La prima donna è l’ultimo documentario di Tony Saccucci (vincitore del Nastro d’argento per “Il pugile del duce”) prodotto dall’Istituto Luce di Cinecittà in collaborazione con il Teatro dell’Opera. Un progetto musicale di altissimo livello a cura di Alessandro Gwis e Francesco Manzi.
Sarebbe dovuto uscire oggi nelle sale italiane ma per le misure restrittive adottate in virtù della situazione epidemica, la sua proiezione è rinviata a data da destinarsi.
Con l’augurio che presto si possa tornare alla normalità, ci riserviamo comunque di parlare di questa pellicola: potente, necessaria, attuale.
Infatti, nonostante si tratti di un documentario sulla leggendaria – e forse dimenticata – Emma Carelli (1877-1928), il soprano lirico napoletano che ha diretto dal 1912 al 1926 il Teatro Costanzi (oggi Teatro dell’Opera di Roma), il riferimento all’attualità impera costantemente nei 90 minuti di proiezione.
La Prima Donna – Trama, cast e recensione
Interpretata da un’immensa Licia Maglietta (protagonista dei premiati Pane e Tulipani, Luna Rossa, Agata e la tempesta), Emma Carelli si dimostra essere una figura autorevole e indipendente che riesce a farsi strada da sola in un’epoca governata dal patriarcato.
Grazie alla sua famiglia di musicisti, sin da bambina Emma respira un’aria musicale che si rafforza con la formazione presso il Conservatorio San Pietro a Majella in cui gli insegnamenti del padre, Beniamino Carelli, le sono fondamentali.
Dopo il debutto del 1895 ne La Vestale di Mercadante, la Carelli assume una popolarità sempre maggiore in Italia, nel resto d’Europa e in Sudamerica.
Oltre alla passione per la lirica, la volontà di emancipazione e l’autorevolezza, nel 1912 diviene direttrice dell’attuale Teatro dell’Opera: è lei la prima manager donna.
I suoi successi la portarono al centro del dibattito pubblico: da un lato sarà acclamata dalle voci dal basso dei fans. Dall’altro sarà costantemente minacciata e ostacolata dalle voci grosse che dall’alto dei loro poteri non faranno altro che ricordarle il suo essere donna. Quindi inferiore.
La prima manager italiana
Il fatto che avesse il totale controllo sulla sua vita, anziché di obbedire e sottostare alle figure maschili, porteranno il marito (Walter Mocchi) a lasciarla e l’allora Capo del Governo, Benito Mussolini, ad aprire un fascicolo per la sua potenziale minaccia, arrivando addirittura a toglierle il ruolo di direttrice artistica e sovrintendente.
È così che il ferreo controllo che pensava di avere sulla sua vita si dimostra in realtà essere passeggero e arrestabile. Emma morirà a soli 51 anni schiacciata dal peso delle delusioni in un incidente stradale.
Al volante nella vita e al volante al momento della morte, è stata costretta a fermarsi e cambiare senso di marcia per aver rivendicato il suo valore di donna, di manager, di donna.
“La Carelli in teatro non è la moglie di nessuno: le basta essere quello che è”
Il docufilm si chiude con la scena di Emma al volante. Un sapore amaro per descrivere il turbinio di emozioni e riflessioni che, la voce, nell’intera pellicola ha veicolato.
È proprio la voce il pilastro fondante su cui regge l’architettura del documentario, il cui montaggio è affidato alla bravura di Chiara Ronchini. Il compito affidatole non era per nulla facile: mantenere la linearità tra filmati e documenti inediti e originali direttamente dagli archivi di Stato e di Cinecittà. Con i continui rimandi al presente si è corso il rischio più volte di scadere in confusione e pesantezza. Ebbene, il pericolo è stato scampato, anche grazie alla voce fuori campo di Tommaso Ragno.
Seppur con una certa difficoltà nel capire alcune dinamiche stilistiche, in fin dei conti la pellicola riesce nell’intento di scuotere le coscienze e allettare l’attuale società di fronte a diritti che si pensano essere stati dati gratuitamente e doveri a cui rispondere.
È un dovere imporre la propria personalità, indipendemente dal genere. Così come è doveroso non rinunciare alle proprie ambizioni. Occorre essere alla guida della propria vita e non passeggeri su un sedile troppo comodo che incentiva la pigrizia morale.
Per questo, non è un film facilmente comprensibile ma fortemente impegnativo. Ci si cala totalmente in una visione diversa dalla nostra, con un punto di vista così soggettivo da far perdere, talvolta, la cognizione al punto da non capacitarsi che la mentalità sia così simile a quella attuale.
Le delusioni che hanno portato Emma Carelli alla morte nel 1928 (anno in cui in Italia si registra il maggior numero di suicidi femminili), sono le stesse delusioni che oggi affliggono milioni di donne costrette ad un’inferiorità imposta.
Il divario retributivo di genere – che oggi è in media di circa il 16% tra uomini e donne in UE -, l’occupazione femminile minore rispetto a quella maschile, la meritocrazia che fa fatica ad avanzare, sono solo alcuni esempi della strada che ancora deve compiersi affinché la trattazione di questi argomenti sia relegata al passato, alla storia dei traguardi e non al presente che fatica ad accorciare le distanze con avvenimenti di un secolo fa.
Per cui grazie Emma per averci aperto gli occhi. Promettiamo di seguire il tuo esempio perché ne abbiamo ancora bisogno.
Santina Morciano