Avete presente gli stupri? Sì, proprio quelli sbattuti in prima pagina, dettati nei telegiornali come prassi, poi dimenticati cinque minuti dopo. Quelli del “È colpa di com’era vestita”, “Se l’è cercata”, “Secondo me era consenziente” ma anche “Poverina, mi dispiace”, “Non esistono più uomini di una volta”.
Ecco, oltre lo stupro c’è un dirupo di cui nessuno parla, per paura o per indifferenza.
Michaela Coel lo fa scrivendo, producendo e interpretando I may Destroy You, una serie televisiva drammatica prodotta da BBC One e HBO e non ancora uscita in Italia.
I may destroy you – Trama & Personaggi
La protagonista della serie è Arabella Essiedu (Michaela Coel), una scrittrice londinese di origini ghanesi che dopo aver conquistato il successo, prima su Twitter e poi con il libro “Cronache di una millennial stufa”, è intenta nella redazione dell’altro.
Ritornata a Londra dopo essere stata a Ostia, dove frequentava Biagio (Marouane Zotti), trascorre una serata con i suoi amici. La mattina successiva si ritroverà un taglio sulla fronte senza ricordarsi nulla. Attraverso vari flashbacks e gli amici Kwame (Paapa Essiedu) e Terry Pratchard (Weruche Opia) proverà a ricostruire quella nottata.
Quella di Michaela Coel è un’operazione chirurgica e pericolosa che seziona la carne senza alcun anestetico.
Per questo è preferibile guardare la serie a piccole dosi. Ogni scena è qualcosa di assolutamente normale, fuori dalle logiche delle serie tv ma si inscrive negli schemi tragicomici della quotidianità reale.
Arabella trascorre una serata a bere e ballare mentre continua a coltivare il desiderio di finire il suo libro, il desiderio di rafforzare le sue relazioni, il desiderio di essere soggetto della sua vita.
Desiderio. Quella parola derivata dal latino “de” e “sidera” (stelle) che indica letteralmente la mancanza delle stelle. Quel termine così bello e infido che si serve di tutto pur di colmare il vuoto che separa il soggetto e l’oggetto del desiderio.
“Un uomo scopa una donna. Un uomo: soggetto. Una donna: oggetto”.
The fall (1 st. ep.3)
Desiderio. Il casus belli di ogni reato di stupro, anche di quello di Arabella, che si è ritrovata contemporaneamente intrappolata nel suo corpo e alienata da esso. Era lì ma senza esserci davvero: il desiderio dell’essere voluta aveva superato il suo desiderio di volere, di scegliere per se stessa.
No, non erano complici né l’alcol né la droga. Se la cultura del rispetto dell’altro, visto in ogni circostanza come essere umano, fosse capillare e radicata in tutti gli strati sociali, probabilmente non si dovrebbe più spiegare cosa siano la cultura dello stupro e perché sia necessario combatterla con la cultura del consenso, com’è chiamata la consapevolezza dei limiti cui si devono necessariamente riferire i desideri sessuali perché non siano umilianti e nocivi.
Una volta subìto, ascoltato, letto uno stupro, si è di fronte ad un abisso coperto da un sipario che quasi mai viene aperto. Chi lo subisce deve farlo per forza. La Coel lo mostra a tutti creando un personaggio comune con cui si fatica ad empatizzare. Ma in fin dei conti chi lo dice che bisogna piacere a qualcuno?
Arabella è una donna, con tutti i suoi pregi e difetti, cresciuta in uno scenario patriarcale in cui lo stupro è tale solo a patto che rispetti i paradigmi imposti dalla società. Parliamo di stupro ma distinguiamo la violenza carnale da quella mentale. Parliamo di stupro adeguando la nostra idea di innocenza e colpevolezza aprioristicamente (e in una società maschilista è semplice intuire chi sia la vittima e chi il reo).
Parliamo di stupro come fossero disgrazie di routine ma non poniamo mai fine. Ecco che ritorna la cultura del consenso. Acconsentire non vuol dire tacere, bere, drogarsi, vestirsi come si vuole, mostrare l’immagine di sé che si desidera. L’agire sessuale delle donne è messo in discussione, negato e oltraggiato.
La normalità sta diventando (o è diventata) aver paura di essere distrutte sempre e in qualsiasi luogo. Qualsiasi azione può essere il movente dello strappar di dosso sicurezze, vestiti e desideri diventando oggetti del desiderio di qualcun altro.
We decide what they’re worth
If I wear more
If I wear less
Who decides what that makes me?
What that means?
Is my value based only on your perception?
Or is your opinion of me
Not my responsibility
Santina Morciano
Anatomia di uno scandalo: l’analisi del consenso in un caso di stupro