Partiamo da un presupposto: sui The Strokes sono di parte.
Li ritengo una pietra miliare di questa bestia multiforme chiamata indie-rock, hanno alle spalle un bel po’ di canzoni forti e dai singoli promozionali del nuovo album ho avuto buoni sentori. Oltretutto, “The New Abnormal” presenta in copertina un’opera (“Bird on Money”) di quel genio della street art che era Jean-Michel Basquiat, a sua volta artista che apprezzo tantissimo. Questi elementi già basterebbero per farmi plasmare un’opinione ben definita.
Come mi ha detto una cara persona tempo fa, “tu già mi hai posizionato là sopra (guardando la luna), ma noi stiamo qui (cioè ai tavolini esterni di un’onesta birreria)”. Sagge parole, quindi mettiamoci all’opera analizzando la più recente fatica in studio della band newyorkese.
The Strokes – The New Abnormal
Nove brani pubblicati per la RCA Records (label di tutte le release ufficiali) e prodotti da Rick Rubin (uno che dietro il banco di mixaggio fa miracoli) a squarciare sette anni (e due settimane) di silenzio. Era lecito attendersi qualcosa in più sul piano quantitativo della tracklist, ma gli abbondanti tre quarti d’ora d’ascolto dicono tutto quello che c’è da dire attorno ad una band che, dopo due decenni, si trova a chiudere un cerchio.
Tanti sintetizzatori, ritmi che si rallentano allo stremo centrando pochi sussulti buoni ad ancheggiare timidamente. Convince l’accoppiata “Brooklyn Bridge to Chorus”/“Bad Decision” (è assodato: ci si può canticchiare sopra “Dancing With Myself” di Billy Idol) che si trascina in tale contesto anche “Why Are Sundays So Depressing”. È un long play che tiene molto al concetto di melodia, come dimostrato dall’altro singolo pubblicato pre-disco ossia “At The Door”.
Sacrificando il rock pestato (episodi come Reptilia, che per me ha uno dei più bei drop pre-ritornello mai pubblicati) gli Strokes hanno provato ad aprirsi una nuova strada decisamente più elettro-pop, ricalcata da episodi come “Eternal Summer” e “Selfless”. Se le ascolti, risultano anche convincenti…ma non è la band che tutti quanti conosciamo.
Ogni chiusura coincide con un’apertura, e Julian Casablancas sembra aver fatto tesoro dei percorsi artistici sviluppati parallelamente negli ultimi anni, e quando i vocalizzi (pur sempre imbelliti da un ottimo lavoro di effettistica) escono dagli schemi il disco tocca le punte più alte.
La voce come metafora di un presente in chiaroscuro: anni di eccessi e qualche passaggio a vuoto si fanno sentire, e questo album si trascina come un vecchio, orgoglioso atleta che lascia qua e là qualche colpo di classe senza avere continuità e smalto di un tempo.
Non è il meglio, ma qualcuno dirà che non è neanche il peggio.
Per me “The New Abnormal” ricorda quella ragazza che ti piace, ti ha folgorato e si ripresenta nella tua vita dopo anni di distanza. Magari ti incazzi ma accetti le cose come vanno. Perché ti piace e non puoi fare altrimenti.
Giandomenico Piccolo