Achille Lauro non si è fatto attendere. A nemmeno un mese dalle dichiarazioni di inizio Luglio pubblica il suo nuovo project album. Titolo:1990. Sulla falsa riga del precedente 1969 per quanto riguarda l’aspetto grafico e formale delle intestazioni, ma estremamente differente in quanto a contenuti e scopi mediatici.
1990 è un concept composto da sette cover tutte prese dalla miniera d’oro della dance anni novanta, con un’azzeccata eccezione che invece proviene dal nuovo millennio. Ogni canzone, a parte la capostipite 1990 (Back To Dance) già singolo radiofonico lanciato lo scorso Ottobre, è combinata da featuring che in alcuni casi diventano veri e propri tributi. Achille Lauro, coadiuvato dalla produzione di Diva e Gow Tribe (nonché di uno dei nomi italiani più caldi sullo scenario internazionale, ovvero il “neoclassico-moderno”Dardust), si accompagna in più occasioni con gli interpreti o compositori originali dei remake che propone.
L’idea di fondo è cavalcare il momento danzereccio particolarmente efficace proprio durante il periodo estivo, alternando musica e tramezzi recitati che, in antitesi col tono scanzonato (ma comunque malinconico) dei brani, riesce a dare e sottrarre ritmo. Scelta oculata. Tramezzi, ahimè, totalmente trascurabili se non per l’ego di Lauro De Marinis. Ma abbiamo visto e sentito di peggio nella vita. Tattica? Strategia? Lo scopriremo a breve.
Le scelte di Achille Lauro per il suo nuovo album 1990
Sette canzoni, tutte cover, in verità, non sono poi tanto. Ma Achille Lauro non punta al botto qualitativo. Lui e il suo furbissimo entourage sanno bene che è ai numeri che bisogna guardare al giorno d’oggi. Al tempo si usava appellare decisioni del genere con l’eloquente “operazione nostalgia” che ha fatto scuola. Avendo ascoltato più e più volte la selezione, cercando di scovare ogni sfumatura positiva del lavoro svolto, devo ammettere che lo è in tutto e per tutto.
D’altronde l’eccentrico cantante romano aveva anticipato che questo sarebbe stato un disco destinato al divertimento dei fan. Ad ogni modo, se queste sono le premesse, non ho buoni presentimenti sul successivo impegno discografico, quello che dovrebbe rivoluzionare l’intero scacchiere musicale italiano.
Ma andiamo per gradi, anzi, non pensiamo più al futuro. Concentriamoci sul presente d’annata che abbiamo di fronte. Per pura semplificazione non prendo in considerazione le pause tra una canzone e l’altra. Si tratta davvero di contributi marginali che solo gli appassionati vorranno riascoltare. Forse anche l’approfondimento delle liriche è altrettanto irrisorio. Non ce ne vorranno coloro che hanno faticato per dare alla luce 1990 ma da queste cover mi aspetto di canticchiare il ritornello o qualche passaggio particolarmente orecchiabile e nessuno si aspetta che Achille Lauro sia diventato d’un tratto il nuovo Bob Dylan italiano. Cominci a farsene anche lui una ragione.
Dunque si parte con 1990 (Back To Dance), singolo che abbiamo già conosciuto. Ovviamente si tratta del fortunato pezzo del 1995 di La Bouche intitolato Be My Lover. Qui l’effetto cinepanettone è devastante, nonostante la rielaborazione.
Segue Scat Men con Ghali e Gemitaiz. Chissà cosa avrebbe pensato il buon John Paul Larkin di questa rivisitazione in salsa italica del suo successo mondiale Scatmans World. Personalmente ricordo l’anno in cui venne pubblicata e in me l’effetto non è stato particolarmente positivo. Tuttavia Lauro e Company modellano una versione con una spiccata vena malinconica, diametralmente opposta all’originale. Questo va premiato. Si percepiscono le inflessioni trap ma chi ne ha cultura saprà leggere tra le righe la predominanza della mano di Dardust. Chiosa finale, nel pieno rispetto delle tre voci impegnate al canto: non ne servivano tante.
Sweet Dreams con Annalisa ci regala una perfetta voce femminile relegata a compitino. Come tenere un giaguaro chiuso in una stanza tre per tre. Uno spreco infinito e un peccato indicibile nello stesso momento. Gli Eurythmics forse apprezzeranno però. Meno colui che portò questa canzone al secondo e forse più clamoroso successo planetario, il signor Marilyn Manson.
Altro giro altra corsa, ed è sempre un piacere poter godere delle voci femminili. Stavolta è il turno di You And Me di e con Alexia. La parte del cane sciolto la fa Capo Plaza che, senza snaturarsi, contribuisce ad una performance che altrimenti sarebbe passata solo per il definitivo senso di orecchiabilità del verso. Stranisce quanto Achille Lauro sappia appiattirsi a livelli estremi, quasi come una sogliola, farfugliando parole a tratti poco comprensibili. Per poi ringalluzzire velocemente e farci capire che la comparsa, in 1990, non è lui ma a turno tutti gli altri… forse.
Uno dei punti più alti della produzione arriva grazie allo sforzo, a mio avviso, sovrumano di Massimo Pericolo. Chiamato a raddrizzare le sorti di una sommessa (ma comunque interessante) Summer’s Imagine. Pseudonimo avanguardista de The Summer Is Magic firmata dai Playahitty. Correva l’anno 1994. Il binomio Lauro/Alessandro Vanetti rimescola le carte e consente al vento della modernità di dare il suo contributo.
Sulla scia della precedente anche Blu di e con Eiffel 65. All’epoca il globo terracqueo riconosceva la canzone, non solo con la “E” finale in “blu”, ma soprattutto col fantasmagorico “da ba dee, da ba daa” cantato a squarcia gola in tutte le lingue del mondo. Cioè una. Non è cambiato molto. Nel testo. Il resto è tutt’altra storia. La rielaborazione si ritaglia uno spazio consistente e per nulla scontato. Quasi delicata, alla stregua di una ballad dance più simile alle produzioni tipiche del cavallo tra i nineties e il nuovo secolo. Sempre e comunque restando in orbita del genere di riferimento. Non dimentichiamolo mai.
L’esperimento si conclude con una chicca immatricolata però nel 2003. La ricerca si è fatta più sottile, sforando di qualche anno il vincolo idealistico del decennio. Stiamo parlando di I Wanna Be An Illusion, anche qui di e con Benny Benassi. La versione originale è lì dietro l’angolo ma l’impronta di Benassi sembra incisa a fuoco nei tre minuti di riproduzione, non si poteva scampargli facilmente e funziona alla grande.
1969 meno 1990
Achille Lauro approfondisce il tema delle “mezze cover” già esplorato qualche mese fa proprio con 1990. Trasformare l’idea in concept ha sicuramente il suo valore, tuttavia l’operazione nostalgia, da sola, ha il mordente sufficiente per sopravvivere questi due mesi estivi e morire in autunno quando probabilmente vedrà la luce l’album delle meraviglie. A conti fatti non bastano i carpiati di alcuni featuring a dare il giusto peso artistico alla produzione e nemmeno quel paio di interpretazioni per nulla banali possono granché alla lunga.
I meriti si perdono nel disequilibrio di un prodotto nato per raggiungere le masse senza grandi pretese. Non che un lavoro del genere le preveda, ma se l’idea di divertimento e stupore di Achille Lauro è solo questa, allora sarà o un enorme successo (il pubblico affamato di briciole non manca nel Belpaese) o un buco nell’acqua. Dal punto di vista contenutistico, mettendo da parte le evidenti doti di coloro chiamati a dare una mano, non vedo oasi, ma solo deserti.
Faccio fatica a non proiettarmi al futuro. Temo ciò che succederà in autunno.
Mario Aiello