Sono passati esattamente trentacinque anni dal Live Aid, tenutosi il 13 luglio 1985 in contemporanea nelle due splendide location del Wembley Stadium di Londra e del John F. Kennedy Stadium di Philadelphia. L’evento è considerato tra i più memorabili della storia del rock mondiale. Una manifestazione senza precedenti, che non solo ha visto le presenze di migliaia e migliaia di ascoltatori presenti nei due stadi, ma anche più di due miliardi di spettatori collegati da casa da centocinquanta Paesi.
Attenzione, però. Il concerto è stato dedicato in particolare ai presenti in loco e non è mai stato registrato, con l’intento di conservare la sua unicità e ringraziare il pubblico presente per le circa dodici ore di spettacolo. Bob Geldof (musicista e organizzatore) aveva chiesto di cancellare il materiale alla BBC. Ma dopo molti ritrovamenti illegali, grazie al contributo di MTV, nel 2004 è stato pubblicato un DVD speciale. Anche se, neppure questo contiene l’intero palinsesto concertistico.
Prima di entrare nel vivo della narrazione, con il racconto dei live, facciamo un passo indietro. Che cos’è il Live Aid?
CHE COS’È IL LIVE AID?
L’idea di questo progetto è nata dalle menti di Bob Geldof, leader dei Boomtown Rats, e Midge Ure, degli Ultravox. L’obiettivo non poteva che essere a scopo benefico. I due, raccogliendo un enorme numero di artisti e musicisti del panorama mondiale, avevano l’intento di destinare dei fondi economici alla popolazione etiope, vittima di una grande carestia negli anni dal 1983 al 1985.
Un evento ambizioso e destinato a restare nella storia, ma non senza numerose controversie. Nel corso dei mesi organizzativi e degli anni postumi, in molti si sono chiesti se i soldi sono davvero arrivati a destinazione oppure sono stati una scusa per arricchirsi. Di questo, in realtà, oggi non ne parleremo. Ciò che metteremo al centro del racconto sarà la musica. L’unica che ha permesso al Live Aid di imprimersi nella memoria collettiva mondiale.
LIVE AID, IL CONCERTO
LONDRA
Poche canzoni a testa sono state selezionate, in modo da poter riempire una giornata con quante più band possibili. Partiamo con la giornata londinese. Sono le ore 12.00 ed è ora di dare il via alle danze. Nominare tutte le band sarebbe un’impresa impossibile per un articolo. Concentriamoci in modo particolare su quelle che hanno segnato quel 13 luglio.
È compito degli Status Quo quello di essere i primi ad esibirsi davanti ad uno stadio gremito. Dopo di loro seguono gli Style Council, la band più addolcita tra tutti i progetti artistici a nome Paul Weller.
Come dimenticare i Boomtown Rats e gli Ultravox, primi sostenitori dell’evento completo. Ricordiamo sempre di essere nel pieno degli anni Ottanta. E, infatti, non è un caso se a seguire ci sono gli Spandau Ballet.
L’atmosfera si riscalda con l’arrivo di Sting, che intona insieme agli spettatori Roxanne. Per poi unirsi a Phil Collins con la hit Every Breath You Take.
È sera, l’atmosfera si scalda a livelli altissimi. Il primo nome dopo il tramonto è quello degli U2 di Bono Vox. Tra una Sunday Bloody Sunday e una Bad, la commozione è forte, però il meglio deve ancora venire.
Subito dopo i Dire Straits è il turno dei Queen che registrano sul palco del Live Aid una delle loro migliori esibizioni di tutti i tempi. Nessuno può dimenticare quella versione di Bohemian Rhapsody, soprattutto dal punto di vista vocale per Freddie Mercury. Quelle mosse, quella voce e quel pubblico. A tutti i musicisti erano stati assegnati solo venti minuti per esibirsi. I Queen fecero la storia in quel poco di tempo a disposizione e quel giorno si consacrarono nel panorama musicale mondiale, così come abbiamo potuto rivedere nelle ultime battute del film del 2018.
Difficile salire sul palco dopo uno spettacolo del genere. Tuttavia, David Bowie può fare questo ed altro. Figuriamoci se con un pezzo come Heroes.
L’asticella è destinata ad alzarsi a livelli inimmaginabili, confermando ancora una volta che quella piccola isoletta britannica la fa da padrona, da sempre. Arrivano gli Who con le loro immortali Won’t get fooled again e My Generation.
Ci vuole coraggio per proseguire. Persino Elton John si sente titubante ad avere i riflettori puntati dopo i Queen, che hanno rubato la scena dell’intera manifestazione.
Prima della super band finale, a concludere la lunga giornata c’è il re indiscusso Paul McCartney con dei classiconi targati Beatles.
LIVE AID, IL CONCERTO
FILADELFIA
E veniamo ora al JFK di Filadelfia. Tra i primi artisti c’è Joan Baez, ma il pubblico si scalda in modo particolare con i Black Sabbath e la loro Paranoid.
Il concerto statunitense alterna più generi musicali rispetto a quello londinese. Dai Run-DMC, fino a Crosby, Stills and Nash, per arrivare poi ai Judas Priest e Bryan Adams. Questa scelta è stata fatta per permettere ad un numero maggiore di spettatori e con un palato differente di gustare il grande spettacolo.
It’s time for Good Vibration con i Beach Boys, che rallegrano i volti del pubblico accorso allo stadio per assistere allo spettacolo negli Stati Uniti.
Santana, Madonna, Neil Young. Se la giornata inglese ha dimostrato che in territorio britannico la qualità degli artisti è molto alta, il Live Aid di Filadelfia non è stato da meno (pur includendo in scaletta musicisti d’oltremanica).
Nel bel mezzo delle esibizioni, sale sul palco, subito dopo Eric Clapton, Phil Collins, che qualche ora prima era stato tra i protagonisti della manifestazione a Londra.
L’esibizione dei Led Zeppelin di quella notte del 13 luglio non fu particolarmente memorabile, tanto che Robert Plant e soci chiesero a Geldof di non pubblicare alcun tipo di prodotto multimediale del loro live.
Dopo la reunion di Crosby, Stills, Nash e Young, ci sono i Duran Duran (band emblema degli anni Ottanta in tutto il Pianeta).
L’evento più storico di questa giornata su quest’altro fronte è stato il concerto di Bob Dylan, dato che il musicista era poco avvezzo ad inserirsi in questo tipo di circostanze. Tra l’altro, infatti, non l’abbiamo visto neppure a Woodstock, a cui era stato calorosamente invitato.
Non si conclude il tutto con i Rolling Stones, come tutti avremmo voluto, per l’opposizione, quasi disegnata dal destino, tra Beatles e Rolling Stones in due terre differenti. A Mick Jagger e Keith Richards sono distribuiti due tempi differenti.
IL LIVE AID. UN EVENTO MUSICALE ENTRATO NELLA STORIA
Sono sicura di aver dimenticato qualcuno, ma spero mi perdonerete. L’importante, in ogni caso, è aver ripercorso quell’evento, in particolare per chi l’ha vissuto in prima persona.
In quella giornata, per la prima volta, sono saliti su quei palchi artisti tra i più pop e meno, ma tutti sono stati posti su uno stesso livello ed hanno avuto modo di risplendere davanti ad un fedele pubblico. Tutto per una giusta causa, a prescindere da ciò che è successo fuori dalle scene.
Ed è proprio qui che si racchiude l’importanza di tale evento, nella sua unione. Negli anni in cui nascevano pezzi come We are the world in concomitanza con tante facce note, si faceva la storia dei live.
Dopo gli eventi dei Sixties è diventato indispensabile per l’essere umano riunirsi con altre persone sotto un palco ad ascoltare musica. Un dato che sembrerebbe scontato, ma non lo è affatto. Negli anni in cui si vendevano davvero i dischi, negli anni del boom economico, inconsciamente e in un certo stranissimo senso, la musica, di tutti i generi, metteva pace tra i popoli. Era la forma culturale non solo più riconosciuta, ma che poteva vivere di se stessa.
Questo aspetto oggi sembra impossibile da immaginare, non solo per l’emergenza sanitaria che ci ha coinvolti negli ultimi mesi. Non possiamo che perseverare nella speranza che un giorno questa arte abbia il riconoscimento che merita e che avremo l’occasione di riunirci sotto un palco per renderle onore, così come il Live Aid ha fatto.
Assunta Urbano