The Handmaid’s Tale è la serie tv targata HULU, tratta dall’omonimo romanzo distopico di Margaret Atwood, in cui si descrive un regime teocratico repressivo ed estremista, La repubblica di Gilead, che obbliga le donne fertili (dette Ancelle) a prestare il proprio utero alle ricche famiglie che governano la città e la cui oppressione non ammette alcun tentativo di ribellione.
La drammaticità delle vicende, la profondità degli sguardi, la crudezza delle scene, la rassegnazione a un presente dilatato che sembra non diventare mai passato, fanno sì che lo spettatore si ritrovi catapultato in quella realtà e viva con la protagonista, June, la rabbia e la speranza di una tregua.
Difred (è il patronimico della famiglia a cui viene affidata perché diventa proprietà del suo comandante Fred) non solo è costretta rinunciare al suo vero nome (June) ma anche e soprattutto alla sua libertà. È una condizione comune alle Ancelle ma mai come in questo caso ella si rivela una protagonista nel senso primo del termine: da protos “primo” e agonistes “combattente”.
The Handmaid’s Tale – Il racconto dell’ancella
Interpretata da un’ancestrale Elisabeth Moss, June attua continuamente una lotta alla sopravvivenza in cui tenta di non abituarsi mai a quel presente ma cerca di vivere e osservare ogni cosa da più prospettive per non fossilizzarsi in un vicolo cieco annullandosi ulteriormente.
La frase che si ripete più spesso è “Nolite te bastardes carborundorum” e cioè “Non lasciare che i bastardi ti schiaccino” che trova scritta per caso nella casa del suo comandante. Si tratta di un monito che la spinge a tenere lontana la rassegnazione e a mostrare in maniera cruda, violenta, tragica quanto sia impossibile accettare da madre e da donna un’oppressione di tale portata.
Più che i pensieri e le parole di June, sono i suoi occhi spesso a comunicare. In quel regime guardare ed essere guardati è una delle cose più pericolose. Prima nessuno si poneva il problema di essere visto, adesso è una regola. È una delle poche cose che riempie le giornate evanescenti, fitte e monotone a cui si cerca di soprassedere.
Anche nella società contemporanea l’essere notati è una condizione onnipresente che talvolta si dimentica o ci si illude sia momentanea. La genialità di questa serie televisiva è proprio quella di indurre lo spettatore a riflettere sul presente, ma non per edulcorarlo affinché il nichilismo si diradi bensì per far luce sugli aspetti più crudi della realtà per meglio combatterli.
“Il racconto dell’ancella non è una profezia perché nessuno può realisticamente predire il futuro. Ci sono troppe variabili e possibilità improvvise. Diciamo piuttosto che è un’antiprofezia: se questo futuro può essere descritto dettagliatamente, forse potrebbe non accadere” ha affermato Margaret Atwood, autrice del libro da cui la serie è tratta.
Il traffico di donne nel rapporto di Human Right Watch
“(…) Mi picchiavano e spesso mi lasciavano senza mangiare. La mia colpa era di non restare incinta di quell’uomo che mi stuprava ogni giorno”
“Ogni giorno dovevo pulire la casa, lavare i panni di tutta la famiglia, cucinare per loro. Ero la loro schiava. Quando è nato il bambino mi hanno cacciata via”
“Una mattina mi hanno fatta vedere a dieci uomini e uno di loro mi ha comprata e ha cominciato a violentarmi ogni giorno. Quando è nato il bambino, poco dopo, mi hanno rivenduta a un altro uomo”
Queste invece non sono citazioni tratte dalla serie ma sono alcuni frammenti delle 37 testimonianze che si leggono nel rapporto “Give us a Baby and we’ll let you go” dello scorso 21 Marzo di HRW (Human Right Watch) in cui si denuncia il traffico di migliaia di donne dello stato di Kachin dalla Birmania alla Cina. Quello che l’Atwood pensava e forse sperava non sarebbe accaduto è invece sotto i nostri occhi e si ripete esattamente come nel suo racconto: i bassi tassi di natalità cinesi hanno provocato questo terribile esodo di cui è difficile stimare l’esatto numero di abusi, di violenze fisiche e psicologiche, di uteri usati come macchine, di bambini considerati prodotti.
In seguito a ciò, questa serie diventa una vera e propria parabola, un invito a coltivare l’aspirazione dalla trascendenza intesa come spirito anagogico che possa sollevarci da terra per osservare dall’alto la piccolezza e l’effimero materialismo a cui si è soliti ricondurre la condizione umana.
The Handmaid’s Tale è un grido contro l’ideale della donna vista come un oggetto antropomorfico in grado di badare alla casa e “produrre” figli sull’orlo del silenzio, tra gli interstizi vuoti delle vite degli altri, con il peso di un’identità imposta, provando a sopravvivere con l’illusione che almeno il tempo sia proprietà privata, come facevano le Ancelle.
Tutto ciò ha portato la serie a collezionare oltre trenta riconoscimenti internazionali. In attesa delle prossime nomine non resta che continuare a ripetere: “Nolite te bastardes carborundorum”.
Santina Morciano