Massimo Zamboni – Macchia Mongolica: tra suggestioni e sonorità lontane

Ritorniamo con piacere a parlare di Massimo Zamboni che, a poco più di un anno dal progetto Sonata A Kreuzberg, presenta il suo ultimo lavoro Macchia Mongolica.

L’album, in uscita il 31 Gennaio per Universal, è composto da tredici tracce perlopiù strumentali, con evidenti richiami alle atmosfere dell’Asia orientale.

Il tema del viaggio che trascende il tempo, manifestandosi attraverso nuove sensazioni da antichi ricordi.

L’incipit dell’opera parte da lontano nello spazio e nel tempo. L’analogia Con Sonata A Kreuzberg non è casuale, sembra consolidare un modus operandi particolarmente affine alle caratteristiche artistiche del Massimo Zamboni arrangiatore, compositore e strumentista. Non solo, ovviamente. Macchia Mongolica, per la logica appena esposta è anche un libro scritto a quattro mani con la moglie Caterina Zamboni Russia (edizioni Baldini e Castoldi), oltre ad una pellicola diretta da Piergiorgio Casotti.

Si chiude così il trinomio che negli ultimi anni ha con più forza sospinto l’attività musicale dell’autore e cominciamo a comprenderne i tratti caratteristici con maggiore definizione. Nonostante, a questo giro, si senta la mancanza di qualcosa da vedere. Approfondiremo poi.

Il tema del viaggio dunque. Quando si fa ingombrante la differenza tra ‘viaggiare’ e ‘spostarsi’. Tralasciando il secondo, è sui crismi del primo che Massimo Zamboni fa ruotare l’intero LP. Ora con mire strategiche alla funzione di colonna sonora, ora con imponenti flussi di coscienza strumentale. Correnti impetuose e coinvolgenti.

Come detto il principio nasce da lontano: un viaggio con la moglie alla scoperta della steppa tra Russia e Cina. Un’avventura culturale che rivela i suoi frutti anche a distanza di ben venti anni. Molti altri i dettagli intimi che prenderanno forma durante e dopo i passi in Mongolia. Uno su tutti il legame spirituale che lega quei territori con la figlia di Zamboni. Le suggestioni sanno manifestarsi con strabilianti ‘coincidenze’. Doveroso seguirle, soprattutto se panacea di elementi artistici.

Massimo Zamboni - Macchia Mongolica

Massimo Zamboni – Macchia Mongolica (copertina)

 

“Fra animali mitologici, leggende antichissime, paesaggi che diventano luoghi dello spirito”.

Lo stesso Massimo Zamboni descrive così la riproduzione di Macchia Mongolica. Afferrare il suggerimento per predisporsi all’ascolto è fondamentale. Stavolta, come detto, si percepisce la mancanza di qualcosa di importante. Il ruolo delle composizioni è strettamente collegato alla funzione di colonna sonora. Certo, con tutti i pregi ma anche i difetti del caso. Il veicolo spirituale è condicio sine qua non per godere appieno l’esperienza. Immergersi letteralmente nell’estasi mistica che attraverso le note viene proposta, non è affare di molti, ahinoi. Armonizzarsi al sussulto sonoro attraverso le frequenze peculiari delle musiche può spiazzare chiunque, anche chi sta compilando questo contributo in un frenetico lunedì mattina.

Macchia Mongolica: indagine sull’altrove che è in noi.

Macchia Mongolica, per armonie e ambientazioni, si rifà con decisione alle sonorità orientali che, seppur a sensazione, un ascoltatore ignaro può facilmente ricondurre proprio a quei territori. Lo sviluppo resta invece ‘fedele alla linea’ compositiva di Massimo Zamboni, qui coadiuvato dal Cristiano Roversi e Simone Benvenuti. Una iperbole di acquisizione e riproposizione, in chiave contemporanea, semmai ‘occidentale’, che accompagna col giusto sostegno idee e sogni. Mettere in musica una determinata “immersione spirituale” tanto avvincente e, per certi versi, indissolubilmente personale è un’impresa. Tuttavia la mission prefissata di fornire “un’indagine sull’altrove che è in noi” si può dire raggiunta con grande soddisfazione. Ma non avevamo dubbi.

Mario Aiello

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