Suburra – La serie è una crime story italiana ispirata all’omonimo romanzo di Giancarlo de Cataldo e Carlo Bonini, prodotta da Netflix. Suburra (Subura) nell’antica Roma indicava il quartiere più malfamato e pericoloso della città, rifugio di malavitosi e ladri.
Con la terza ed ultima stagione, disponibile in streaming sul colosso americano dal 30 Ottobre, la serie riprende le fila del racconto dagli ultimi sviluppi accaduti nella capitale.
Dove eravamo rimasti? (il recap delle prime due stagioni)
Dunque, Lele si è suicidato gettando nel panico Aureliano e Spadino. Quest’ultimo, con Manfredi in coma, è diventato il nuovo boss della famiglia degli zingari. Ma deve guardarsi le spalle dai cugini, che vorrebbero insidiargli il trono. Cinaglia se la intende con la dottoressa Monaschi, mentre Samurai, anche a seguito di pressioni esterne, non vede l’ora di finalizzare gli affari.
La terza stagione di Suburra si apre con alcuni colpi di scena importanti. Manfredi si è risvegliato ed è intenzionato a riprendersi il suo posto, anche se questo vuol dire fare la guerra a Spadino. La Monaschi, mandata a gestire in Sicilia il centro di accoglienza per i migranti più grande d’Europa, sparisce dai radar. Il buon Cinaglia diventa il riferimento politico dei clan mafiosi. Su quest’ultimo assistiamo ad una evoluzione spaventosa del personaggio, che da timido faccendiere diventa uno spietato politico assetato di potere, pronto a passare persino sugli affetti più cari pur di comandare. Il primo a farne le spese sarà il vecchio Samurai, che troverà la fine dei suoi giorni alle spalle di una chiesa di periferia.
Intanto c’è un nuovo affare che si chiama Giubileo, intorno al quale ruotano le vicende del racconto.
Aureliano e Spadino
Con la morte di Samurai, Aureliano Adami e Alberto Anacleti diventano di fatto i nuovi re di Roma. Affiancati dalle rispettive consorti, gestiranno i traffici illeciti della città concludendo affari che vanno ad intrecciarsi con la politica e la fede. Da qui il contrasto con l’aspirante Imperatore Cinaglia, che non sopporta più padroni ed intralci sulla sua strada. Ma se di quest’ultimo viene messo in risalto il lato peggiore, con Aureliano e Spadino assistiamo ad un processo inverso, quasi di umanizzazione.
Il capo degli Adami, infatti, nel corso della serie, forse anche a seguito delle perdite in battaglia (il padre, la sorella, il fidato Romoletto e l’amico Lele), si stringe con più forza a Nadia ed in particolare a Spadino, nei cui confronti non nutre più sentimenti omofobici e xenofobici. Il senso di tristezza che pervade l’animo del boss di Ostia contraddistingue ogni sua azione, tenendo sempre alta l’attenzione nei suoi riguardi. Sarà proprio lui – manco a dirlo – a regalare alla serie il colpo di scena finale.
Spadino, dal canto suo, prova a prendersi le responsabilità di essere un padre, accettando anche il fatto che chi sta per arrivare non è ciò che desidera. Cercherà inoltre di essere un buon marito, consapevole che il suo cuore è altrove. Nello scontro con Manfredi non sarà all’altezza del ruolo che riveste, e per questo si troverà in una condizione di pericolo totale. Sarà l’amato socio, grazie all’avvertimento di Nadia ed Angelica, a salvargli la vita.
La mutazione di questi due personaggi è forse uno dei pochi passaggi interessanti e da salvare dell’intera trilogia. Altra nota significativa riguarda il ruolo di comprimarie che Nadia e Angelica rivestiranno in questa terza stagione. Non semplicemente le donne dei boss e nemmeno delle subordinate, ma capi con poteri decisionali.
Suburra – La serie: L’insuccesso dietro l’angolo
Roma “non si governa con le carte e nemmeno con le pistole, ma con il potere“.
Il tema intorno a cui ruotano le vicende di Suburra – La serie è appunto il potere. Nel corso delle tre stagioni vengono evidenziate le sue ramificazioni nella cosa pubblica, in quella sacra e per le strade della città. Ci vengono mostrate le malefatte del politico corrotto e senza scrupoli, del funzionario pubblico disposto a truccare le carte per favorire loschi affari gestiti dalla mala (locale e nazionale) e popolani del mondo di mezzo. Dietro, la regia occulta dei collettivi bianchi, dei cd poteri forti, che non si sporcano le mani ma muovono i fili di intrecciate ragnatele che convergono tutte in un unico punto: il controllo totale della Capitale.
In questo millennio, Suburra, Gomorra, e prima ancora Romanzo Criminale hanno portato sul piccolo schermo di casa uno spaccato della mala cosa nostrana, passata ed attuale. Racconti senza filtri su dinamiche sistemiche note e di dominio pubblico ma su cui si fa in fretta a passare le scure della dimenticanza. Dei tre racconti, Suburra è sicuramente il più debole. In un’ipotetica classifica sarebbe fuori dai giochi, al pari della figlia della star che prova ad emulare la madre ma che riesce a rappresentarne soltanto una brutta copia. Non me ne vogliano i fan.
Tornando a noi, l’atto finale di Suburra – La serie pertanto non convince, come del resto le precedenti due stagioni. Il senso di già visto è presente in ognuno dei tre capitoli e nelle sei puntate conclusive si accentua notevolmente. Il coniglio dal cilindro tirato fuori all’occorrenza è anch’esso una riproposizione in salsa moderna di scene entrate nell’immaginario collettivo degli amanti del genere.
Una su tutte: lo scontro tra gli zingari e il duo Aureliano-Spadino, che di fatti rievoca in maniera grottesca il finale dell’amatissima Breaking Bad. In quel caso abbiamo assistito ad uno spin off (Better call Saul) all’altezza (o quasi) della serie madre e ad un meno convincente sequel (El Camino) targato Netflix. Le notizie intorno ad una delle due possibilità sembrano voler andare oltre il semplice chiacchiericcio della rete. L’augurio è che si decida di chiuderla qui, di frenare gli entusiasmi, senza ulteriori strascichi. Anche perché, sono convinto che nessuno si offenderà se Spadino, Angelica e Nadia decidessero di cambiare vita anziché alimentare la sete di potere. Nel caso aveste delle intuizioni geniali…fermatevi, siam contenti così.
Salvatore D’Ambrosio