“Immensità” di Andrea Laszlo De Simone è un disco che lo scorso anno ho letteralmente consumato, imparandolo a memoria. Poi, ad un certo punto, decisi di inumarlo tra i ricordi per dedicarmi a nuovi ascolti. La sua energia, però, d’improvviso mi si è ripresentata prepotentemente alla porta riportandolo vivo e vivido in superficie.
D’altro canto, se hai voglia di ascoltare musica e ti ritrovi con un solo vinile a disposizione, finisci per arrenderti al silenzio. Oppure, puoi scegliere di cristallizzare quel solitario trentatré giri tra le memorie, nel giro di un pomeriggio.
Seconda opzione.
Andrea Laszlo De Simone arriva da Torino. L’otto novembre del 2019 ha pubblicato un’opera dalla bellezza complessa, tra musica e visione, intitolata “Immensità”, per 42 Records e le etichette francesi Ekleroshock e Hamburger Records.
Oui monsieur: il seguito del long play d’esordio “Uomo Donna” ha attraversato i confini nazionali, ed è da considerarsi come un segnale dell’importanza artistica dell’album che ci apprestiamo a (ri)scoprire.
Andrea Laszlo De Simone – Immensità
Overture
Venticinque minuti e quindici secondi di ascolto senza soluzione di continuità, per quattro episodi principali attorno ai quali crescono intermezzi musicati. È il concetto classico di suite che indossa abiti moderni. Attraverso una sagace decostruzione, per favorire quell’esperienza agile che le piattaforme di streaming predicano, i brani si possono fruire anche in forma isolata. Ma è una scelta perdente, ve lo garantisco.
Perché l’incedere cadenzato da rock-ballad anni ’60 della traccia d’apertura, “Immensità”, non arriverebbe con lo stesso pathos senza il preludio “Il sogno”. E quando l’immersione onirica si spezza, eccoci risalire a galla…ci aspetta “La realtà”.
“Questa mi piace, il tema portante è pazzesco”
È continuo a pensarla esattamente così. “La nostra fine” è probabilmente l’episodio più ispirato, un ascolto ieratico, solenne e pomposo nella visione cinematografica degli arrangiamenti.
Andrea Laszlo De Simone ricorda di esser stato prima di tutto un batterista (con i Nadàr Solo) ed affida al ritmo l’alternanza calante/crescendo di questa fase della suite. Se ti concentri sul testo, ecco un bel guaio: nodo in gola che solo un bel respiro di archi riesce a mandare giù.
Il trattamento visivo è una di quelle cose che solletica l’arguzia. Di fatto, un meta-videoclip che mette in scena la recording session che ha impreziosito l’arrangiamento.
Cos’è successo lo sai
La vita sceglie per noi
Possiam parlarne se vuoi, si ma…
La notte è giunta per noi
Gli inizi (e la nostra fine) implicano la concezione del tempo e de “Lo Spazio”, interludio che grazie ad atmosfere cariche di tensione elettrica ci porta a “Mistero”, un raga labirintico trascinato da sette lettere ed importanti fiati che sfuma verso una coda di fischio e pianoforte.
Tra gli ultimi granelli di stardust ecco tornare, prepotente, “Il Tempo”. Scena che tanto sul piano immaginifico quanto su quello d’ascolto si sposta, percorrendo migliaia di chilometri per raggiungere un luogo sicuro ed accogliente, per curiosare tra le evocazioni folk (non del tutto inedite) di “Conchiglie”.
Ed ecco una bella apertura pop, il cantato sporco da conversazione telefonica d’antan, il rumore di pioggia ed una marcetta con tanto di tromba. Momento perfetto per lasciar scorrere i titoli di coda.
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Andrea Laszlo De Simone: evadere dal cantautorato
Andrea Laszlo De Simone, la scheggia impazzita della musica italiana, in mezzo a cotanta “Immensità”, è tutto tranne che un semplice cantautore. Concepire, arrangiare, scrivere le parole ed occuparsi della trasposizione visiva (in veste di ideatore e montatore) di un prodotto del genere rappresenta una sfida complessa, ed il risultato è artisticità, tonica e muscolare.
Confluiscono ritmi, ponderazioni elementari (dove ogni singolo elemento che compone il suono nella sua interezza assume un peso specifico elevato, ed una funzione strutturale portante) e morbidezze dal respiro 70ies. In tale microcosmo, le parole hanno significato, concetti e riferimenti, ma la sensazione più immediata è di uno strumento che, attraverso i vocalizzi, si mimetizza nell’intero impianto melodico.
Orecchie, ma anche vista. L’estensione dell’opera che coinvolge il senso degli occhi è rappresentata da un concept filmico scisso in quattro videoclip per le dinamiche promozionali relative alle canzoni, ma unificato in un mediometraggio che include le transizioni tra un brano e l’altro ed evolve l’intero significato transmediale.
Facciamoci un favore, evitando la brutalizzazione dell’atto creativo, godendone l’intera espressione sia come disco musicale (pubblicato solo in digitale, e come bellissimo e prezioso vinile) che come elaborato filmico.
Per come ho scoperto ed apprezzato questo gran disco, è significativo che oggi sia domenica.