Chi ha qualcosa da dire, come Giorgio Canali, sa quando stare in silenzio e quando è il momento di tuonare fecondando una tempesta di pensieri.
Il nuovo disco, nono complessivo, vanta la collaborazione dei fidati Rossofuoco e si intitola “Venti”, al quale si aggiunge il sottotitolo “canzoni di merda”.
Con La Tempesta in veste di label a firmare la pubblicazione, per il rocker si tratta della prima esperienza discografica in smart working. Fra chitarre registrate a Miami, batterie sarde, bassi bolognesi e parole e chitarre nate a Bassano del Grappa. Concludono qualche violino giunto da una stanza romana e mixing in bella copia tra le colline toscane.
Ecco com’è nato un doppio disco, che contiene Venti sacrosante e merdosissime canzoni.
Venti, un bel lavoro collettivo
La creazione si è intrecciata in maniera strana: siamo partiti da spunti individuali che sono diventati canzoni ed ognuno di noi ha contribuito a far scoccare la scintilla, nessuno escluso.
Parte l’ascolto, e balza subito all’attenzione l’assenza del manierismo sulla pandemia.
La ragione è semplice: non ve n’è bisogno. Le tematiche approcciate da Canali hanno così tante cose storte da raccontare che non serve a nessuno perdersi nei discorsi sull’isolamento. Inoltre, tutto il disco è frutto di un concept maturato dal silenzio, dal lavoro lontano dai balconi e dalle dirette streaming per cercare di maneggiare e plasmare quel che resta del magma rock tra i vulcani assonnati in Italia.
In parallelo a questo patto silente, l’altro filo conduttore si materializza attraverso un vago citazionismo alla canzone italiana degli anni sessanta/settanta. Un divertissement che porta in ogni traccia omaggi ad artisti del passato, devo dire occultati con sapienza e mestiere di chi sa cosa farci con la musica, sotto molteplici punti di vista.
Quando ci si addentra nel sottobosco sonoro della tracklist, che richiede (a merito) la giusta attenzione, ci si accorge quanto Giorgio Canali sia limpido ed efficace. Cristallino come un bicchiere di gin tonic, quello fatto bene che il nostro consuma rigorosamente con distillato Bombay (gusto soggettivo che, da umile bevitore di gin, non condivido pienamente).
Come il distillato di buona qualità, la narrazione di questo album lascia un retrogusto amaro e picchia forte sulla nuca. Le chitarre sferragliano come un bisturi affilato, sapendo affondare il colpo o tenere alta la tensione in episodi che mischiano rock (nelle più eterogenee sfumature), blues, ritmi e qualche nervatura folk/punk che mi sarei aspettato in dischi che ne avevano ben donde.
Cosa canta Giorgio Canali
Si canta il presente di una persona che ha ancora tre grammi per litro di emozioni pulsanti, sentimenti che nonostante il decorso dei decenni sono sempre complicati da manifestare, intimità corrosiva e politicismi ormai evanescenti. Storie intime ed autoconclusive, nel pieno registro espressivo del Lazlotòz che “Venti”(due) anni dopo la prima volta da solista continua a martellare, soppesando con efficacia le energie, ma pur sempre dandoci dentro.
Giorgio Canali è un ascolto benefico, che tira fuori una mitragliata di tracce con strumenti (sembra una frase fatta, ma è drammatica realtà) sempre meno utilizzati nel fare musica: batteria, basso e chitarre che messe in mano sapienti sanno ancora regalare preziose soddisfazioni.
È un album figlio dei nostri tempi disgraziati e delle connessioni internet ad alta velocità.
Disegnare una parabola artistica senza sbavature, caratterizzando le proprie opere con i racconti di un’esistenza sgangherata e claudicante come un tempo dispari. Non so se è questo il patto col demonio sugellato dall’artista di Predappio, ma è certo che un elaborato del genere si può accogliere solo con un brindisi.
È che non bevo da un po’ e non penso neanche al motivo, ma ho scusanti perfette per fare un’eccezione.
GP