A tre anni di distanza da “Mezzanotte”, il 24 Aprile 2020 è tornato Ghemon con “Scritto nelle stelle”, nuovo album pubblicato da Carosello Records e distribuito da Artist First. Il disco è stato anticipato dalle tracce “Questioni di principio”, “In un certo qual modo” e “Buona stella”, mentre l’uscita (prevista per il 20 marzo) è stata posticipata per l’emergenza sanitaria in atto nel nostro Paese.
Ghemon ha scelto dunque di irrompere in un contesto carente di novità musicali che non abbiano come soggetto la quarantena. Ha lanciato una sfida e l’ha vinta, a testa alta, con un capolavoro che racchiude undici bellissimi brani.
Ghemon – Scritto nelle stelle
In Scritto nelle stelle cala la maschera del personaggio e si mostra una persona: Gianluca, con le sue ansie e paure.
Ciò che colpisce è il binomio spazio-tempo costante in tutte le tracce che collocano i soggetti e le sensazioni o in un posto ben definito o in una dimensione temporale specifica. Il cantautore avellinese ci riesce così bene che sembra impossibile non immergersi nel disco e trovarsi a tu per tu con suggestioni ipnotiche.
Lo stile immediato e la scrittura fresca riescono così a disegnare un lavoro in cui ritorna il buon “vecchio” Ghemon che canta e fa del rap su un sound pazzesco.
Ma oltre alla bellezza delle sonorità magnetiche (diverse in ogni brano ma ugualmente coinvolgenti), c’è quella dei testi: sembrano pagine di un diario poetico che ci ha onorato di far leggere.
Canzoni intime, disarmanti e soprattutto trasparenti.
Lo avevamo già notato in“Questione di principio” che pareva essere un’analisi della propria soggettività in equilibrio tra gli ostacoli circostanti:
“Potrei accarezzare la mia imperfezione
Ma mi circondo spesso di persone
Che analizzano ogni errore sotto al microscopio
Incutermi timore è il solo loro scopo
In base a quel giudizio stare sull’attenti
Potrei in effetti badare solo ai difetti
E passare le mie notti a digrignare i denti”
Ma la presa di coscienza traspare anche in “Champagne”, una traccia intrisa di positività per la fine di una relazione, “per il pericolo scampato”, “per il proiettile schivato” che rendono possibile che la condizione presente sia esattamente quella lì e non un’altra, per fortuna.
La condizione momentanea si collega direttamente a “Due settimane”, un pezzo più malinconico ma che riflette sulla necessità di non lasciarsi andare ed essere irraggiungibili. Il sapore dolceamaro si acuisce progressivamente per descrivere la rottura di una storia d’amore in “Cosa resta di noi” che — quasi a preannunciare il dolore della nostalgia che contraddistingue la canzone — esordisce con una strofa dolorosa piena di immagini e parole semanticamente cupe:
“Di avere il tempo indietro ormai nemmeno m’interessa
Adesso che ho un’agenda piena e piuttosto complessa
Un paio di anni li ho smarriti e non li ho più sul radar
Li avrò passati solo in casa o fermo in autostrada
Che cosa vuoi che dica? Che ogni lasciata è persa
Che poi mi sono intestardito a metterci una pezza
Tu eri stremata ed io ricordo che ero scuro in volto
Nel tentativo di aggiustare quello che era rotto
Cerca di venirmi incontro
Il resto è solo nebbia, non ha più contorno”
La tristezza si dissolve in “Inguaribile e romantico”, una delle pagine più belle e introspettive di quel diario che ho citato prima: una dichiarazione di sé, di ciò che si è, di dove si è e di come si è. Le parole qui si fanno carne e diventano un dono per la “voce amica”, per quella certezza imprescindibile per la propria stabilità.
L’io è protagonista anche di “Un’anima”, una canzone dove il suono rallenta e diventa preponderante la calma del pianoforte. Anche qui il testo è fenomenale. Siamo di fronte a parole sincere e taglienti, semplici e forse proprio per questo così comuni. L’ansia, il panico, l’estenuante battaglia tra pensieri e dubbi, sono centrali in un brano che ferisce e stupisce in tutti i suoi 3:19 minuti.
“Sei solo un’anima chiusa in un angolo
Ma vorresti scappare via da te”
Dall’anima black, “Io e te” rinfresca l’atmosfera con un ritmo quasi del tutto rappato che insieme a “Un vero miracolo”, titolo della traccia successiva, evade – per certi versi – i confini entro cui le scelte melodiche si erano mosse prima.
L’ultima traccia è esplosiva “K.O.”: l’album si conclude non solo con le costanti degli altri dieci brani (la consapevolezza e la questione spaziotemporale) ma con una sorta di anatomia del rap in tutta la sua purezza e integrità.
Ghemon è tornato e con lui il genio di trasportarci in noi stessi percorrendo strade e universi che pensavamo di nascondere o addirittura di non avere.
Ghemon è tornato ed è uno di noi perché, senza retorica, si è spogliato delle costruzioni del personaggio dimostrando non solo il coraggio e l’audacia ma anche la fragilità e la delicatezza, difetti e ostacoli che intrappolano e caratterizzano solo la gente comune. O forse no.
Santina Morciano