Diego Maradona è il nuovo docu-film firmato da Asif Kapadia, regista premiato con l’Oscar nel 2016 per il suo documentario su Amy Winehouse. La pellicola, distribuita da Nexo Digital e Leone Film Group, sarà proiettata nei cinema italiani solo il 23, il 24 e il 25 Settembre.
Il film, incentrato sulla vita (fuori e dentro dal campo) del campione argentino, contiene interviste esclusive ed immagini inedite di uno dei personaggi più controversi del XX secolo.
I Contenuti di questo Articolo:
Diego Maradona: da Villa Fiorito al tetto del Mondo
«Il calcio si basa sull’inganno: fingi di andare da una parte e vai dall’altra»
Diego Maradona racconta la storia di Diego e di Maradona, due anime di un campione sregolato indistinte e sconosciute prima del successo planetario. In ordine cronologico, nel documentario si analizzano tutti i passaggi che hanno condotto il piccolo Diego dalla favela argentina di Villa Fiorito al tetto del mondo.
L’intento di Kapadia di rappresentare distinguendo la vita dell’uomo da quella del calciatore/personaggio pubblico riesce egregiamente. Il regista inglese restituisce, da immagini di repertorio ed oltre 500 minuti di girato inedito, un affresco realistico ed onesto dalle origini del mito alla discesa negli inferi.
Il successore di Pelé.
Da ragazzino Diego veniva da più parti indicato come l’erede al trono de O Rei, Pelé. Ma quando gli chiedevano cosa pensasse dell’accostamento rispondeva di voler essere soltanto Maradona e realizzare due sogni: comprare una casa per la famiglia e vincere i mondiali. Il primo si realizzerà all’età di 15 anni, quando da giocatore dell’Argentinos Juniors inizierà a sostenere economicamente la (povera) famiglia Maradona. Per il secondo passeranno altri dieci anni. Nel mezzo il passaggio al Boca Juniors, prima, e il contratto milionario col Barcellona, poi.
In quegli anni, in più di un’occasione Pelé rimarcò che Diego fosse sì un grande giocatore ma al talento mancasse la testa per essere il migliore.
Maradona alla conquista del mondo
Dopo i trascorsi spagnoli turbolenti – due anni in catalogna e soltanto qualche coppa nazionale in bacheca – Diego riesce ad ottenere la cessione al Napoli. Un’operazione incredibile all’epoca che portò uno dei giocatori più forti e promettenti all’ombra del Vesuvio.
La nuova sfida per Maradona era l’adattamento al campionato italiano, tra i più prestigiosi e difficili di quegli anni. Diego era cosciente delle sue doti e sapeva bene che per competere ai massimi livelli aveva la necessità di trovare un equilibrio stabile tra tecnica e velocità, un compromesso tra fisico e cervello. Fondamentale in questa ricerca fu l’opera di Fernando Signorini, personal trainer e mental coach di Maradona, che, lavorando sulle insicurezze, contribuì a trasformare un giocatore molto dotato nel Dio del calcio.
Napoli, città di amori e dolori
Maradona a Napoli trova terreno fertile per incanalare al meglio la rabbia che si trascina dietro dalla nascita. I Napoletani sono il popolo ideale da condurre all’agognata vittoria contro gli atavici nemici del nord. La città e Diego desiderano entrambi riscatto e riconoscimento sociale.
Degli anni napoletani vengono rappresentati i rapporti controversi coi Giuliano di forcella, in particolare con Carmine, gli amori dichiarati e nascosti con Claudia (la compagna di sempre), Heather Parisi e Cristiana Sinagra, la madre di Diego Junior.
Gli eccessi, i vizi, le virtù e le magie di un giocatore che ha esaudito il sogno di un popolo ricevendo in compenso amore incondizionato. Un rapporto che negli anni si complicherà, complice anche la dipendenza dalla cocaina, e spingerà Diego, l’uomo, a chiedere a più riprese la cessione.
Una storia che si chiude con un epilogo tristissimo: la squalifica per doping nel ’91.
La consacrazione del Mito
Nei primi due anni a Napoli il campione argentino non aveva ottenuto grandissimi risultati. C’erano stati alcuni episodi significativi (le vittorie in casa delle big) ma tutto sommato mancava il salto di qualità. Maradona era ancora quel grandissimo giocatore di talento che aveva conosciuto Pelé.
Il passaggio da uomo a divinità avviene durante i mondiali di Mexico ’86. La mano de Dios ed il goal più bello del mondo non lasciano spazi ad incertezze: Diego Maradona è il giocatore più forte in assoluto. Genio ed inganno in grado di trascinare una squadra modesta alla vittoria finale. L’essenza del campione è tutta qui. Nessuno come lui.
Tornato in Italia vince il campionato col Napoli. Dopo aver maturato l’idea di poter battere potenze mondiali come Germania ed Inghilterra figurarsi se temeva di affondare le blasonate Juventus, Milan ed Inter. Ma stavolta non bastava più batterle sul campo, occorreva rovesciare il banco. Maradona portò quel cambiamento di mentalità necessario al grande passo. Il rimpianto di non aver vinto in Argentina il mondiale del ’78 fu compensato in parte dalla consacrazione a Napoli, la sua città.
Da quel momento in avanti acquisì la consapevolezza di essere il migliore, l’indiscusso numero 1 del calcio mondiale. E così cominciò a replicare in serie le vittorie, prima in Europa, con la conquista della coppa Uefa nel 1989, e di nuovo in Italia, col secondo scudetto nel 1990.
Napoli per Diego e Maradona purtroppo furono patria e carcere. Da giocatore aveva dato tutto, da uomo voleva liberarsi dalle enormi pressioni e godersi il finire di carriera in un campionato più tranquillo. L’inevitabile scontro con Ferlaino e la dipendenza dalla cocaina porteranno alla fine dell’idillio.
Gli anni ’90 e il crepuscolo del Dio
Durante i mondiali del ‘90 Maradona aveva contro tutti. La sua Argentina, riempita di insulti su tutti i campi, era il nemico da battere. Prima della semifinale contro l’Italia, disputata proprio al San Paolo, Diego con un sorriso ed una certa serietà invitò i napoletani a tifare per lui. L’Argentina passò ai rigori, ma perse in finale contro la Germania. Fu la rivincita dei crucchi, anche se decretata da un rigore discusso. Per il pibe de oro invece segnò l’inizio della fine.
A distanza di pochi mesi arrivò la notizia dell’imputazione per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti (patteggerà una condanna ad un anno e due mesi di reclusione, con pena sospesa). Il 17 Marzo 1991 la squalifica per doping, senza precedenti nel nostro campionato, a seguito di un controllo dopo la gara con il Bari. Questa data segnerà a tutti gli effetti la fine dell’esperienza napoletana e della sua carriera calcistica, perlomeno a certi livelli. Un ulteriore triste risvolto si avrà ai mondiali Usa del ‘94 con un’altra squalifica per doping, questa volta per efedrina (sostanza utilizzata per dimagrire).
Appese le scarpette al chiodo arriveranno l’arresto in Argentina, la riabilitazione in un ospedale psichiatrico ed il ricongiungimento con Diego Junior.
Diego Maradona: il ritratto dell’uomo e del campione
La storia di Diego Maradona è quella di un uomo solo, un campione amato e odiato che ha saputo ritagliarsi uno spazio significativo nella storia del secolo scorso.
Un ragazzo poco più che ventenne divenuto, per le sue abilità e le sue dichiarazioni, bersaglio e nemico giurato di molti. Di una certa stampa, di presidenti e tifosi invidiosi, di organizzatori e addirittura di nazioni.
Guardando Diego Maradona il parallelismo con altri precedenti lavori viene quasi automatico. In particolare con il Maradona di Kusturica del 2008 che tuttavia, a differenza di Kapadia, focalizza l’attenzione sull’impatto politico-sociale del campione argentino.
Maradona il peso delle responsabilità lo conobbe da subito: a 15 anni manteneva la famiglia, a 25 trascinava l’Argentina alla vittoria dei mondiali. Un ragazzo con i suoi vizi e le sue virtù, ma pur sempre un ragazzo. Un particolare troppo spesso omesso e trascurato nelle analisi del fenomeno. Un’esperienza che può insegnare tanto. E questa credo sia la migliore ragione per andare al cinema a conoscere alcuni particolari (inediti) di una storia incredibile, una storia di calcio, una storia di vita. La storia di Diego Armando Maradona.
Salvatore D’Ambrosio