Curon, la nuova serie italiana targata Netflix è già un trionfo a livello di numeri: in poco più di una settimana è fra le 10 serie più viste sulla piattaforma. Eppure, dopo aver terminato la visione dei sette episodi, è lampante una sensazione di delusione rispetto alle promesse iniziali. Gli elementi per poter creare un lavoro di ottimo livello c’erano tutti, tuttavia qualcosa è andato storto e ha mancato il bersaglio. Ma procediamo per gradi e andiamo a scoprire insieme perché il risultato finale non ha soddisfatto le aspettative.
Dopo Suburra, Luna Nera, Summertime, Baby e Skam, Curon è la sesta serie prodotta in Italia dal colosso streaming, ma è la prima a svilupparsi fra il genere horror e fantastico, narrando di eventi soprannaturali. È stata paragonata a successi come Dark e Twin Peaks per l’ambientazione cupa e livida, tipica dei monti alberati del Trentino Alto Adige.
In particolare, l’elemento di spicco che sin dai primi trailer ha attirato l’attenzione degli spettatori, è il suggestivo campanile che emerge dalle acque del lago di Resia, al confine con Curon Venosta, paesino dove è stata ambientata la narrazione. Attorno ad esso negli anni sono nate innumerevoli leggende, che hanno a loro volta ispirato la trama della serie.
LA LEGGENDA DEL CAMPANILE NEL LAGO DI RESIA
Per conoscere la vera storia che ha ispirato la produzione Netflix è necessario tornare indietro agli anni ’50. Cinque anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale fu costruita una diga per la produzione di energia idroelettrica, che diede vita ad un lago artificiale: il lago di Resia. Le acque inghiottirono il vecchio paese di Curon Venosta e, nonostante le proteste, gli abitanti furono costretti a lasciare le proprie case ed emigrare poco lontano da lì, costruendo una nuova Curon Venosta e una nuova vita.
Tutto fu sommerso ad eccezione del campanile della chiesa, che tutt’oggi emerge suggestivamente dalle acque ed è la principale attrazione del luogo. A volte, quando il lago è ghiacciato, si scorgono ancora i resti del vecchio paese sul fondale. Una leggenda racconta che nelle notti d’inverno è possibile sentire il suono delle campane, che tuttavia furono rimosse prima della creazione del lago. Come raccontato anche nella serie, si dice che sentire i rintocchi delle campane sia un presagio di imminente morte.
CURON – TRAMA
A partire da questa diceria, gli ideatori della serie Giovanni Galassi, Ivano Fachin, Tommaso Matano ed Ezio Abbate (già conosciuto per la sceneggiatura di Suburra – La serie), hanno creato una storia che mescola realtà e fantasia.
I gemelli adolescenti Mauro e Daria si trasferiscono con la madre Anna a Curon Venosta, paese natio della donna, dal quale era andata via in seguito ad un evento traumatico relativo alla morte della madre. L’improvvisa scomparsa di Anna costringe i due fratelli ad intraprendere una ricerca che li porterà a svelare inquietanti segreti sulla propria famiglia, sugli abitanti del luogo e su un mistero nascosto nelle acque del lago.
Fin qui, la premessa non può che mantenere viva l’attenzione. Ma facciamo un passo in avanti.
I DOPPELGÄNGER, I LUPI E IL MISTERO DEL LAGO: SPIEGAZIONE
Il fulcro della storia sono i doppelgänger, un termine tedesco che in italiano si può tradurre come “alter ego” o “sosia”. Si tratta del classico gemello cattivo, un elemento ricorrente nel cinema, nella letteratura e nella cultura di massa. Un tipico esempio risale al 1886 con Dr Jekyll and Mr. Hyde.
In Curon il richiamo ai doppelgänger c’è dall’inizio alla fine. Gli stessi protagonisti, Mauro e Daria, sono gemelli. Il paese, oltre ad avere una doppia identità – quella italiana e quella austriaca – ha anche una doppia anima: quella vecchia, sommersa dalle acque, e quella nuova che ora si specchia nel lago. E poi, ad anticipare tutto questo allo spettatore, la storia dei lupi:
“Dentro di noi vivono due lupi. Uno è il lupo calmo, gentile. L’altro è il lupo oscuro, rabbioso, spietato. Lottano per il controllo della nostra anima”.
In alcune mitologie, vedere il proprio doppio è un presagio di morte. Allo stesso modo, come vuole la leggenda del campanile, sentire i rintocchi delle campane è il preavviso della propria fine. Gli ideatori della serie hanno unito questi due elementi ed è venuto fuori un concetto interessante.
Dal lago (che è un luogo simbolo, dove il vecchio paese è stato represso e annegato), emerge il lato oscuro dei personaggi. Al suono delle campane, quello che fino ad allora avevano trattenuto, soffocato, ad un certo punto si ribella ed esce fuori dalle acque sotto forma di doppelgänger, pronto ad uccidere l’altra parte di sé e prenderne il posto.
Purtroppo però, l’idea di base, seppur promettente, non riesce a sopraffare alcuni evidenti difetti nella realizzazione, che incidono inevitabilmente sul risultato finale.
Curon, una serie che non ha saputo valorizzare se stessa
Sarebbe bastato poco per fare un salto di qualità. Sfortunatamente, Curon subisce un grave difetto narrativo: la perenne sensazione di non sapere cosa stiamo guardando. La storia del campanile, del lago, del paese, che avrebbe dovuto essere il punto di forza del racconto, è vagamente accennata. Di conseguenza, chi intraprende la visione senza avere il minimo background sugli avvenimenti passati del luogo, si imbatte in un irrimediabile senso di confusione.
Nulla è davvero analizzato a fondo, ma tutto accade senza un perché. Senza la minima spiegazione allo spettatore. Un grave errore che non permette di immedesimarsi davvero nella storia.
Anche un elemento totalmente fantastico come il doppelgänger, che avrebbe necessitato di maggiore chiarezza per risultare credibile, è stato inserito senza precisarne la natura. Cos’è? Perché esiste? Perché esce dal lago? Tutte domande lasciate senza una risposta.
Allo stesso modo, nelle interazioni fra i personaggi c’è qualcosa che non funziona. Un esempio è l’inutilità della sintonia lesbo tra Micki e Daria. Le intenzioni del personaggio di Micki sono molto chiare, ma resta nel dubbio il comportamento della protagonista Daria, che in un primo momento cede ad un avvicinamento e successivamente cambia idea, quasi cadendo dalle nuvole su quanto accaduto. Ancora una volta qualcosa viene inserito nella storia totalmente a caso, senza lo spazio d’espressione necessario. Gli argomenti accennati e sottintesi creano quindi dei buchi nel tessuto narrativo.
Questo difetto, purtroppo, rende anche la recitazione un po’ forzata. Un peccato dal momento che il cast gode di stimabili nomi come Valeria Bilello, Luca Lionello, Max Malatesta, Alessandro Tedeschi e Anna Ferzetti (compagna di Pierfrancesco Favino). Inoltre fra i giovani, ad interpretare uno dei due protagonisti, Mauro, c’è Federico Russo, che molti ricorderanno nel ruolo di Mimmo de I Cesaroni.
CONSIDERIAMO I LIMITI COME UN’OCCASIONE DI MIGLIORAMENTO
Al di là delle lacune, il lavoro non è completamente negativo e il teen drama ci offre comunque spunti di riflessione sui problemi familiari, sui dilemmi interiori tipici dell’adolescenza come l’orientamento sessuale. Vedremo giovani alle prese con le difficoltà di vivere in una piccola comunità isolata di montagna, dove le uniche vie di fuga dalla realtà sembrano essere la droga e l’alcool.
Inoltre, l’Italia è ricca di miti e luoghi caratteristici come il famoso campanile ed era ora che si scegliesse di sottolinearne la particolarità e la bellezza.
È davvero importante che colossi internazionali come Netflix scelgano di puntare anche su produzioni nostrane. Questo ci dà la possibilità di svincolarci dai soliti standard del cinema italiano e cominciare a sperimentare, viaggiando su binari inesplorati. Curon è stato, appunto, un esperimento diverso rispetto ai modelli a cui siamo abituati, e quindi rispettabile nonostante le carenze.
La seconda stagione non è stata ancora ufficializzata, ma dall’ultima puntata si intuisce un possibile continuo. Consideriamo allora i limiti come un’occasione di miglioramento, senza essere troppo severi con noi stessi. Concediamoci spazio e tempo per perfezionarci ed elevarci gradualmente di livello. Tutto il resto verrà da sé.
Federica Brosca