Marta Daddato agguanta la top 20 in tendenze YouTube col suo nuovo singolo Betty Boop, raggiungendo la posizione #14 (nel momento in cui si scrive questo contenuto).
Notizia che per me ha dell’incredibile dato che fino a qualche minuto fa ignoravo completamente chi fosse costei. Il motivo si riassume in un’unica parola: “TikTok”. Anche se graficamente si viene tratti in inganno. Ma vale la pena fare prima qualche passo indietro.
Marta Daddato: da Queen a Betty Boop. Nel mezzo tanti video su TitkTok in soli 17 anni di età.
Marta Daddato è giovanissima, non ha nemmeno compiuto diciotto anni. Scopro adesso che è un perno saldo di alcuni social da almeno un lustro, il che ha dell’incredibile in rapporto all’età.
Spotify conta cinque singoli all’attivo: Queen, Bordello, Sto Una Bomba, Danni e l’appena sfornato Betty Boop. Musicalmente tutte canzoni trascurabili, diciamoci la verità, nonostante le buone produzioni di Skywalker. Una manciata di pezzi intrisi del trend sonoro che un po’ appesta e un po’ glorifica tutti gli “artisti” di questa generazione. Ma, come abbiamo imparato ad accettare, ognuno con la propria funzione intrattenente estremamente efficace. Dobbiamo farcene una ragione.
A diciassette anni i contenuti son quelli che sono, cioè tendenti allo zero neuronale se paragonati ad altri emergenti (tipo Tha Supreme, che comunque non eccelle per scrittura post moderna), distinguendo uno spaccato deciso. Da una parte chi ha talento musicale e lo alimenta secondo le proprie possibilità tecniche ed economiche, dall’altra dei prodotti non musicali, trapiantati nel settore dalla popolarità e da forti sponsor.
Betty Boop è questo, la sublimazione della seconda schiera di pretendenti. Dalla sua Marta Daddato può però far leva su uno spiccato senso dell’ironia. Caratteristica non da poco in un mondo di lustrini dove chiunque raggiunge un minimo di appeal crede di essere il nuovo Michael Jackson, ma in questo caso sarebbe più consono dire “la nuova Chiara Ferragni”. Probabilmente la biondissima Marta sa bene qual è la sua dimensione e la cavalca alla grande, con naturale senso della conseguenza. Tralasciando quel che dice nei suoi video, in quanto non avrebbe alcun senso critico soffermarsi, la si può osservare scimmiottare movenze da gangsta-rap in maniche di canottiera NBA e snikers, e dopo due secondi muoversi agile e sinuosa in abitini succinti e tacco dodici.
Il ventaglio di “trasformazioni” non è enorme ma comunque abbastanza vasto da carpirne i tratti ancora fanciulleschi di un’adolescenza ormai matura, soprattutto in una donna, che rispetto ai coetanei maschi può vantare diverse marce in più, proprio a livello mentale. I diciottenni uomini sono tutti “eh figa, zio, minchia, yo” e compagnia cantante: la devastazione dell’io cosciente.
Marta Daddato: TikTok è la sua comfort zone, passando da Instagram. YouTube è il naturale palcoscenico della sua “ramificazione aziendale”. La musica passa necessariamente per il Tubo.
Ecco quindi la curiosità di approfondire un “fenomeno” mediatico che per numeri forse non sarà assimilabile ad un pregiato champagne francese, ma a un ottimo spumante italiano sì. Sottolineo: per numeri. Ed è proprio qui, sul fattore mediatico, che si costruisce e modella il “prodotto social” Marta Daddato. Nasce poco più che bambina sul portale Musical.ly dalle cui ceneri sorgerà il colosso TikTok. Per struttura tutto si incentra su brevi video, spesso parodie o playback di canzoni o film famosi. Negli anni, crescendo, ha saputo anche mostrarsi in modo diverso, raccontando sé stessa e la sua vita, pur con un adeguato uso di filtri, video e contenutistici.
Costante e abbastanza variegata nella forma riesce a contare più di un milione e mezzo di follower nella sua comfort zone TikTok, ma ha saputo attirare a sé anche cinquecentomila fan su Instagram. Ora, complice l’intuizione di chi la sponsorizza, anche YouTube ma solo per la formula di intrattenimento musicale.
Non è un caso. TikTok è per antonomasia il social dei giovanissimi. Il target di utilizzo si assesta tra i 13 ed i 21 anni, facendo una stima semplicistica. Comprendendo che in questa fascia di età la maggior parte degli assidui sono tutti confluiti stabilmente su tale piattaforma, l’antefatto ci dà un dato importante. Ovvero, quel segmento è attirato quasi esclusivamente da brevi e sconclusionati video di “gente che fa cose”. Ovviamente non c’è nulla di male, ma in termini assolutistici le previsioni non fanno sperare in una generazione culturalmente attenta e incline ad un miglioramento formale. Per tale motivazione la totale mancanza di messaggi sociali e culturali che abbiano un minimo di valore intrinseco, non ne inficia l’efficienza mediatica. Onore a costoro che riescono in imprese che un tempo pensavamo impossibili.
Marta Daddato parte da questo, fino ad arrivare ad una serie infinita di pubblicazioni dove alterna scenette divertenti, cadenzate dal suo pronunciato accento romanesco, che ne delinea un profilo estremamente diverso rispetto ai video in cui parla con voce altrui (i celebri playback). Ciò le rende una provata umanità che invece tende a sbiadire quando interpreta il “personaggio”.
Ricordiamo che parliamo di una ragazza nemmeno maggiorenne. “Personaggio” quindi, facilmente distinguibile dalle pose ammiccanti, sguardi intensi e facce gommate in pieno stile set fotografico anni novanta. Oggi il movimento ha assunto grande valore, di conseguenza, le manfrine a favore di camera, gli occhi che spesso lasciano l’obiettivo per tornarci dopo un instante, la ricercata mossa al capello per dare volume e tutto il resto sono ormai armi di costruzione da messaggio di massa. C’è chi inneggia e chi resta attonito. Non esistono mezze misure in quanto a “reaction”.
Betty Boop nell’iconografia classica.
Wikipedia recita: “Il personaggio (Betty Boop. ndr) venne caratterizzato come una donna provocante e maliziosa, dal corpo esuberante con vestiti scollati aderenti e cortissimi e la boccuccia a cuore, secondo i canoni delle prime vamp cinematografiche divenendo uno dei primi e più famosi sex symbol”. Marta Daddato nel video palesa il richiamo all’immagine da diva del cartone animato. Il messaggio è puerile ma positivo, per certi versi. I colori ora pastello ora accesi, accompagnano la figura da piccola femme fatale 0-12 che appare padrona della scena. In antitesi col bianco e nero canonico, omaggiato nei primi secondi della riproduzione.
L’approccio al rap puro e crudo è acerbo, elementare e propedeutico al tema proposto, ma con gli approfondimenti tecnici giusti potrebbe davvero fare di più. Molto meglio di alcune “colleghe” ben più navigate che sono in piena parabola discendente, più interessate al fattore commerciale, pubblicitario. Marta Daddato, in tal senso, parrebbe prendere la strada opposta, tuttavia le finalità sappiamo essere coincidenti a medio-lungo termine. Non è un caso se a nemmeno diciotto anni vanta un contratto con la Universal Music Italia, cose che altri talentuosi giovani possono solo sognare, e tutta una sfilza di sponsor pronti a sostenerla che con la musica non hanno poi tanto da spartire. Potere del marketing web.
Quindi eccoci qui. Betty Boop. Marta Daddato. Adesso so chi è.
Mario Aiello