Molti non ricorderanno Franz Beckenbauer, e probabilmente non dovrei neanche io per ragioni anagrafiche. Questa storia del giornalismo mi porta però a sconfinare i campi della musica come quelli del calcio con la stessa disinvoltura, quindi ricordare un calciatore dal piglio così autoritario da essere soprannominato “Il Kaiser” mi risulta facile quando si presenta il singolo d’esordio di una band che lo omaggia nel proprio nome.
Sfrutto questo (neanche tanto richiesto) prologo per introdurre suoni nuovi che sicuramente caratterizzeranno l’autunno che sta approcciando questo 2020. “Benedetta Follia” è il singolo d’esordio dei Beckenbauer. Cinque ragazzi che vengono dalla Brianza e si presentano con musica che omaggia il cantautorato scattando palla al piede e testa alta verso la vaporwave del momento. Il risultato è un brano emozionale, ma al tempo stesso che non scade nell’emotività più banale. Un equilibrio delicato che abbiamo voluto approfondire coi diretti protagonisti.
L’intervista ai Beckenbauer
- Ciao ragazzi, ho una piccola curiosità sul nome del progetto: è un riferimento al calcio (ed ai calciatori) degli anni ’80 o c’è qualche altra storia da raccontare?
La scelta del nome è pura serendipity. Eravamo alla ricerca di un parolone che riuscisse a sintetizzare un po’ la nostra Weltanschauung, la nostra visione del mondo, ma non ne venivamo a una. Un bel giorno mi ritrovo a guardare un documentario in cui Sandro Ciotti racconta Johan Cruijff. Una perla del giornalismo sportivo italiano.
Johan partecipa ai Mondiali ’74 con l’Olanda delle meraviglie, arriva in finale e incontra la Germania Ovest di Muller e Beckenbauer. Sulla carta non c’è partita, gli olandesi giocano dal futuro. Vince la Germania. Primo piano su Beckenbauer: classe & leadership.
Scrivo ai ragazzi: ho trovato il nome della band. Beckenbauer. Perché? Perché ha vinto un mondiale contro il futuro con i piedi ben piantati nel presente. Poi suona bene e io mi fido delle cose che mi suonano bene.
- Passando a questioni più squisitamente artistiche, sembra che il vostro sound affondi nel lo-fi mantenendo però una patina di stardust. Dalle stelle alla matrice più diretta del sound: quali sono le vostre principali influenze?
Si, diciamo che il nostro paesaggio sonoro è una sintesi raggiunta per eterogenesi dei fini, nel senso che le nostre playlist di Spotify sono molto diverse tra loro e non ci siamo dati un “genere” come casella di partenza.
La ricetta è questa: la canonica forma canzone viene filtrata con il sapore analogico della lo-fi, sfumata con un po’ di It-pop e impreziosita da un velo di brillantina synth-pop inglese, a la 1975 per intenderci.
- Il singolo “Benedetta Follia” racconta una storia amara, a suo modo autunnale. Ognuno ha la sua “benedetta follia” con la quale fare i conti?
Benedetta follia è una notte ripida, un locale usa e getta, un cuore infranto, uno sguardo accogliente, una corsa complice e due sigarette accese con il primo sole dell’alba. Non riesco a dirlo meglio. Quando scrivo affronto il pianoforte e il foglio bianco alla Pollock.
Riempio i barattoli di colori, trovo il flow e lascio sgocciolare. Dato che non imposto il navigatore, il risultato finale è una somma di tante piccole grandi esperienze che si imbucano nell’atto creativo. Ci vorrebbero meno cose di cui farsi una ragione e più cose di cui farsi una follia. Ciascuno ha la propria benedetta follia, sebbene molti la affoghino nelle pose, nelle sovrastrutture, nel conformismo.
L’invito è questo: quando puoi perdi la ragione.