Cesare Basile torna con Cummeddia, nuovo album pubblicato lo scorso 11 Ottobre, a distanza di quasi tre anni dal precedente “U Fujutu su nesci chi fa?”.
(Si potrebbe quasi dire che) Una delle specialità della musica italiana è rappresentata dal percorso artistico di quei musicisti che hanno iniziato facendo musica in qualche modo vicina ad un linguaggio internazionale, per poi avvicinarsi sempre di più alle loro origini, alla musica, alla lingua e alla tradizione della terra natìa.
Penso a Vinicio Capossela, Enzo Avitabile, in una certa misura Fabrizio De Andrè, a modo suo Giovanni Lindo Ferretti, per fare qualche nome. A questa lista va aggiunto Cesare Basile, cantautore catanese la cui discografia rimane ad oggi patrimonio di una piccola comunità di fan appassionati, che, insieme alla critica e alla comunità italiana dei musicisti, le riconoscono però un valore artistico altissimo.
In viaggio con Cesare Basile alla riscoperta delle origini
Partito insieme ai Candida Lilith e poi ai Quartered Shadows dal post-punk, dal rock e poi da una forma di cantautorato autoriale ed elettrico, da qualche anno Cesare ha iniziato un percorso di studio e approfondimento della musica e della lingua della sua terra e di tutte le culture che nei secoli l’hanno contaminata.
Un percorso che lo ha portato a scrivere sempre di più in siciliano antico, a ibridare i suoni del meridione con quelli del rock e del blues, quello americano ma soprattutto quello africano, fino a creare un canto del Sud dove chitarre, percussioni e voci convivono nell’orizzonte assolato di una Sicilia senza tempo.
Senza tempo come sono le storie raccontate, storie di travagghiu e patruni, Cristi e straccioni, sangue, terra e lacrime, racconti che restituiscono anche lo spessore della visione politica di Basile. Quella impregnata di anarco-socialismo, che è sguardo empatico verso le vicende degli ultimi della Storia, ma anche la prospettiva militante di un attivista di lungo corso in esperienze come quella del Teatro Coppola autogestito di Catania, di un autore da sempre schierato.
Anche a costo di prendere decisioni difficili, ad esempio rifiutare il premio Tenco nel 2013 per prendere posizione a difesa del Teatro Valle Occupato e degli altri teatri e spazi autogestiti d’Italia, sotto attacco da parte di SIAE in una controversia che aveva finito per coinvolgere il Club Tenco.
È importante partire da qui, dalla storia di Cesare, per parlare della sua ultima uscita, perché ‘Cummeddia’ è il prosieguo del discorso avviato con gli ultimi album, in particolare da alcune canzoni di ‘U fujutu su nesci chi fa?” del 2017, come la title-track e ‘Lijatura’. Brani in cui l’intreccio di chitarre e voci spostava la rotta un po’ più a sud della Sicilia e del vicino Maghreb, verso l’oceano dorato del Sahara.
‘Cummeddia’ parte proprio da qui, da arpeggi e legature a voci incrociate che disegnano le ampie distese assolate del deserto, sulle tracce del Mali blues di Ali Farka Touré e del tichumaren, il desert rock tuareg di Tinariwen o Tamikrest. Come seguendo la scia di carovane nomadi, ora a ritmo sostenuto, ora rallentando in paesaggi notturni e raccolti.
La cometa di Cesare Basile nei cieli del Sud
La Sicilia diventa così il vertice di un triangolo immaginario che va ben più in là del bacino mediterraneo, uno spazio sconfinato sorvolato dalla ‘cummeddia’, che in siciliano è l’aquilone o la cometa. La cometa attraversa diversi episodi del disco, a partire dalla title track in cui il narratore si chiede quali racconti porti con sé. E la cometa porta storie antiche, storie nascoste come quella della persecuzione ai danni degli omosessuali catanesi negli anni ‘30, mandati al confino dal prefetto fascista Molina per “sanare la mascolanza” italiaca; porta il rifiuto dei padroni e della bandiere(“non canto la Patria/ma chiamo paese/tutti i dolori”, ‘Mala la terra’), ma allo stesso tempo l’orgoglio per l’identità tormentata di siciliano e meridionale (‘E sugnu Talianu’), porta storie d’amore e di musica. Ma soprattutto, la cometa è “segno infausto, presagio di sventure pubbliche, monito divino, annuncio di peste”.
“La regola è la peste”. La peste e il suo ordine che, come ci dicono Camus e Focault, è il germe del potere più bieco e totalizzante, il germe di un male morale e politico che porta l’uomo a “fare cose nere”, azzannarsi e scannarsi con i propri simili (l’apocalittica ‘Cchi voli riri’). Davanti a quest’ordine, “l’unico gesto è la rivolta, quando la cometa aquilone annuncia non il castigo ma un nuovo cominciamento”. La cometa è segno di sventura pubblica, ma può anche essere segno di riscossa e rivolta, come quella che in questi giorni, dai suoi social, Cesare si augurava per il Rojava, il Cile, l’Amazzonia.
Cummeddia: una miscela di suoni da ascoltare con cura
‘Cummeddia’ è un album denso e coerente, quasi un concept dove contenuti e temi ritornano, seguendo il flusso del suono di una Sicilia desertica. Un sound che aggiunge un nuovo tassello al mosaico musicale di Cesare Basile, in cui le sonorità del meridione d’Italia arretrano, pur senza mai scomparire (‘L’Arvulu russu’), dove compaiono coloriture elettroniche (sempre ‘L’Arvulu rossu’), e che si fa portatore di una tradizione musicale fortissima e affascinante che è anche una novità quasi assoluta nel panorama italiano.
Del resto, la via sicula al desert/tuareg blues è costruita con la collaborazione in tutti i brani del percussionista e produttore siciliano Alfio Antico, del batterista e compositore americano Gino Robair e di Hugo Race, musicista e produttore già con Nick Cave & The Bad Seeds, oltre che di Rodrigo D’Erasmo e Roberto Angelini, e già questo basterebbe a dare idea dello spessore musicale. Per il resto, c’è solo da ascoltare con attenzione.
Sergio Sciambra