11 Settembre 2020. Esce il nuovo disco di Marilyn Manson. L’album si intitola We Are Chaos e la data di pubblicazione ne sublima tutti gli intenti pre ascolto, in riferimento alla tragedia delle torri gemelle del 2001. Chissà quali saranno le sensazioni una volta introitate a dovere le dieci canzoni che compongono l’opera. Spoiler Alert: effettivamente qualche pertinenza astratta con il dramma degli attentati terroristici di New York, teoricamente, si può trovare.
We Are Chaos: precauzioni per l’uso.
Un paio di suggerimenti per una corretta assunzione.
Per esperienza personale so bene che un approccio a capo chino verso questo tipo di produzioni è ad appannaggio esclusivo di fanboy d’annata. Quei ragazzi che idolatravano il Reverendo della famosa “Trilogia” (Antichrist Superstar, Mechanical Animals e Holy Wood. Rispettivamente del 1996, 1998 e 2000) sono ormai adulti e verosimilmente orientati a spugnarsi i timpani con lunghe sessioni di ASMR.
Con questi presupposti vale la pena fissare due concetti:
- Marilyn Manson è un cinquantenne che non può più sostenere il “mito” che egli stesso ha creato. Ogni disco del nuovo millennio va preso stand alone e We Are Chaos non fa eccezione;
- Inutile attendersi “nuovo materiale vecchio stile”. I nostalgici dovrebbero già aver accettato che pure Brian Warner è in piena e incontrovertibile parabola discendente. Quindi focus sul prodotto e non sulle aspettative. A mio avviso è questo l’unico metodo per riuscire a godere pienamente di quanto di buono c’è nell’LP. Il risultato potrebbe sorprendere.
Lasciate ogni Heaven Upside Down oh voi ch’entrate.
Tuttavia a Marilyn Manson non si può criticare la costanza produttiva. Tra alti e bassi sentiamo che succede nel nuovo We Are Chaos.
Dopo aver demolito ogni entusiasmo preconcettuale sull’ultima fatica del povero Manson, giunge finalmente il momento di mettere in pratica quanto detto e addentrarsi nella selva di tracce, sempre dal richiamo (ora) vagamente industrial, che modellano la proposta. Innesti fuori schema (o giù di lì) inclusi.
Col senno del poi anticipo che trattasi di un ascolto finalmente immersivo, cadenzato da momenti aspri e crudi in pieno stile Manson, ma anche momenti di “apertura”, tempi dilatati e capacità di avvinghiarsi al pubblico, pure per chi non è avvezzo a sonorità pungenti.
Si parte. Marilyn Manson – We Are Chaos. Come suona?
Red Black & Blue. Il pezzo si prende tutto il tempo necessario per cominciare a carburare, come fosse il brano introduttivo di un live. Per fortuna gli inserti ritmici tra batteria e riff di chitarre, quando in scena, smuovono tutto il possibile restituendo grinta e impatto emotivo. Non mancano l’altalena di dinamica che abbiamo imparato a sopportare, ma anche elogiare, nel quarto di secolo abbondante di carriera dell’autore.
We Are Chaos è anche il singolo di lancio, distribuito il 29 Luglio. L’eresia è questa: il pezzo è quasi country per impostazione, con gli arpeggi e la cassa in quattro. Pian piano la scena evolve in una sorta di rock-pop che ci saremmo aspettati, ma non così melodico alla stregua del giro armonico di Do. Ma, tutto sommato, mantiene il suo perché nonostante il titolo avrebbe suggerito qualcosa di molto più articolato o sconnesso.
Don’t Chase The Dead è invece il singolo numero due che anticipa l’LP di un solo giorno. L’intento di mantenere un andamento di facile approccio, devo dire, mi ha colpito in positivo. Anche qui l’ascolto appare “facilitato” e scorrevole. Probabilmente per fidelizzare i meno assuefatti con la speranza di non far cadere le braccia ai fan più esigenti (che vedranno qualche soddisfazione solo più avanti). D’altronde la creatività passa anche per momenti non proprio segnanti. L’impronta melodica, comunque vada, sa sempre trovare un pubblico a cui riferirsi.
Paint You With My Love mi ricorda una ballata estiva italiana di fine anni sessanta, quelle su cui ci giravano film e serie TV, volendo proprio concettualizzare con lo stivale sullo sfondo. Magari una canzone del genere alla numero quattro per Marilyn Manson può essere vista come “elemento strutturale”. Tuttavia, nonostante una certa coerenza nei confronti del disco intero, qualche mandibola resterà dislocata per diversi minuti. Sicuramente i quattro e mezzo della riproduzione. Ci sta, ma tranquilli, passerà.
Half-way & One Step Forward segue il trend dai toni bassi con un riff arpeggiato di piano misto a suoni electro e sensazioni wave (qui forse ci vuole un po’ di fantasia), la voce composta che non vuole insistere pennellando un racconto pacato eppure pieno di pathos.
Infinite Darkness si immerge ancora di più nell’aspetto “simil ambient” di cui We Are Chaos ne manifesta più volte le intenzioni. Riaffiorano lontane riminiscenze, soprattutto con la linea della voce, vero marchio di fabbrica dell’eccentrico artista. Musicalmente scarna su strofe e intorni di esse, più verve e dinamica sui ritornelli. Nemmeno fosse un tormentone qualunque.
Perfume. Molti riconosceranno la scansione ritmica scelta per questo pezzo, qualcosa di noto probabilmente anche per chi non è un appassionato della produzione di Marilyn Manson. Stavolta, lo ammetto, l’effetto nostalgia è percettibile. La canzone si struttura su controcanti ed incroci di voci che riempiono, assieme alle chitarre, ogni vuoto dello spettro sonoro. Un mid tempo che riesce comunque ad assestare un colpo in pieno viso ai più sprovveduti che osano approcciarsi con superficialità. Che dire della bitonale sulle basse del reverendo: must have di tutti; pochi ce l’hanno.
Keep My Head Together. Il tocco melodico sull’arrangiamento accarezza l’orecchio fornendo un relativo contrasto che nel tempo fa sentire la sua mancanza. Come ad aspettare che si senta, una controllata dipendenza. Il disco fin qui funziona alla grande, mantenendo un profilo basso ma intrattenente.
Solve Coagula. Ecco qui ho avuto non poche difficoltà, anche se i contrappunti melodici riprendono il discorso della canzone precedente. Probabilmente troppo cullante, nonostante il tono resti robusto.
Broken Needle. Comprendo adesso l’evoluzione (il)logica che porta per mano la progressione verso l’introspezione degli ultimi brani, fino ad arrivare qui dove l’impianto è sorretto da una semplice chitarra acustica in una struggente attitudine. L’enfasi, a seconda di quanto si decida di immergersi, può arrivare a sfiorare l’epidermide stuzzicando l’effetto pelle d’oca. Risultati non garantiti, ma possibili. Me la immagino sui titoli di coda di un film alla Nolan. Fantasticare per credere.
Il tratteggio dopo averne avuto esperienza.
We Are Chaos è un album polimorfo, per certi versi estremamente concettuale. Gradevole. Questo basta a spiegare l’ossimoro, trattandosi di Marilyn Manson, attorno al quale, nonostante siano passati 25 anni circa, aleggia sempre un clima di suscettibilità. Sia da parte degli appassionati, mossi da venerazione e forse delusione; sia da tutti gli altri che sono rimasti ancorati all’iconografia classica del personaggio. Che poi saranno gli stessi che immaginano Gesù biondo con gli occhi azzurri e la barba fatta, come se fosse nato nel ventesimo secolo a Oslo, piuttosto che in Palestina duemila anni fa. Digressione a parte, io non grido al miracolo, ma We Are Chaos può segnare un punto fondamentale sulla lunga linea della carriera dell’ex marito di Dita Von Teese.
… E le tematiche?
Quali sono ordunque gli argomenti trattati in We Are Chaos? Quasi ce ne stavamo dimenticando.
Disequilibrio verso la follia senza scopi oltremodo empi, col solo obiettivo di osservare il mondo distruggersi, agendo giusto un pochino qui e là. Chiedersi se Il caos può essere solo un culto da professare o il culmine esasperato di qualcosa che va eliminato. Risposte non ce ne sono.
Tra l’altro gli intrecci di testo tra le canzoni aiutano a tessere una tela di temi modulati ed approfonditi in modi diversi, a seconda del brano in cui appaiono. Anche il termine “malato” – oltre l’intramontabile “morte” e derivati – si ripete più volte, come a generare una sostanziale differenza tra un “noi sofferenti” ed un “loro inconsapevoli”. Dove i secondi non possono comprendere le ragioni dei primi, insistendo a promuovere e in alcuni casi imporre soluzioni per problemi non compresi fino in fondo. Il caos si genera da questa contrapposizione ideologica. Non per volontà, ma per necessità di una minoranza che si esorta a non rincorrere l’idea di qualcosa che non c’è o che non c’è più. Provando a darsi conforto nell’istituzione di una comunità composta da tante singolarità.
La violenza di certe azioni si maschera nelle reazioni esasperate ma controllate di questi “underdogs”. L’età che avanza ha colpito anche la ferocia comunicativa di Marilyn Manson, spostando il tiro e rendendo tutto più omogeneo nel calderone delle trame testuali messe in essere per il pubblico. I richiami dal lontano passato non mancano, forse in Perfume più delle altre, ma a questo giro c’è un contesto con meno paletti e maggiore duttilità di intenti che ne amplifica la portata, con o senza deformi interpretazioni. Al punto da essere digeribili nella totale assenza di concretezza. Tuttavia, se il caos siamo noi, è logico non potersi aspettare soluzioni ordinate. Difatti i sentimenti esposti mutano assieme alle canzoni, finendo in una bolla, che tutto ciò sia solo un sogno o qualcosa di tremendamente peggiore.
Mario Aiello