The Jab – Tutti Manifesti: il convincente esordio del duo di Ivrea

Lo scorso 12 Luglio il duo piemontese The Jab ha pubblicato Tutti Manifesti, LP di esordio auto prodotto e distribuito dalla Artist Frist. Dieci canzoni che riflettono in musica le attitudini della ‘minimal band’: un contenitore pop moderno con incursioni di rap (o giù di lì), elettronica non esasperata, vena rock soprattutto nella voce ed in alcuni arrangiamenti, e per chiudere una concezione eclettica del prodotto ultimo. Da qualche anno tutto ciò sta confluendo in modo errato nel termine ‘indie’. Mi oppongo al canone. Forse anche loro.

The Jab

The Jab – Tutti Manifesti (copertina)

Eravamo in tre a ballare l’alligalli.

Titolo osceno con il solo scopo di riprendere molto brevemente genesi e storia dei The Jab. Il progetto nasce tra i banchi di scuola in quel di Ivrea, parto della mente del buon Alessandro De Santis che ne diventa (e resta) voce, chitarra e paroliere. La formazione è già cambiata quando, a fine 2017, i ragazzi partecipano ad un celebre talent show della televisione italiana. L’esperienza è un classico bivio parallelo: da un lato la timida accoglienza da parte di un pubblico troppo poco erudito, incline ad acclamare il solito minestrone riscaldato manco fosse la reincarnazione di Michael Jackson; dall’altra l’opportunità di mettere in mostra per una grande platea tutte le loro qualità e provare a rubacchiare un po’ di mestiere qui e là.

Personalmente, come la stragrande maggioranza di coloro che hanno un minimo di cognizione di causa, credo che quel contesto non potesse in alcun modo magnificare le doti dei The Jab. Un tritacarne da macello che genera quasi sempre modelli informi di qualcosa che ancora oggi faccio fatica a capire.

Il tempo della mietitura, infatti, arriva a circa un anno dal termine di quella partecipazione. La dura legge del precariato da talent, ovvero la difficoltà di chi qualche coniglio dal cappello è in grado di tirarlo fuori, ma si ritrova senza pubblico per fare la magia. Auto prodotti e senza agenzie manageriali alle spalle, la strada che ha condotto all’esordio di Tutti Manifesti passa anche per l’ultima esclusione: restano nella band solo Alessandro De Santis e Mario Francese. Ed in tutta sincerità, va benissimo così, per ora.

The Jab – Tutti Manifesti. Panoramica sulle tracce.

In un’intervista il duo fa riferimento alle influenze che hanno in qualche modo caratterizzato la produzione dell’album. Da quella chiacchierata sono usciti nomi e generi diversi, molto internazionali ma con qualche richiamo italiano non proprio comune. Sicuramente, forse per intento artistico, non fa specie che i Twenty One Pilots siano un riferimento da cui attingere. Quando hanno nominato i connazionali FASK, invece, qualcosa è cambiato nell’approccio al disco da parte mia. Le conferme sono arrivate durante l’ascolto.

Si comincia con Bianca. Una canzone che è quasi didascalia dell’intero Tutti Manifesti, non per altro da una sua strofa deriva il titolo dell’opera. Qui si delineano alcune caratteristiche ricorrenti dei The Jab. Parlo di voci quasi sempre armonizzate, fasi minimaliste alternate ad altre estremamente piene, flusso di ‘iper-testo’ convergente al rap (anche se per loro stessa ammissione è un parlare veloce), innesti di elettronica e sfumature più crude dal richiamo rock, soprattutto sulla voce a tratti ruvida, graffiata.

Costenzo è la chiave di volta interpretativa di questo Long Playing. Non a caso, più avanti, viene proposta una seconda versione, verosimilmente affine a come è stata ideata e composta prima che raggiungesse il setaccio del talent e delle rivisitazioni pre e post produzione. Una canzone che funziona tutta sulle strofe, ricche di citazioni e scandite da un flusso copioso di parole e critica verso proprio quei meccanismi da cui sono usciti. Ritornello strutturale e senza lode, la magia è altrove ma appaga comunque.

Lei è stata scelta anche come video che facesse da anteprima al disco. Purtroppo i sei mesi di anticipo non hanno saputo tenere viva l’attenzione sulla band. Mio modesto parere. Indipendentemente da questi aspetti futili, l’idea su cui si costruisce il pezzo, sia per tematica che per struttura, è molto valida e pone enfasi su momenti ben definiti cercando di eludere il concetto canzone che vincola un po’ tutti allo schema ‘strofa-ritornello-strofa ritornello’. Godibile.

Cartapesta invece manifesta (e secondo me esaspera) quei piccoli particolari che al contrario sono la causa di un fastidio uditivo, ovvero l’ostentazione del recitare. Il nervoso non passa, nonostante il pezzo parta sommesso, con un ukulele ad accompagnare la voce, inondato poi da una buona dose di eclettismo stilistico che è probabilmente il vero fiore all’occhiello (con le dovute proporzioni) dei The Jab. Una strana sensazione, devo ammetterlo, è più un isterismo condizionato.

Purtroppo parte di quanto detto poc’anzi si ripete in Vaniglia. Di conseguenza il dente avvelenato trova terreno fertile arrivando a considerare la canzone come un’idea troppo grande per i mezzi di cui dispongono, almeno fino a quando il filo logico è scritto sul copione da leggere e seguire, con poca musicalità. Il resto non eccelle, ma dimostra buone doti di auto produzione. Si nota una certa cura di alcune riprese, piuttosto di altre, ed il miracolo del missaggio rende il contesto molto buono.

The Jab

Cotume di Dio ha il suo punto forte nell’armonia. L’alternanza di stili dei The Jab è lo stile dei The Jab. Già visto, già sentito, tutto ciò che vi pare ma ha una coerenza granitica nell’insieme e, data anche la giovane età, ritengo sia una considerevole qualità. Interessante aver lasciato alcune registrazioni in ripresa, tipo il ‘click’ del metronomo e alcuni scambi tra musicisti e regia. A me queste cose piacciono parecchio perché danno un tocco di umanità che avvicina l’ascoltatore, lo rende quasi partecipe.

Amici Di Nessuno è tutta una critica, a tratti feroce e senza grandi motivazioni, al gioco degli show televisivi, non per i meccanismi di competizione ma per la sfumatura umana. Sembra stiano sputando nel piatto dove hanno comunque mangiato e, se si parte dal titolo della canzone, basta fare due più due. Di persone psicolabili, meschine e maliziosamente oscene ne è pieno il mondo. Tutti parlano di ciò che conoscono, di cui hanno esperienza, tuttavia anche una spesa al mercato avrebbe potuto produrre risultati simili. Va bene così.

La Costenzo (Demo Version) differisce di poco dalla sua controparte. Forse più ‘club’ nell’impostazione con fiati e pause coinvolgenti. Non sarà la quinta sinfonia di Beethoven ma, scritta da un gruppo di ragazzi con meno di venti anni (all’epoca), gode di un suo perché se, guarda caso, si contestualizza.

Ci dispiace per Anna ma senza di lei avremmo vissuto bene uguale. La frenesia finale ed i dieci secondi scarsi di assolo di chitarra non bastano ad ancorare l’attenzione dello spettatore ad un brano debole e senza mordente.

Chiude il sipario una canzone degna di nota, Birkenau. I The Jab riescono a trattare un argomento molto delicato senza snaturare la loro maniera. Preferisco non dilungarmi e lasciare a chi ascolta il compito di costruire la propria considerazione. Personalmente l’ho apprezzata parecchio.

Il jab come primo approccio allo scontro.

Non sono un esperto di boxe ma non credo si debba essere un giovane Nino Benvenuti per capire che il jab è il primo approccio allo scontro, in termini pugilistici. Questo è Tutti Manifesti, un principio.

I temi trasversali trattati dai The Jab aprono a un pubblico potenzialmente vasto. Tuttavia, anche a fronte di soluzioni musicali non proprio banali, il target di riferimento resta quello dei giovanissimi. Molto verte sull’intima insofferenza tipica dei ventenni, dove quasi tutto comporta una battaglia e ogni cosa ha sempre un risvolto amaro. Tutto questo è stato tradotto in musica con gusto e, in tutta sincerità, mi è piaciuto, sorvolando alcuni momenti del tutto trascurabili.

Mario Aiello

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