Annabelle è una bambola con vestitino ottocentesco, due bionde e lunghe treccine ed è posseduta da un demone.
Resa famosa nel prologo del primo film della saga di The Conjuring (L’evocazione), la “vera” Annabelle era diversa. Meno realistica e con i capelli arruffati di lana rossa, fu presa in custodia dai coniugi Warren.
Ed e Lorrain Warren erano dei “veri” demonologi che, dal 1952, hanno indagato su presunte attività paranormali. Come poteva il cinema horror non prenderne ispirazione?
Con The Conjuring (2013), il regista James Wan è riuscito a creare una vera e propria saga horror. Legati al filone principale – il cui terzo capitolo è previsto l’anno prossimo – ci sono già i tre spinoff di Annabelle, The Nun e La Llorna ed un probabile quarto in cantiere, The Crooked Man.
Ma è, sicuramente, la bambola posseduta ad aver riscosso il grande successo. Se il primo capitolo di Annabelle mostrava gli eventi grazie ai quali il giocattolo è finito in mano ai Warren, il secondo andava indietro nel tempo raccontandone la possessione.
Il limite, tutto della traduzione italiana, è stato quello di aver numerato i capitoli. I tre film, infatti, sono dislocati nel tempo e non conseguenziali, da inserire tra gli eventi del filone narrativo principale.
Annabelle comes home
Annabelle 3 (meglio il titolo originale di Annabelle comes home), infatti, prende avvio direttamente dopo il prologo del primo The Conjuring. Ed e Lorrain Warren portano la bambola posseduta nel loro Museo dell’Occulto: un vasto locale di casa adibito a magazzino di oggetti posseduti o legati ai loro casi.
Quando i due demonologi lasciano la loro figlia con la babysitter, Annabelle riesce a riprendere “coscienza” e a risvegliare le forze occulte che sono rimaste in attesa e intrappolate in vari oggetti.
COSTRUIRE UNA SAGA HORROR DI SUCCESSO
Per gli appassionati di horror, la saga di The Conjuring e i suoi spin off sono una continua certezza. Certamente con alti e bassi, ma ogni film, costruito come un tassello più o meno importante di una macrostoria, riesce a sostenere il peso di una vera e propria epopea horror.
Annabelle 3, rispetto ai precedenti capitoli, è legato strettamente al filone principale. Gary Dauberman, regista della pellicola, ricrea con fedeltà le atmosfere e i colori del primo film. Dopotutto è James Wan – artefice dell’intero “Conjuring universe” – a supervisionarne il soggetto.
UN TONO DIVERSO
Ed e Lorrain Warren fanno da prologo ed epilogo della storia, lasciando alla figlia Judy il compito di combattere il male.
Tale setting narrativo, dunque, permette di cambiare il “tono” della pellicola. Con un protagonista adolescente, le tematiche – che vanno dal bullismo alle difficoltà dell’accettazione di sé – declinano le atmosfere orrorifiche senza, però, necessariamente semplificarle.
Mostri, apparizioni, jump scared non mancano di certo, ma vengono messe nel calderone dell’inquietante più che dello shoccante. Chiaramente, un’identità fragile come quella di qualunque adolescente – specie se ha un “dono” particolare di eredità materna – è facile preda delle forze oscure che si annidano oltre il nostro mondo.
Anche l’ambientazione è sfruttata diversamente rispetto agli altri film della saga.
La casa, infatti, non è il semplice luogo in cui avvengono gli eventi paranormali. Diventa, infatti, una vera e propria prigione, in microcosmo di malignità e disturbanti accadimenti.
Annabelle 3: nulla di eclatante
Il limite di Annabelle 3 è, però, anche la ragione stessa per cui funziona: poca autonomia.
Se non fosse legato alla storia dei coniugi Warren, il film sarebbe una pellicola abbastanza prevedibile e lineare. Ma, chiaramente, vedere il “dietro le quinte” e il “cosa è successo dopo?” rende il film già di per sé intrigante.
Dopotutto, chi si è affezionato ad Ed e Lorraine, come loro figlia, è sempre stato incuriosito da quella stanza celata dalla porta sempre chiusa, di cui abbiamo solo potuto sbirciarne il contenuto.
Ovviamente, Annabelle 3 è per chi ama e conosce la saga, è un film pensato principalmente per loro. E chi è tra questi, sicuramente apprezzerà quest’ultimo inquietante tassello.
Leonardo Cantone