Non è la prima volta che Bugo decide di mettere la propria faccia sulla copertina di un disco. Nel 2004 l’immagine di sé stesso decapitato in Golia & Melchiorre venne poi censurata. Per il suo nono album in studio manca il verso macabro, ma soprattutto il cantante sceglie di firmare il disco intitolandolo col proprio nome di battesimo, ovvero Cristian Bugatti.
Cristian Bugatti: le scelte che portano Bugo ad esternare una ritrovata individualità.
Ragionando per semplici incastri è facile intuire finalità e messaggio di tale preferenza: la necessità di ripresentarsi al grande pubblico, complice la partecipazione al Festival di Sanremo 2020, richiedeva un approccio elementare, ridotto ai minimi termini, che avrebbe lasciato spazio solo in seguito ad un altro tipo di critica. Presentarsi così, spoglio dai tanti orpelli di stravaganza ai quali ci ha da sempre abituato, col senno del poi (riferito alla diatriba con Morgan) ha una valenza ulteriore.
Inutile sottolineare che le risposte a molte domande arrivano tutte dalle nove canzoni che compongono il disco, pubblicato il sette Febbraio scorso.
Bugo: da La Prima Gratta a Cristian Bugatti sono trascorsi venti anni esatti. Tutti percorsi con inimmaginabile costanza, senza trascurare sperimentazioni e ritorni stilistici. C’è chi ha avuto il barbaro coraggio di ironizzare circa la sua partecipazione al Sanremo.
L’autore classe 1973, dai natali lombardi ma piemontese di adozione, è stato, nei limiti geografici italiani e temporali di inizio millennio, un pioniere assoluto. Non esisteva l’indie negli anni novanta. Al tempo si usavano termini diversi: ‘alternative’ e ‘underground’. Bugo non solo li ha rappresentati entrambi, vantando favore di critica nostrana ed estera (The Guardian, Rolling Stone), ma ne ha anche fatto un anello di congiunzione tra il mondo sommerso delle produzioni indipendenti di fine secolo e quello che sarebbe venuto diversi anni dopo.
Tutto questo inondando il proprio repertorio con ricercata eccentricità. Per lui tratto naturale, per molti bizzarria ineguagliabile.
Di acqua sotto i ponti ne è passata dal quel lontano Dal Lofai Al Cisei. Le fasi compositive e le influenze di stile le ha passate tutte, tra cui anche: folk, pop, rap, elettronica e così via. Addirittura ha avuto modo di tornare alle origini con BugoRock (raccolta di editi in chiave rock). La scena mainstream ha cominciato a riservargli parecchie soddisfazioni dopo il singolo Casalingo per poi lasciargli via via sempre meno spazio ma, paradossalmente, maggiore reverenza.
La ricetta per il suo ultimo LP è molto diversa dai fasti degli esordi, tuttavia, e con ogni probabilità, la divergenza è solo nella forma. I contenuti restano aderenti al concetto di “fantautore” a cui Bugo è da sempre accostato. Vorrei citare chi partorì il neologismo ma, ahimè, mi sfugge.
La premessa è d’obbligo. Soprattutto quando leggo recensioni che non fanno altro che smontare e rimontare la figura dell’artista in base a legittimi gusti personali e non meglio definite analisi critiche. Per molti uno come Bugo non deve uscire fuori dal suo stesso seminato, se non nel modo in cui altri decidono il come debba farlo. Delirio.
Per comprendere questo passaggio è necessario, ovviamente, prendere Cristian Bugatti e premere il fatidico ‘play’.
Cristian Bugatti: panoramica sulle tracce.
Si parte subito anteponendo un approccio ‘user friendly’ nei confronti dello spettatore. Quando Impazzirò è costruita secondo il credo per cui un ascolto meno spigoloso sia buona norma. Le strofe minimali basso e voce, unite al pre ritornello di simile impostazione, fanno sì che tutta l’enfasi poggi sul refrain orecchiabile, da canticchiare immediatamente, sospinto da dinamiche andanti. In versi: il canto di una relazione vera che si immagina surreale, senza il bisogno della nevrosi clinica ma che ne anticipa il momento.
Il brano portato in gara a Sanremo lo conosciamo tutti. Sincero (feat. Morgan) gode, come moltissime composizioni usate per la gara dell’Ariston, di una migliore resa nella versione in studio. La voce di Morgan ha davvero un senso compiuto ed il featuring centra in pieno l’obiettivo. Al momento non riesco ad immaginare come sarà dal vivo, con la voce del solo Bugo ad articolare le strofe interpretate dalla raucedine cronica del buon Castoldi. Vademecum per un’esistenza meno stressata con sfumature di rimorso e tiepido rimpianto. E niente, non si può in nessun modo non pensare alla diatriba tra i due nata al festival.
Come Mi Pare spariglia la coppia di partenza facendo leva su un funk appena accennato. Entrano a pieno ritmo anche i fiati, veri o presunti tali non saprei. Il ballo come modulazione animalesca di istinti primitivi contrapposti a superflue sovrastrutture. Una su tutte l’uniformità di una massa poco consapevole.
Malinconia e tratteggio quasi bucolico sono le caratteristiche principali di Al Paese. Purtroppo non c’è molta campagna o ampie distese verdi nel testo della canzone ma la sensazione, trasposta in termini di tempo e spazio, è la medesima. Qui il ritornello può davvero perforare il lobo frontale e restare per tutta vita nella memoria avvizzita di chi ascolta. In Cristian Bugatti si raccontano anche delle sorprese che un paese, un piccolo centro in provincia, può regalare nonostante la costante normalità delle sue anime.
A metà LP Bugo si cimenta in riuscitissimi versi profetici.
“che ci vuole a tirarsela un po’, basta dire che Sanremo fa cagare. Ci vuole a diventare famosi basta un vaffanculo in tv”
Incredibile! Qualcuno ha sollevato dubbi sulla veridicità della diatriba tra l’autore e Morgan. Io credo ai fatti, ma la cosa è singolare. Musicalmente la canzone riprende i crismi espressivi dei Lynyrd Skynyrd, è palese, d’altronde il testo annuncia anche questo. Che Ci Vuole non è solo profezia e mistero, ma anche racconto del bieco pensiero italiota, mentre un ironico uh uh uh di tanto in tanto ci prende in giro.
Fuori Dal Mondo è il pezzo più debole della selezione. Ha il pregio di raffreddare gli animi prima del migliore, a mio parere.
È il momento di Mi Manca (feat. Ermal Meta). Mi accodo al nutrito gruppo di chi pensa convintamente che la canzone giusta da portare a Sanremo fosse questa, restando in tema duetti. Riuscire a farmi digerire Ermal Meta è cosa ardua (anche se non gli contesto le indiscusse qualità di autore). Stavolta tutto sembra essere costruito con parsimonia e la vena malinconica del riff, preso direttamente dagli anni ‘70, lenisce ogni prurito di stizza. Quello con Morgan è un featuring di senso, questo è invece semplicemente perfetto. Anche se permane il limite di assegnarsi delle parti e interpretarle da soli. Bugo descrive i tempi che furono, l’adolescenza e i rapporti di amicizia. Tutto attraverso le piccole attività quotidiane di quegli attimi, tanto diversi dalle interazioni di oggi. Lo sguardo triste ad un passato così coinvolgente che riempie i vuoti dovuti all’insipidezza della vita da adulti.
Goliardia (quasi) latina sulle note di Un Alieno. Costrutto di tutto rispetto sulla condizione contraddittoria, se vogliamo, di estraneità intrinseca che affligge buona parte delle persone che fanno fatica a distillare buone vibrazioni dalle attività più inflazionate del vivere contemporaneo. Quindi sì, un alieno. Più alieni.
A Stupido Eh? Tocca l’ingrato compito di chiudere il cerchio e salutare in modo figurato il pubblico che riscopre un Bugo assai diverso da quello idealizzato negli anni. Tornando alla canzone, il piglio proviene dal migliore Battisti mentre si dibatte sulle impressioni di necessità, prive degli arzigogoli pomposi del lustro, ma non per questo figlie di bisogni banali. Seconda parte totalmente strumentale, fruibile nonostante non vi siano grossi capovolgimenti di fronte.
Da Bugo a Cristian Bugatti.
Come detto contesto chi, pur avvalendosi di una visione critica e contestualizzata, non ha voluto trovare il buono nel passaggio ad una forma sicuramente più commerciale contenuta nell’album Cristian Bugatti. Vero è che a volte gli artisti scelgono di essere più ‘facili’ da digerire, ma ciò non implica necessariamente il rigetto incondizionato di quanto fatto fino a lì. Bugo lo dimostra così. Nove canzoni che possono piacere a molti, che non piaceranno a tutti, ma che sono comunque intrise della sua modalità espressiva. Le cose cambiano, non vedo perché non sarebbero dovute cambiare anche per lui. Conscio della propria dimensione e capace di flettersi a modi diversi di approcciarsi al pubblico. Pubblico che non è per forza radicalizzato o impossibile da acciuffare. Viva Bugo.
Mario Aiello