Stiamo attraversando settimane isteriche, caratterizzate da tanta paura e crescente angoscia causata dal Covid-19 (o più comunemente, Coronavirus) e da un diffuso senso di disorientamento; in questo contesto, le fake news danno la mazzata definitiva.
Non sono un medico, men che meno uomo di scienza, posso solo consigliare di reperire informazioni attraverso fonti affidabili, ma se c’è qualcosa che posso (e voglio) fare è cercare di analizzare le prime, disastrose conseguenze delle misure di contrasto al virus sul diffuso impianto economico che la cultura muove in Italia.
“La vita continua normalmente o quasi, si tratta di precauzioni che possono sembrare eccessive ma che vengono prese da persone più esperte di me e voi e che si spera siano limitate quanto più possibile nel tempo.”
Prendo in prestito le parole di Tommaso Gavioli, che suona nel progetto folk-punk Girless e di professione è medico di medicina generale: le istituzioni stanno prendendo decisioni sofferte per il bene di tutti, ma la sensazione è che i danni collaterali, specialmente per il settore della concertistica live, possano essere seriamente devastanti.
Qualche giorno fa la regione Lombardia, la prima colpita da un focolaio di Covid-19, ha emanato un’ordinanza dove si provvedeva (tra l’altro) alla “sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico”. Non si è fatta attendere la risposta di una nutrita rappresentanza dei pubblici esercenti meneghini, mediante una lettera aperta indirizzata al Sindaco di Milano Giuseppe Sala. Oltre cento realtà dove, attraverso modalità eterogenee e si svariati livelli qualitativi, si propone musica dal vivo e non solo.
“Non contestiamo le decisioni prese dalla Regione […] ma quello che chiediamo in maniera accorata è di considerare insieme all’urgenza sanitaria anche l’emergenza economica e sociale”.
Il punto focale della questione è il concreto rischio che tali provvedimenti restrittivi, resi urgenti dalla necessità di limitare quanto più possibile le forme di contagio soprattutto nei grandi centri urbani, possano essere funzionali nel breve termine ma lasciare serie ripercussioni specie nei settori economici che, purtroppo, già in situazioni ordinarie si trascinano malconci sulle proprie gambe. Anche le testate di settore si sono attivate per dare spazio e voce ai promotori di un confronto diretto con le istituzioni per valutare il da farsi all’indomani del 1° marzo, attuale termine dell’ordinanza in attesa di confortanti sviluppo sul piano sanitario. In teoria, sono pochi giorni dove bisogna stringere la cinghia, in realtà si tratta di danni diffusi per molte macchine organizzative.
Ketama126, che sta collezionando sold-out col suo Live Tour 2020 ha annunciato la sospensione dei concerti previsti a Milano e Bologna. Stesso discorso per la data milanese del Management (del dolore post-operatorio, li ricordate vero?), che dopo il rinvio del concerto in programma a Napoli il 22 Febbraio incassa un altro colpo difficile da metabolizzare quando ti rimetti in gioco con un nuovo disco che necessita di quante più occasioni dal vivo per essere proposto.
Necessità condivisa su più livelli, sia che ti aspetta un concerto davanti a duecento persone sia che ti accingi al tuo primo tour nei palasport ed hai già piazzato il tutto esaurito al Forum D’Assago: è di ieri la notizia che i Pinguini Tattici Nucleari hanno rinviato a data da destinarsi tutte le proprie date.
“Una persona che non lavora nel mondo della musica potrebbe pensare che non è un grosso problema, d’altronde le date vengono solo spostate. Chi però sa cosa significa organizzare un evento musicale, capisce che spostare un evento in queste circostanze è un’impresa.”

Riccardo Zanotti, front-man dei Pinguini, ha scritto al giornalista Simone Stefanini uno sfogo tanto accorato quanto lucido, riportato integralmente in questo articolo su Rockit. Credo sia qualcosa di eccezionale, in un momento di profondo sconforto e di (scusate la franchezza) infiniti giramenti di palle come il rinvio di un tour nei palazzetti, riuscire a centrare il punto della questione nel delicatissimo rapporto tra music-business e Coronavirus: organizzare una sequenza di concerti, oggi più che mai, è impresa ardua; bisogna confrontarsi con una sequenza di problematiche enorme (ad elencarle tutte si rischia di far mattino, ed in passato abbiamo approfondito alcune delle più assurde) ed anche l’operatore di settore più esperto non sa che pesci prendere.
Rinviare delle date comporta rimodulare gli impegni dei musicisti (che non stanno tutto il giorno sul divano ad aspettare l’ora X per scatenarsi sul palco, ma sono sempre più impresari coinvolti nella macchina discografica in più modi), dei tecnici (spesso fonici, rider, light designer, tour manager e chi più ne ha più ne metta seguono più artisti con tour in contemporanea, alternandosi di serata in serata), delle etichette discografiche (un disco non può uscire durante un tour, come non può essere pubblicato aspettando mesi prima di portarlo live), dei promoter e dei locali/venue coinvolte nel calendario. Avete una minima idea del danno economico che si sviluppa quando anche uno solo dei fattori non coincide con perfetta armonia?
Nella regione dove attualmente vivo e lavoro, la Campania, per il momento sono state emanate ordinanze relative solo alla chiusura delle scuole di ogni ordine e grado. Cerco di essere quanto più realista è possibile, e non mi risulta difficile immaginare che da qui a breve qualche forma cautelativa potrà coinvolgere anche la dimensione concertistica e degli eventi in generale.
Qui già si suona pochissimo, ad essere sinceri, e gli eventi nel periodo carnevalesco che mi hanno visto impegnato giornalisticamente mi hanno lasciato una sensazione di profonda amarezza: la paura è palpabile, al primo malore durante una sfilata in maschera (che poi si è rivelato un semplice calo di pressione per una ragazza) un bel mucchio di persone ha dato di matto, ed ho avuto un sentore che tra gli organizzatori la parola “Coronavirus” sia un tabù impronunciabile, un po’ come l’abitudine siciliana (rispettosa, in questo caso) di riferirsi al vulcano Stromboli appellandolo “Iddu”. Sono note di colore, dettagli e particolarità da circostanziare, ma in parallelo ci sono domande molto più profonde che mi risuonano in testa.
Coronavirus. E dopo?
Fra tutti i quesiti che posso pormi, quello principale riguarda, all’indomani della crisi-virus, la reale capacità di questo settore economico di (ri)partire efficacemente in piena autonomia, inteso senza aiuti esterni. Non solo la discografia ed i concerti, ma anche i locali che basano su questo ambito la propria offerta commerciale, e più in generale le associazioni, le fondazioni, i musei, i teatri, e tutti i luoghi di cultura che al momento nelle regioni del Nord si sono ritrovati costretti ad interrompere un lavoro programmato nel corso dei mesi impiegando risorse economiche e non solo. Alla base di tutto, persone che vivono attraverso l’impiego nei sovramenzionati ambiti e già in condizioni normali sono oggettivamente poco tutelati dallo Stato.
“Abbiamo elaborato una stima […] che indica una perdita in questa settimana di 10,1 milioni di euro al botteghino e la cancellazione di 7.400 spettacoli”
(Filippo Fonsatti, direttore Teatro Stabile di Torino)
La musica è sull’orlo dell’apocalisse, perché in regioni nettamente più capaci di creare indotto economico solido sta facendo i conti con reali ed oggettive difficoltà. In contesti geografici totalmente fondati sul precariato se si spegne tutto vivremo un agghiacciante crepuscolo della cultura, un dramma fugace che si risolverà nella notte fonda.
Giandomenico Piccolo