Nell’Erba Alta è il nuovo film targato Netflix ispirato ad un racconto di Stephen King: tra fantascienza e horror, il campo d’erba è un nemico pericoloso.
Stephen King non ha certo bisogno di presentazioni. Maestro contemporaneo dell’horror è conosciuto anche da chi non ha mai letto un suo romanzo. Dopotutto, la sua produzione è talmente ampia che lo è altrettanto quella filmica ispirata ai suoi lavori.
Romanzi “d’eccezione” come Shining, Carrie, La Zona Morta, Christine sono stati curati nella riduzione filmica da padri del cinema come Stanley Kubrick, Brian De Palma, David Cronenberg e John Carpenter.
Ma anche la moltitudine di racconti brevi hanno visto luce cinematografica: Nell’Erba Alta ne è un esempio.
Tratto da un racconto di Stephen King e suo figlio Joe Hill, pubblicato in due parti sulla rivista Esquire nel 2012, Nell’Erba Alta è diretto da Vincenzo Natali e distribuito sulla piattaforma Netflix (non estranea ai lavori di King, già produttrice di Il Gioco di Gerald e 1922).
Nell’erba alta, l’inquietante storia tratta da un romanzo di Stephen King
Trama
Una ragazza incinta e suo fratello, durante una breve sosta del loro viaggio in macchina, sentono le grida di un bambino che cerca aiuto provenire dal campo che costeggia la strada. L’istinto materno della ragazza è più forte di quello di conservazione del fratello, ed i due protagonisti si addentrano tra la coltre d’erba. Da subito si capisce che quel campo non è solo un campo dalla fitta vegetazione, ma un non-luogo capace di rielaborare le leggi del tempo e dello spazio. E che non sono le uniche vittime di questo misterioso.
TRA FANTASCIENZA ED HORROR
Il regista di origini italo-britanniche non è nuovo a situazioni inquietanti e perturbanti. Famoso, specialmente per aver diretto The Cube (1997) e di Splice (2009), sembra aver trovato nel racconto di Stephen King un felice sposalizio dei due suoi titoli più famosi. In aggiunta, un pizzico del suo lavoro meno conosciuto, Nothing (2003).
Il campo di erba, dopotutto, è un luogo labirintico capace di creare mostri.
Fin dalle prime scene, è chiaro che oltre quel terreno di erbacce che costeggia le grandi strade rurali degli USA c’è dell’altro. I suoni cambiano posizione, le coordinate spaziali si confondono, gli oggetti spariscono.
Come in un film di fantascienza, la grammatica cinematografica attesta l’impossibile: dimensione spazio-temporale lontana dalla comprensione. Ed è su questo concetto che si innesta una tematica horror molto cara a Stephen King: il luogo fisico come “essere vivente”.
Nelle narrazioni di King, spesso, ci si è ritrovati davanti luoghi – l’Overlook Hotel di Shining, la tenuta di Rose Red, il bosco de La bambina che amava Tom Gordon, solo per citarne alcuni – che, come fossero identità vive, intrappolano e serrano i malcapitati che vi si addentrano. Il campo di erba è il vero e proprio antagonista della pellicola.
Ma non è un mero “cattivo” fisico: la sua natura misteriosa porta i personaggi a destabilizzarsi, li costringe a mettere in discussione loro stessi, le loro azioni e a rivelare una natura più ferina e “primitiva”.
IL TEMPO RELATIVO
Il tempo è un altro “personaggio” fondamentale della storia. Si sfalda, si dirama in molteplici linee che non possono convergere ma soltanto coesistere. Entrare nell’erba sottende una scelta che ne condiziona altre. Quando un personaggio agisce crea diversi “tempi”, alternative possibili, ognuna delle quali coesiste nel medesimo spazio.
I protagonisti sono perduti, costretti a vivere esternamente il loro futuro ed osservare le proprie scelte sbagliate. Insomma, quel misterioso terreno li mette davanti alle proprie responsabilità.
È chiaro che né Stephen King né Vincenzo Natali vogliano realizzare una storia “filosofica”, ma è altrettanto chiaro che lo spunto narrativo diventi propulsione per più di una riflessione.
Nonostante un ritmo altalenante, tra momenti più “introspettivi” e altri maggiormente da action-horror, Nell’Erba Alta traduce con efficacia le atmosfere di Stephen King.
E, per come è strutturata la pellicola, le inquietudini che crescono nello spettatore, sono la matrice principale per godersi la visione. Dopotutto, non c’è catarsi senza sofferenza.
Leonardo Cantone