioni dal vivo che rock e dintorni hanno da offrire, con l’edizione 2019 il festival infila un’altra giocata vincente, ospitando nella stessa giornata almeno due concerti memorabili.

Non quello dei Dream Theater, penalizzati dall’orario dell’esibizione e da suoni spompi, ma anche da una certa stanchezza del loro sound, spesso prolisso. ‘Pull Me Under’ a parte, solo lo zoccolo duro dei fan sembra essere veramente coinvolto dal live.

Sicuramente quello degli Smashing Pumpkins, finalmente in scena con un ottimo album nuovo alle spalle e la formazione quasi-originale. Manca D’Arcy, mentre sono a bordo James Iha alla chitarra e Jimmy Chamberlain alla batteria. La loro prestazione è ottima, soprattutto quella di Chamberlain, ma è Billy Corgan a fare da protagonista.

Firenze Rocks

Smashing Pumpkins – ph Virgin Radio

Imbolsito, invecchiato, assomiglia a Varys di Game Of Thrones, è vestito da prete come in ‘Ava Adore’ e ha un makeup alla ‘Vikings’. Non so che effetto faccia a leggerlo, ma a vederlo e sentirlo, fa la sua figura. Il look gli conferisce un’autorità mistica, ma è con una resa vocale e chitarristica da brivido a condurre le danze attraverso una scaletta dove figurano tutti i classici, dagli inni generazionali ‘Zero’, ‘Cherub Rock’ e ‘Bullet With Butterfly Wing’, ai momenti più intimi (‘1979’ e ‘Disarm’), passando per una serie di ottimi esemplari della produzione più recente (‘Superchrist’).

Billy è una rockstar d’altri tempi, gigioneggia col pubblico, si lancia in un paio di giochini botta-e-risposta incredibilmente riusciti, ma soprattutto è ancora all’altezza della bellissima musica che ha scritto negli anni.

Anche le Zucche vengono penalizzate da suoni non all’altezza del loro concerto, segno che forse per ospitare band di questo calibro è necessario uscire dalla mentalità del festival-concertone, dove tutti tranne l’headliner ricevono un trattamento tecnico inferiore.

A proposito di headliner, è passato da poco il tramonto quando arriva il momento dei Tool.

I Tool al Firenze Rocks, in Italia dopo oltre 10 anni

Si tratta di uno uno dei gruppi attorno a cui si è generato più hype negli ultimi tempi, quelli dei continui ritardi del nuovo album, atteso da ormai 13 anni, del ritorno sui palchi e infine dell’annuncio ufficiale dell’uscita, ad Agosto, del successore di ‘10.000 Days’.

Certo, la fama che i Tool si sono costruiti va ben oltre le ruote dentate dell’hype, trovando radici in un’alchimia unica di versi, estetica e musica, in quel sound granitico a metà fra prog metal carburato a riffoni e senza sbrodolamenti solistici (ogni riferimento ai Dream Theater è puramente casuale), stoner/doom psichedelico, sciamanesimo esoterico e groove, in quello che ci si è affannati a definire coniando ad hoc definizioni come alternative metal e post-metal.

Sono quindi alte le aspettative sul quartetto al suo ritorno, dopo più di dieci anni, davanti al pubblico italiano.

Le superano tutte, lasciandole chilometri indietro con uno show sublime che costituisce forse uno dei punti più alti raggiunti dai live di musica heavy.

Parole pesanti, sì, ma la verità e che la produzione di questo tour assomiglia per imponenza e attrezzatura a spettacoli che solitamente si vedono solo nell’ambito del rock commerciale da arena o delle grandi produzioni EDM, qui declinate però nella potenza sonora e concettuale dei Tool. Ecco, potenza sonora: fin dall’inizio, l’impatto è devastante e preciso, trasuda esperienza e carisma.

Firenze Rocks

Tool – ph Virgin Radio

David Carey, Adam Jones e Justin Chancellor fanno il loro show senza mettersi in mostra, lasciano parlare la dinamica e le voci dei loro strumenti, spesso poche note a rincorrersi fra ritmi intricati e pause nelle complesse strutture dei brani. Hanno voglia di suonare, si vede. Chancellor aizza il pubblico, si concede tutta la scena e l’entusiasmo dell’arena quando attacca l’immortale giro di ‘Schism’, Maynard è come sempre schivo, nascosto nell’unico punto semibuio di un palco illuminato da decine di fari, ma quando accenna la sua danza di guerra ha il pubblico in pugno. 

Nessun ringraziamento, nessun discorso, solo alla fine un momento di meritati applausi e saluti con tanto di prole sul palco.

Del resto a parlare sono le canzoni: le montagne russe iniziali con ‘Aenema’, ‘The Pot’ e la potente ed emotiva ‘Parabola’. Poi il viaggio alla scoperta di uno dei due pezzi nuovi in scaletta, il lunghissimo ‘Descending’, seguito dal caposaldo ‘Schism’, fra i brani accolti con più calore da un pubblico che, comunque, conosce a memoria tutte le canzoni.

Giusto un intermezzo prima di conoscere il secondo inedito, anche questo lungo e sottolineato da uno spettacolo di luci e scenografia che lo presenta al pubblico nella forma migliore. Tuffo nel passato con ‘Sweat’ dall’esordio ‘Opiate’, per poi tornare all’ultimo album con il labirinto quasi fisico di riff intricati e poliritmie di ‘Jambi’. Tempo di lanciarsi a bomba verso la fine di un concerto che sembra lungo cinque minuti o una vita, ma è in realtà durato un’ora e mezza. Si chiude con una tripletta da infarto: ‘Vicarious’, ‘Forty six & two’ e ‘Stinkfist’ sono un vero e proprio viaggio mentale e corporeo fra alcuni dei riff e melodie migliori della band, sottolineati da luci spinte al massimo e da un trip di visual.

Perché anche l’occhio vuole la sua parte, e qui l’occhio accompagna il pensiero: cinque colonne di ledwall ricoprono il fondale del palco, mentre un eptagramma è appeso a centropalco e presiede al rito. Sugli schermi si avvicendano video inediti e i celebri videoclip girati dallo stesso Adam Jones per alcuni singoli della band, fra creature grottesche e solitarie, anatomie, psichedelia e new age, con tutta l’iconografia classica dei Tool al gran completo.

Più che intrattenimento visivo, i visual costituiscono all’interno dello show una narrazione autonoma e complementare a quella della musica, un viaggio esoterico ed iniziatico di scoperta intorno al rapporto fra corpo e mente, materia e spirito, vita e morte, fra Noi e l’Altro. A spalancare le porte della percezione contribuisce anche un parco luci in grado di creare decine di paesaggi diversi, tra piramidi, mantra di laser colorati e ‘americane’ che sembrano dotate di vita propria. Si potrebbe stare qui ore a parlare anche solo delle luci o di qualunque altro dettaglio del concerto, ma sarebbe superfluo, come forse lo è qualunque parola.

Basti dire che ieri si è dimostrato che uno show dei Tool è qualcosa di irripetibile, non tanto per la rarità dei loro tour, ma per delle caratteristiche intrinseche al concerto; possiamo solo avere fede nel fatto che ci vorranno meno di 13 anni prima di fare di nuovo questo viaggio con loro.

Sergio Sciambra

Foto di Virgin Radio: Smashing Pumpkins |  Tool

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