Se succede qualcosa, vi voglio bene: la brevità è proporzionale all’intensità

Se succede qualcosa, vi voglio bene (If Anything Happens, I love you) è un film d’animazione in 2D di Will McCormack (sceneggiatore di Toy Story 4) e Michael Govier, disponibile sulla piattaforma Netflix.

In dodici minuti di pura delicatezza, si sfiorano i lividi che solo la morte di una figlia può provocare sulla pelle dei genitori. Guardare il cortometraggio, infatti, è come toccare con mano i segni e le ferite strazianti con cui una perdita ci costringe a fare i conti.

 

SE SUCCEDE QUALCOSA, VI VOGLIO BENE: LA TRAMA

 

Se succede qualcosa, vi voglio bene, tratteggia sin da subito con due colori predominanti, il bianco e il nero, il tema centrale: l’esperienza vissuta da due genitori che perdono la propria figlia a causa di una tempesta di neve.

Il film inizia con l’immagine di una coppia seduta ad un tavolo. Sono isolati nei loro pensieri mentre le proprie ombre combattono in maniera irrequieta. A un certo punto, il gatto fa partire accidentalmente la musica da un giradischi e compare una terza ombra: una bambina.

Da qui, attraverso flashback pieni di sorrisi e lacrime, i disegni –  dal tratto semplice ma potente –  cominciano a far intuire e a narrare la tragedia che sta affrontando la coppia.

Dopo dodici minuti di rara dolcezza, ci si rende conto di quanto l’opera sia stata capace di ascoltare paure e dolori reconditi o ancora incandescenti. Un’impresa difficile e sottovalutata se si pensa che la percezione del dolore è personalissima, nonostante la morte appartenga, paradossalmente, a tutti.

 

DARE VOCE AL SILENZIO

 

Quando le parole sono superflue, interviene la musica.

In Se succede qualcosa, vi voglio bene, la bravissima Lindsay Marcus  ha composto la maggior parte della colonna sonora: sui 12 minuti di corto, oltre 8 sono stati creati da lei.

A completare il lavoro magistralmente compiuto, la bravura del compositore Charles Dickerson (dalla Inner-City Youth Orchestra di LA), e il brano “1950” di King Princess.

UNA PREGHIERA LAICA E SILENZIOSA

 

Se succede qualcosa, vi voglio bene assomiglia ad una preghiera laica che può essere condivisa da chiunque sia in vita: la morte è totalizzante, non risparmia nessuno.

E seppur il dolore di una perdita assume forme diverse a seconda della soggettività umana, le reazioni di annullamento, di sconfitta, di distacco, di lacerazione, di lontananza dalla realtà, sembrano essere tratti peculiari in ciascuno.

Le urla strazianti di una tempesta interna si trasformano in silenzi prolungati, il nero che attanaglia ogni percezione diventa una folgore bianco che non consente di tenere gli occhi aperti, la perdita è un macigno pesante e straziante che non permette nessun movimento.

Immobili, inerti, alienati, impotenti. Chi assiste alla conclusione del viaggio di qualcuno si sente così. Guardare attraversare il confine che separa la vita dalla morte è tra le esperienze più inquiete che si possano provare. Se poi si tratta di una figlia, o di un figlio, il dolore è indicibile. Non credo sia un caso che esista un aggettivo per descrivere chi perde il marito, chi la moglie, chi il padre e chi la madre. Ma chi perde un figlio non è vedovo/a, non è orfano/a. Non c’è un termine.

Probabilmente perché la vulnerabilità emotiva dell’essere umano pone dei freni per salvaguardarsi. L’ineffabilità di quel dolore deve essere taciuta perché qualsiasi parola si ridurrebbe a rumore. E a un dolore così grande può permettersi di corrispondere solo il silenzio.

 

Santina Morciano

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