Il fenomeno mediatico Geolier, al secolo Emanuele Palumbo, sembra proseguire a tutta velocità la sua corsa senza ostacoli nello scenario rap/trap napoletano e nazionale. Il 10 Luglio è stata pubblicata una riedizione arricchita del fortunato album di esordio Emanuele. Quasi senza preavviso.
A soli nove mesi di distanza dal debutto formale, il ventenne cantante di Secondigliano – famoso quartiere nel napoletano, portato agli onori (?) della cronaca grazie alla serie TV Gomorra – decide di riprendere in mano il proprio lavoro e, dribblando le sue stesse hit delle ultime settimane, riesce ad inserire nella selezione ben cinque brani. In verità per Geolier sarebbe una somma di quattro inediti più un remake di Na Catena, stavolta con l’apporto artistico della finalista di X Factor 10, la rosea e marmorea Roshelle. Ma sono dettagli.
Sommario letterario dell’ascesa e conferma di Geolier: gioe e fortune degli esordi, fino al primo LP Emanuele.
Emanuele Geolier esplode letteralmente dopo la pubblicazione del video P Secondiglian. Sulla questione il web è pieno di pagine che provano a snocciolare ogni sfumatura del caso. Il boom mediatico di quella ripresa, come noto, ha reso Geolier al contempo celebre e richiesto sul panorama rap partenopeo. La domanda l’ha praticamente lanciato fino ad arrivare sotto l’ala protettrice di Luchè. Totemica figura dell’hip hop dell’estrema periferia napoletana che assieme a ‘Ntò, nei primi anni duemila (proprio quando nasceva Geolier), fondò i Co’ Sang. Probabilmente il capostipite del rap made in Napoli come lo intendiamo attualmente.
La vita del giovane Emanuele cambia pressoché all’istante. Bravo e fortunato riesce a cavalcare l’enorme ondata di feat e collaborazioni, nonché produzioni proprie, che in pochi mesi lo renderà un’icona, al pari degli artisti che da ragazzino rincorreva negli gli store per i firma copie. Uno su tutti Gué Pequeno, con cui ha appena firmato un’apparizione nel singolo Cyborg.
Emanuele Palumbo rappresenta in tutto e per tutto lo stereotipo di ragazzo che vive e frequenta la periferia nord di Napoli. Quella che ha come sfondo le piazze di spaccio, della vita fatta di stenti e la criminalità in tutte le salse. Evitando di citare le cose buone e positive perché proprio i cantanti tendono a saltarle a piè pari.
Tuttavia, la bravura di Geolier sta nel lambire certi argomenti, raccontandoli con velata schiettezza: un dico/non dico. Il suo primo album è tutto incentrato su tematiche che ho letto essere state lodate quali “mai banali”.
Mi permetto di dissentire, sia per esperienze personali che per approccio culturale.
Le tematiche di Geolier sono estremamente banali, almeno lo sono per i più o meno giovani che sopravvivono a certe realtà. Il modo di raccontarle è “mai banale”, trovando di volta in volta una sfumatura che riesce a destare da un torpore culturale ormai sdoganato. Ahinoi l’inflazione devastante delle argomentazioni sa essere opprimente se non si mette in equilibrio la componente lirica con quella musicale. Ma è un peso che tutti i rapper dialettali partenopei sono disposti a portarsi appresso. Geolier non fa eccezione.
Quindi l’appello è presto fatto, giusto per rinfrescarci le idee: le difficoltà economiche vissute prima del successo, le problematiche di una famiglia costretta dagli stenti. Il ruolo dei genitori da idolatrare in quanto eroi di un passato opprimente (o viceversa, ma non è questo il caso). La figura materna che diventa “Mammà”, il mantra da recitare in reverenza continuamente, una donna da salvare da ogni ristrettezza. Oppure la lista acquisti da ostentare con spese da migliaia di euro, i famosi “7K” cantati in Yacht, sottolineando marchi e brand da urlo.
E ancora: la figura femminile ora dea detentrice di attenzioni ricche di sentimento, ora mero involucro destinatario di apprezzamenti sorvolabili. Lo sprezzo per la sproporzionata differenza di vita tra gli “scemi” (quelli che guadagnano poco dopo un mese di lavoro, magari a nero e sotto sfruttamento) e chi invece guadagna tre volte tanto in una sola giornata, i “dritti”. Su questo tenderei ad astenermi perché il dare/avere che lo stesso Geolier racconta nei suoi pezzi non dà sempre lo stesso risultato.
D’altronde Geolier ha solo venti anni. Il suo punto di forza, checché se ne dica in giro, sta nella verve un po’ retrò del suo approccio ad incastrare le rime con un flow andante, molto distante dagli isterismi stilistici degli ultimi anni. Vicino alla scuola di fine anni novanta.
In più, la voce con un pizzico di raucedine, sbiadita dall’onnipresente autotune, riesce nei passaggi a basse frequenze a dargli un tono autoritario che ci si aspetta da artisti navigati e, soprattutto, non giovani come lui. Ma la magia sta nel dire determinate cose in un certo modo, così ha spezzato le reni a quasi tutta la concorrenza dialettale che ha provato a frenare la sua ascesa. Sentire per credere. Fiore all’occhiello l’uso di refrain catchy ed orecchiabili, immagino sia un’intuizione del producer Dat Boi Dee con cui ha avuto una forte collaborazione proprio per le sedici tracce di Emanuele.
Gli innesti ex novo di Geolier pensati per la riedizione di Emanuele (Marchio Registrato).
Le canzoni inedite sono quattro tutte poste al principio, come a differenziare cosa appartiene al “prima” e cosa al “dopo”. Il bello è che riesce egli stesso a non farsi concorrenza nonostante in poche settimane siano uscite le hit M’ Manc con Shablo e Sfera Ebbasta; Guapo di Anna Tatangelo in cui Geolier fa una featuring come per Cyborg di Gué Pequeno. Genio del marketing.
Si comincia con Vittoria che in pieno sound Gomorra ci ricorda alcune sfumature della “riccanza” in virtù del contesto sociale a cui fa riferimento. Non ne sentivamo il bisogno ma finché tira, avrà comunque ragione lui. A volte con giusto merito, altre con parecchio meno.
Segue Capo, quella del “lloc ‘o riest è mancia” (lì il resto è mancia) sussurrato ai commessi di Louis Vuitton. Già da giorni la canzone sta viaggiando a velocità differenziata rispetto a tutto il resto che passa in quel di Napoli. Un colpo sensazionale senza proclami. Lo puoi sentire a loop nei saloni di barbieri, tatuatori, bar a tema et simila. Le cose da dire sono ormai note, cambiano raramente i punti di vista raccontati e, a conti fatti, sono ben pochi gli incastri ritmici degni di nota, eppure, anche questa tira come una mandria di buoi.
Il momento del sentimentalismo di Geolier, nel suo Emanuele (Marchio Registrato), arriva con Sorry e prosegue senza patemi nella successiva Moncler. A questo giro la prepotenza del fill estivo si fa predominante con il solito drum and bass di ispirazione reggaeton. Per fortuna la giocata seria è invece lasciata alla sequenza armonica della base che sembra andare in controtendenza e si sposa perfettamente con la linea lirica.
Chiude il nuovo menù la versione con Roshelle di Na Catena. Niente di nuovo per Geolier che preferisce non reincidere le sue parti vocali. L’aria fresca è tutta da attribuire alla rosea cantante di Lodi. Un featuring intelligente che poteva essere molto potente se non si fossero trattenuti dal rimettersi in gioco.
La lunga strada del rapper che punta in alto.
Geolier è ambizioso ed ha i numeri per raggiungere, oltre la notorietà ed i ricchi cachet, anche un suo spazio nell’ecosistema rap a matrice napoletana (ma non solo). Ha saputo valorizzare tutte le featuring che l’hanno visto coinvolto, sia da invitato che da padrone di casa: Emis Killa, Luchè, Gué Pequeno, Sfera Ebbasta, Shablo, Samurai Jay, Rocco Hunt, Soks, Lele Blade e via discorrendo. Il suo stile è peculiare e distinguibile, dovrebbe scrollarsi di dosso lo stantio olezzo delle tematiche davvero iper inflazionate che affliggono tutti quelli che decidono di fare rap ed hanno scritto “Nato a Napoli” sulla carta d’identità.
Fatto ciò, non avrebbe vincoli di sorta per stupire davvero. Non più per i numeri da capogiro e qualche rima ben incastrata, ma per qualità e polso. Si farà.
Mario Aiello