“Gigaton”, un nuovo capitolo nel libro dei Pearl Jam

Gigaton è il nuovo disco dei Pearl Jam uscito il 27 marzo, precisamente a sei anni e mezzo di distanza dal precedente Lightning Bolt. Si tratta dell’undicesimo album registrato in studio dalla band ed è, con le sue dodici tracce, il più lungo in quanto a durata (57 minuti).

Un lavoro particolare, da definire quasi “casalingo”, si cela dietro la sua nascita. I componenti del gruppo se ne sono occupati singolarmente o in coppia, senza seguire delle regole predefinite. Partendo dal gennaio del 2017, i Pearl Jam hanno impiegato più di due anni per ultimarlo e molti sono stati i motivi per cui hanno interrotto le sessions di registrazione. Primo fra tutti, sicuramente, la tragica e triste perdita dell’amico Chris Cornell, il 18 maggio 2017, che ha sconvolto letteralmente tutto il panorama musicale mondiale.

Dunque, dicevamo, da fine Marzo è disponibile una versione digitale dell’intera opera. I fan, invece, dovranno attendere almeno fino a metà aprile per poter stringere tra le proprie mani una copia fisica.

La copertina, che già circolava da un bel po’, è una foto del regista e biologo marino Paul Nicklen, collaboratore di National Geographic, intitolata Ice Waterfall. È stata scattata in Norvegia, precisamente nell’arcipelago delle isole Svalbard.

L’ascolto delle dodici tracce di Gigaton ha diviso i seguaci accaniti della band di Eddie Vedder e gli ascoltatori generici. C’è chi l’ha ritenuto non all’altezza delle aspettative e incoerente con il percorso artistico della band. Sarà davvero così? Andiamo a scoprirlo!

Pearl Jam - Gigaton

GIGATON 

Il disco si apre facendoci entrare nel vivo della musica con una breve intro d’atmosfera. Immediatamente ci ritroviamo catapultati nel mondo dei Pearl Jam con Who Ever Said, e non può che essere una gioia per le nostre orecchie. È energia allo stato puro e sembra un po’ come riabbracciare quell’amico che non vedevamo da anni.

Gigaton prosegue con Superblood Wolfmoon e Dance of the Clairvoyants. Due pezzi già pubblicati, rispettivamente il 18 febbraio ed il 22 gennaio, e molto diversi tra loro. Il primo è piaciuto molto al pubblico, in linea con la loro storia, il secondo, invece, ha fatto storcere il naso e neanche poco. Forse perché più leggero e radiofonico. La canzone in questione è, invece, molto valida e fa l’eco ai Talking Heads e agli anni Ottanta.

A seguire in scaletta c’è Quick Escape, pubblicata come terzo singolo il 25 marzo. E due sono i temi portanti della canzone. Il primo è nella prima strofa e consiste in un omaggio a Freddie Mercury e i suoi Queen.

“First we took an aeroplane
Then a boat to Zanzibar
Queen cracking on the blaster
And Mercury did rise
Came along where we all belonged”

 

A seguire un altro tra i personaggi letterari più amati del secolo scorso viene citato nel brano. Si tratta di Jack Kerouac, che riporta la memoria indietro a quegli anni in cui tutto era, forse, più semplice.

Non poteva mancare una citazione politica che permette al pubblico di comprendere senza tanti giri di parole la situazione in cui gli Stati Uniti vivono la quotidianità sin dall’elezione del Presidente Trump.

“To find a place Trump hadn’t fucked up yet”

“Bisogna trovare un posto che Trump non abbia ancora fottuto”.

 

La rabbia racchiusa in quella line si alterna a toni più pacati. Alright è una ballad dolce e delicata, con la voce di Eddie Vedder che accompagna questi momenti difficili.

“It’s alright to be alone”

Sembra essere stata scritta in questi giorni di solitudine e quarantena ed appare, allo stesso tempo, come un invito a non arrendersi e non abbattersi.

Seven o’ clock ha lo stesso sapore del brano precedente.

“it’s a fucked up situation for all”

Una durata di oltre sei minuti non solo per questa canzone, ma anche per la country Comes then Goes. Quelle note ci riportano a quella splendida colonna sonora realizzata per Into the Wild. La traccia numero dieci, tra l’altro, rende meno amaro il ricordo del compianto ex leader dei Soundgarden, a quasi tre anni dalla sua tragica scomparsa.

Il compito di concludere questo breve viaggio in dodici tappe spetta a River Cross. Ed è così che anche questa deepest night volge al termine.

GIGATON, IL CAPITOLO UNDICI DEI PEARL JAM 

 

Le tracce di Gigaton seguono in modo coerente il percorso dei Pearl Jam post-2000, trattando della attuale crisi politica e climatica. C’è sicuramente una differenza che va considerata e messa al centro di ciò di cui stiamo parlando. È quella tra il periodo anni Novanta e quello degli ultimi venti anni, non solo della band, ma dell’intero universo musicale. In realtà non ci vuole neanche un genio per capire che ciò che è stato fatto negli anni Novanta oggi non avrebbe molto senso e non sarebbe recepito allo stesso modo. Si tratta semplicemente del mutare dei tempi, delle stagioni e della necessità di rinnovarsi dei musicisti, che, non seguendo le mode, si fanno portavoce di un personale presente.

Pearl Jam

Quando sentiamo mancanze dei tempi andati basta ricercare Ten sullo scaffale e pigiare il pulsante play. Per avere i piedi saldi nel presente, abbiamo bisogno anche di opere come queste che raccontano la contemporaneità.

Gigaton è un lavoro in linea con il loro percorso. Sicuramente non eccellente, non il migliore, ma ce ne vuole eccome per definirlo orrendo. Bollare un disco dei Pearl Jam come “brutto”, in realtà, non credo sia possibile. È da ascoltare come il sequel di un libro che stavamo aspettando da anni.

Nel corso degli anni le persone cambiano, così come è diverso ciò che hanno da dire e il modo di esprimersi.

Ripensando ai ricordi vividi di quel concerto allo Stadio Olimpico nel 2018, non ci resta che attendere di sentire dal vivo questi nuovi pezzi, per poter avere una visione d’insieme più corretta e completa. Speriamo che questo accada presto. Molto presto.

Assunta Urbano

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