Il più recente singolo di Gianna Nannini, “L’aria sta finendo”, ha fatto letteralmente infuriare la Polizia.
In particolare, non è il brano (estratto dal disco del 2019 “La Differenza”) ma il videoclip ad essere oggetto di polemiche, perché le Forze dell’Ordine, si desume, verrebbero rappresentate in modo fuorviante.
Nonostante non siano presenti riferimenti diretti alla Polizia italiana, la rappresentazione animata di agenti con la testa di maiale intenti a torturare civili ha scatenato sindacati ed associazioni di categoria. Anche un ex commissario, Flaviano Iuliano, si è espresso in toni molto duri.
Tu hai sbagliato Gianna, hai sbagliato perché hai fatto di tutta un’erba un fascio. Un caduta di stile che ti mette sullo stesso piano di quei tanti che hanno scelto di esprimere insulti sui social verso la tua persona. Cara Gianna, il mio ultimo pensiero mi porta a considerare: sicuramente per me è caduto un mito, al quale, lo dico con semplicità, da oggi in tanti non vorranno più assomigliare.
Il CODACONS, intanto, ha chiesto la rimozione del video dalle piattaforme social e che l’artista senese pubblichi un messaggio per sensibilizzare i giovani. Al momento sembra che tale istanza non abbia sviluppato ulteriori evoluzioni, ma nulla è ancora da escludere.
Una vicenda che rischia di essere strumentalizzata
In realtà, l’intero music video si presenta come un’aspra critica alla società attuale, alle piattaforme social, la politica e la religione, toccando anche tematiche di rilevanza ambientale.
Michele Bernardi, disegnatore di quest’opera e matita storica dell’animazione nostrana che ha firmato, tra gli altri, anche gli audiovisivi di “Stai mai ‘cca“ dei 24 Grana, “Occhi bassi“ dei Tre Allegri Ragazzi Morti e “Reale“ di Colapesce, ha preso le distanze da qualsivoglia attacco alle istituzioni specificando come l’intento sia finalizzato alla sensibilizzazione su vicende drammaticamente attuali.
Una questione spinosa che ci auspichiamo si risolva nel migliore dei modi, ossia evitando azioni che finirebbero per assomigliare in modo preoccupante a censure.