The Boys, la grande truffa degli eroi in calzamaglia targata Amazon

L’ennesima serie di supereroi sulle nostre piattaforme streaming, in un momento in cui sia Marvel che DC stanno mungendo più che mai la mucca degli eroi in calzamaglia, con risultati dalla qualità altalenante ma dalla resa economica quasi infallibile. E i supereroi di The Boys sono anche poco originali: i Sette (The Seven), il gruppo più famoso e potente, è composto da dei doppioni facilmente riconoscibili dei principali eroi della Justice League della DC.

Tanto vale lasciar perdere e aspettare la prossima produzione Marvel o DC?

Non esattamente.

The boys

The Boys

Tratta dall’omonimo fumetto scritto da Garth Ennis e disegnato da Darick Robertson, The Boys è forse uno dei migliori prodotti sui supereroi degli ultimi anni. Una serie imperdibile per chi è interessato all’argomento ma non digerisce tutto del Marvel-style cinematografico.

Perché i suoi supereroi sono più o meno come potremmo immaginarli nel nostro mondo, oggi, senza farci troppe illusioni sulle loro qualità morali. Adorati da folle di fan come rockstar o calciatori, quando non come veri e proprio semidei, i cosiddetti ‘Super’ di The Boys sono al centro di imperi miliardari di film, merchandising, sponsor e parchi a tema, gestiti per loro dalla multinazionale Vought.

Dietro una facciata ipocrita di eroismo, valori a stelle e strisce e politically correct, sono violenti, dissoluti, avidi, narcisisti, erotomani e ai limiti della sociopatia (spesso oltre). Naturale che, fra abusi di ogni tipo e vittime collaterali delle loro imprese, vere o false che siano, i Super si facciano più di un nemico.

La storia ruota proprio intorno a un gruppo di individui che provano ad abbattere il castello di menzogne della Vought, e parte quando il carismatico avventuriero britannico Butcher (l’ottimo Karl Urban) prova a coinvolgere nei suoi piani Hughie (Jack Quaid), un ragazzo che ha appena perso la fidanzata per colpa di un supereroe, per poi dare via a una reunion della vecchia banda in stile Blues Brothers con i suoi ex compagni Frenchie (un irresistibile Tomer Kapon) e Latte Materno (Mother’s Milk, intepretato da Laz Alonso).

Contemporaneamente, la dolce supereroina della porta accanto Star (Erin Moriarty) viene ammessa nei Seven e si trasferisce dal suo Iowa a New York, dove la sua visione idealizzata dei supereroi e la sua educazione religiosa e puritana si scontreranno con l’ipocrisia e la violenza del vero mondo dei Super.

The boys

Il fumetto

I lettori del fumetto originale non avranno difficoltà a riconoscere personaggi, situazioni, temi e avvenimenti ripresi in maniera più o meno fedele dal mondo creato da Garth Ennis, già autore di culto grazie alla sua creatura Preacher e a titoli come Hellblazer e Punisher (tutti già oggetto di trasposizioni seriali o cinematografiche). La storia si dipana e si (non) conclude però in maniera differente, ed è leggermente ridotta la quantità di violenza estrema, sesso e turpiloquio. Probabilmente la dose di situazioni crude e surreali che traboccava nel The Boys cartaceo, al punto da valergli una sospensione da parte della DC Comics dopo pochi numeri e il repentino salvataggio da parte dell’indipendente Dynamite Entertaniment, sarebbe stata eccessiva e anche straniante in un prodotto live action che, al netto di un forte cinismo con punte surreali, punta ad essere anche abbastanza realistico.

Quello che più conta è che la serie rispetta in pieno lo spirito del materiale originale e la sua personale, grottesca visione del processo di decostruzione del supereroe che autori come Alan Moore e Frank Miller avevano inaugurato negli anni ‘80. The Boys utilizza il sesso, la violenza e il grottesco per riflettere sul concetto di eroe, sul suo rapporto con la società, sul nostro bisogno di eroi e su come i potenti della terra possono sfruttarlo per sete di denaro o potere; la serie raccoglie fedelmente questa riflessione e lo fa attualizzandola al nostro presente.

Il 2018 dello show Amazon è decisamente il nostro: un’epoca in cui a dirigere le danze della fama e a decretare ascese e cadute sono i trending topic dei social e le mosse dei SMM, in cui le istanze femministe in stile #MeToo possono fare giustizia di abusi e gerarchie sessiste, ma anche essere manipolate da quegli stessi soggetti che hanno sempre scelto l’omertà per indicare un capro espiatorio e salvare la faccia con un po’ di pinkwashing a favor di camera. Un momento storico in cui gli Stati Uniti d’America sono una nazione sempre più aggressiva, bigotta e spaventata, ma soprattutto in cui i supereroi sono così centrali nel mondo dell’entertainment da essere una potenza quasi reale.

Non ci sarebbe neanche bisogno della frecciatina esplicita al Marvel Cinematic Universe per percepire il livello metanarrativo di questa serie in cui i supereroi sono una gallina dalle uova d’oro da sfruttare con film, gadget e sponsorizzazioni milionarie, in cui una mega corporation gestisce vita, morte e miracoli dei Super come il colosso Disney/Marvel fa con gli eroi della nostra fantasia. La differenza è che lì ad andare ospiti nei late show della tv non sono gli attori ma gli eroi in carne ed ossa (e qui un paio di camei aiutano a concretizzare l’illusione di realtà). Ma la legge che governa la gestione dei superuomini in carne ed ossa, così come quella delle loro controparti fantastiche nel nostro, è sempre quella del profitto e del gradimento del pubblico. Certo, ogni riferimento è puramente casuale o, meglio, da inserirsi nella cornice di un’esagerazione: se nel nostro mondo a fare le spese dell’ipersfruttamento degli uomini in calzamaglia è al massimo la qualità delle storie, nel mondo di The Boys ad essere annichilito dall’avidità della Vought e dei suoi pupilli è il senso stesso del supereroe, la missione di salvare vite e proteggere i deboli.

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The Boys,  una riflessione sociale e politica attuale

Nonostante le premesse fantastiche, The Boys riesce a consegnare una riflessione sociale e politica attuale e niente affatto scontata, che va a coronare un prodotto che brilla per ritmo, equilibrio fra violenza, cinismo scanzonato e momenti drammatici, con un paio di scene da brividi. Ad impreziosire il tutto, effetti speciali credibili, una colonna sonora graffiante che pesca a piene mani dal punk e alcune interpretazioni eccezionali; su tutte, svetta quella del magnetico ed inquietante Patriota (Homelander) di Antony Starr: un biondo, statuario Superman a stelle e strisce tutto Dio, patria e torta di mele. Un Capitan America ipocrita e psicopatico perfetto per la faccia bigotta e repubblicana degli USA. Così come la Madelyn Stillwell di Elisabeth Shue è la perfetta faccia sorridente della peggiore ‘corporate America’. 

La qualità della prima stagione e un finale con diverse questioni lasciate in sospeso sono un ottimo trampolino di lancio per la seconda, che è stata confermata già prima della messa in onda del primo episodio e che porterà sui nostri schermi nuove situazioni e personaggi direttamente dal fumetto di Garth Ennis, speriamo con la stessa efficacia di questa prima tranche di episodi.

Sergio Sciambra

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