Un disco, una generazione. Oggi spegne venticinque candeline (What’s The Story) Morning Glory, il disco che ha reso gli Oasis un vero e proprio fenomeno mondiale. Dodici tracce, ma dieci canzoni, che hanno fatto, in primis, la storia di una band, ma poi hanno inciso sul periodo storico e musicale degli anni Novanta. E infine, ovviamente, quei brani sono diventati parte integrante delle giornate di miliardi di ascoltatori.
Il 2 ottobre del 1995 i due fratellini più amati, ed allo stesso tempo odiati, dello showbiz siglano il loro nome a caratteri cubitali nelle classifiche musicali dell’intero globo. Un dato destinato a rimanere costante per gli anni a venire.
Ad accompagnare Noel e Liam Gallagher in quel viaggio ci sono stati Paul Arthurs, più conosciuto come Bonehead, alla chitarra ritmica, Paul McGuigan (Guigsy), al basso, e Tony McCarroll, alla batteria, che ha poi lasciato il timone ad Alan White.
Si tratta del secondo album della band, ad un solo anno di distanza dal precedente. Tra i vari riconoscimenti si è aggiudicato quello di Miglior disco dell’anno ai BRIT Awards del 1996 e Miglior disco degli ultimi trent’anni ai BRIT Awards del 2010.
Inoltre, (What’s The Story) Morning Glory è stato un successo pazzesco anche dal punto di vista economico. Sono state vendute circa trecentomila copie in una sola settimana dall’uscita nel Regno Unito, che l’hanno fatto piazzare con tutti i meriti come il terzo album più venduto di sempre nella storia del Regno Unito. Precisamente dopo il Greatest Hits dei Queen, del 1981, e l’immortale Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, del 1967.
Tra i vari gossip, che come sempre coinvolgono i due cari Gallagher, negli ultimi mesi la Big Brother Recordings ha annunciato una festa in grande stile per questo 2 ottobre 2020. I fan potranno ritrovare sullo store ufficiale un doppio LP color argento, con audio rimasterizzato e in formato picture vinyl. Un’occasione imperdibile, insomma, considerando anche l’aggiunta di contenuti inediti.
Quando si parla di ricorrenze di questo tipo c’è solo una domanda che il lettore si pone: perché siamo ancora qui a parlarne oggi a distanza di tanti anni?
Un disco, una generazione. Già solo questa frase potrebbe benissimo riassumere tutto ciò di cui stiamo parlando, ma perché fermarci qui?
(WHAT’S THE STORY)
Prima di parlare di questo disco immortale, facciamo un passo indietro a ciò che è accaduto in quegli anni nel panorama musicale britannico.
È innegabile, la maggior parte delle scene musicali è partita dalla Gran Bretagna. Per quanto gli Stati Uniti si fingano inventori di nuovi generi, nulla sarebbe stato lo stesso se non fosse stato per i loro “rivali dell’isoletta”.
Verso la fine degli anni Ottanta il vento stava definitivamente cambiando. L’attenzione dei media e del pubblico si stava spostando di nuovo verso il Nord dell’Inghilterra, lontano dalla capitale Londra. Così come negli anni Sessanta c’era la Liverpool dei Beatles, Manchester era ora al centro dei riflettori.
Tutto ciò è accaduto principalmente grazie al The Haçienda, un nightclub capace di intercettare le nuove mode musicali e portare alla ribalta numerose realtà distinte tra loro. Proprio così prende il via e si diffonde velocemente la scena musicale nota come madchester, i cui principali esponenti sono gli Happy Mondays e gli Stone Roses.
Il vento, insomma, stava davvero cambiando. In quelle giornate cupe nascevano nuove band che mescolavano rock, pop, punk, dance, psichedelia e tanto altro.
Gli ascolti musicali dei Gallagher derivano proprio da questa scena, ma nel periodo in cui hanno dato vita alla loro carriera la rivoluzione era ormai già in pieno atto.
Nei primi anni Novanta si diffonde una nuova ondata, che nasce proprio “dalle ceneri” della precedente, ma molto più solida. È il britpop. In questo enorme calderone ritroviamo un elenco infinito di band, tra cui i Suede, i Pulp, i Kula Shaker. Ma come molte altre wave, pochi riescono ad ottenere lo stesso successo in parallelo sia in UK che all’estero.
Il centro al bersaglio è segnato dagli Oasis che, a partire dall’uscita di Definitely Maybe (30 agosto 1994), riescono a guadagnare un enorme fetta di pubblico.
La stampa inglese riesce bene a comprendere come attirare l’attenzione in questa circostanza. Il 15 agosto del 1995 vengono pubblicati sia Roll with it degli Oasis, che Country House dei Blur. NME, la rivista britannica di riferimento di questi anni, coglie la palla al balzo, mettendo in prima pagina una vera battle, portando al centro della discussione la faida musicale più celebre dai tempi dei Beatles e i Rolling Stones. Per l’appunto, quella degli Oasis contro i Blur.
Come tutti sappiamo, le mode musicali sono temporanee, ma le band e le loro canzoni restano impresse nella memoria collettiva e il tempo non può scalfirle.
Gli Oasis, insomma, sono stati contemporaneamente apice e fine del britpop e tutto questo non sarebbe successo senza (What’s The Story) Morning Glory. Il disco è figlio di questo periodo storico ed è stato quello che ha permesso a quel mondo di uscire all’esterno. E qui la scena ha iniziato a sgretolarsi, lasciando, però, al pubblico un patrimonio musicale immenso.
La band originaria di Manchester è stata, dunque, tra le pochissime della cricca ad emergere a livello internazionale. E di certo, tutto questo non sarebbe accaduto se quei dieci pezzi non fossero stati così validi.
MORNING GLORY
Sulla copertina del disco sono rappresentati due uomini di cui non distinguiamo i volti, in una strada deserta di Londra. Desolata solo perché la foto è stata realizzata all’alba. L’indirizzo di quello scatto è Berwick Street, a Soho, in pieno centro della splendida Capitale inglese, precisamente davanti al negozio di dischi Sister Ray.
È il 2 ottobre 1995, un fan medio degli Oasis preme il pulsante play e (What’s The Story) Morning Glory esce per la prima volta da uno stereo.
La prima traccia è Hello e l’intro fa eco all’incipit di Wonderwall. Un pezzo di un’enorme carica energica. “And it’s never gonna be the same”. Così canta il leader Liam Gallagher e quella consapevolezza è già parte di noi.
Si prosegue con Roll with it e il livello si conferma altissimo. Ma quando scatta quel colpo di tosse e si passa a Wonderwall anche i cuori più freddi si riscaldano.
Wonderwall è la canzone per eccellenza che ha fatto letteralmente prendere la chitarra in mano a miliardi di giovani sognatori. Il pezzo da stadio, quello da dedicare alla persona di cui sei innamorato, quello da cantare con gli amici, perché sai per certo che tutti ne conoscono le parole. Ha segnato una generazione, senza se e senza ma.
E se Wonderwall è stata “the one who saved us”, per raccontare cosa ha fatto Don’t Look Back in Anger dovremmo scrivere un libro. Don’t Look Back in Anger è la vera rivoluzione fatta dal proprio letto con la testa che vaga verso universi paralleli. Dopo venticinque anni resta la canzone migliore della carriera della band, una delle migliori che sia mai stata pubblicata e scritta da Noel Gallagher. Un’opera d’arte, impeccabile in ogni suo aspetto.
Dopo Hey Now! e l’intermezzo, è il tempo di Some Might Say, primo singolo estratto dall’intero lavoro. I brani hanno una forza incredibile: riescono a farti ballare, cantare, ma allo stesso tempo ti cullano e ti abbracciano nei momenti di sconforto.
A seguire c’è la “preghiera” di Cast No Shadow, dedicata all’amico Richard Ashcroft, che, tra l’altro, stava ottenendo un discreto successo con i Verve. Come una ballata, una ninnananna, suona come un addio ad una persona cara.
She’s Electric fa da perfetta apripista al singolo che dà il titolo all’intero lavoro. Con il rombo del motore di un elicottero, tra i suoni tipici dei brani targati Oasis, parte Morning Glory.
È un tuffo in quegli anni e nella vita frenetica che i Gallagher avevano intrapreso, per non parlare del significato che ha l’espressione morning glory nella cultura inglese.
Ascoltiamo quaranta secondi dell’intermezzo, prima di goderci il termine di un viaggio incredibile della durata totale di cinquanta minuti. È Champagne Supernova a mettere il punto al racconto. Quale conclusione migliore se non un pezzo in cui c’è lo zampino di Paul Weller?
Il tutto termina qui, ma è incredibile l’impatto di (What’s The Story) Morning Glory, registrato in poco più di dieci giorni, tra maggio e giugno del 1995.
Gli Oasis grazie a questo album erano “arrivati” e niente sarebbe stato più lo stesso, sia per loro che per noi.
DON’T LOOK BACK IN ANGER
I HEARD YOU SAY
AT LEAST NOT TODAY
La musica ha la capacità di comunicare ad ognuno qualcosa di diverso e il disco perfetto non esiste, forse. Tuttavia, mi chiedo per quale motivo questo capolavoro non manchi mai nelle case degli ascoltatori di musica di qualsiasi genere.
Se (What’s The Story) Morning Glory ha conquistato così tanto pubblico non è perché si tratta di un album da lodare dal punto di vista tecnico e neppure perché i testi sono particolarmente impegnati.
(What’s The Story) Morning Glory è una questione di pancia, di orecchie, di cuore. Quei cinquanta minuti si impossessano completamente del tuo corpo. Non si tratta di tecnicismi o di studi elevati: è emozione. Ed è ciò che rende l’album e la band così speciali.
Nel mio caso, si tratta di uno dei dischi che mi ha aperto ad un mondo nuovo e mi ha fatto sentire a casa. Dopo anni in cui l’ho ascoltato nella solitudine di una cameretta adolescenziale, ho capito sempre più il suo potenziale condividendolo con altre persone. L’unione di tanti individui in quella che appare a tutti gli effetti una religione, tra mitomani, mad e fan impazziti che continuano a girare il mondo anche solo per sentire un accenno di brano.
Un solo istante ha superato l’eccitazione di essere sotto i palchi di Noel e Liam Gallagher, le serate e le “cantate” con gli amici. Se mai vi capiterà di passare a Berwick Street, sono certa che vi mancherà il fiato e in pochi secondi ripasserete in rassegna quelle tracce che ci hanno inevitabilmente cambiati.
Oggi (What’s The Story) Morning Glory compie venticinque anni, proprio come me. Si tratta di un segno dell’inesorabile scorrere del tempo. Non siamo più adolescenti, non siamo più giovani, non siamo più gli stessi, ma quest’album è rimasto intatto nella sua unicità ed è ancora in grado di vincere la corsa contro il tempo. Pur essendo parte di un immaginario ben distinto, è infatti apprezzato sempre da nuove generazioni di ascoltatori.
Quindi, è opportuno secondo voi chiedersi perché ne parliamo ancora oggi?
Assunta Urbano