25% | Una donna su quattro – Intervista all’autrice Erica Isotta

Erica Isotta è l’autrice di 25% | Una donna su quattro, testo con il quale accende i riflettori su un problema invisibile ma reale: il silenzio intorno all’aborto spontaneo.

Nel libro racconta la sua esperienza personale, di quel 13 Maggio dello scorso anno, in pieno lockdown, che le ha cambiato la vita. Di come sia diventata d’improvviso parte di una fredda statistica, ovvero di quella donna su quattro che non sa a cosa addebitare l’interruzione della sua gravidanza. Nel descrivere le sensazioni provate parla di tradimento da parte del fisico. La maggior parte degli aborti – in realtà – non è prevedibile, come ben evidenzia. 

Al dolore fisico e psicologico, tuttavia, se ne aggiunge un altro più subdolo, dettato dalla impossibilità di comunicare lo stato in cui si versa. Nessuno annuncia i propri aborti perché non si vogliono condividere silenzi imbarazzanti. Ma a volte le parole di conforto che si ricevono non aiutano. Si dice, di converso, che la scrittura sia terapeutica. 

Prima di annunciarlo voglio essere fuori pericolo“. Ma di che pericolo si tratta?

Del pericolo di un aborto spontaneo o di doverlo ammettere a voce alta? La cd regola delle 12 settimane sostanzialmente crea un vuoto informativo inerente una problematica di interesse diffuso tra le donne gravide e non.

L’aborto spontaneo per una su 4 è una percentuale altissima sulla quale occorre riflettere con coscienza. Erica lo fa partendo dall’analisi di alcuni tabù antichi, di matrice religiosa e non solo – come quello delle mestruazioni. Visioni che ritroviamo nei costumi, nelle pratiche quotidiane, nel cinema e nelle pubblicità. E poi c’è l’annosa questione fiscale, per la quale un assorbente non è considerato un bene di prima necessità ma di consumo, quindi assoggettato all’aliquota IVA più alta. 

Per approfondire meglio alcuni aspetti, di un libro che nel complesso trovo interessante e per molti versi educativo, ho scambiato qualche battuta con l’autrice.

Erica Isotta

25% | Una donna su quattro – Intervista a Erica Isotta

 

  • Nel libro “25 % | Una donna su quattro” affronti ed analizzi – da più prospettive ed in maniera argomentata – un tema complesso e per molti versi tenuto “nascosto” all’opinione pubblica: quello dell’aborto spontaneo. Perché, secondo te, una società moderna e fluida come quella occidentale conserva ancora gelosamente una forma di arretratezza culturale così devastante?

Il luogo comune di non annunciare una gravidanza fino a dopo il primo trimestre – quando il rischio di aborto spontaneo diminuisce drasticamente – può avere conseguenze indesiderate. Se i genitori non annunciano mai una gravidanza, potrebbero avere difficoltà anche ad annunciarne la perdita.
L’aborto involontario è una forma di dolore e trauma emotivamente intensa e molto unica, che spesso si verifica nella privacy e nel silenzio. Poiché non si parla molto di aborto spontaneo, le aspettative delle donne sono che andrà tutto bene. Ci si sente colpevoli, affondate dalla vergogna di un corpo che ci tradisce

 

  • Nell’indagine delle cause fai una panoramica sui tabù che ad ogni latitudine, con una propria specificità, originano un doloroso silenzio. Molti di questi trovano le proprie radici in una fede religiosa. Quali cambiamenti secondo te dovrebbero mostrare le istituzioni religiose per riuscire a supportare le donne che vivono la tua stessa esperienza?

Non mi sento di avere le competenze per discutere la posizione o il ruolo che dovrebbero prendere le istituzioni religiose. Mi sento però di dire che non abbiamo mai avuto un tale accesso alle informazioni come al giorno d’oggi. Questo ci permette di poter sviluppare le nostre opinioni con molta più coerenza rispetto al mondo che ci circonda. Facendo questo, possiamo decidere in che modo vivere la religione e la spiritualità prendendo ciò che ci arricchisce, vivendole in un modo nuovo. Non c’è un solo modo di vivere la religione e la propria spiritualità, come non c’è un solo modo di essere femminista, mamma, donna – che è poi il messaggio del libro.

 

  • A proposito di supporto, nel racconto degli eventi denunci la carenza di supporto psicologico da parte delle istituzioni sanitarie: la tua condizione sembrava non essere di particolare interesse per il personale medico sanitario, che si è limitato a confermare un freddo dato statistico. Che tipo di interventi potrebbero essere predisposti, a livello normativo, per migliorare l’attuale situazione?

Sebbene vi sia un crescente riconoscimento del fatto che l’aborto precoce rappresenta una significativa esperienza di perdita che spesso provoca depressione e ansia, l’insoddisfazione delle donne per alcuni aspetti dell’assistenza ricevuta dagli operatori sanitari rimane alta. Tendiamo a definire l’interruzione involontaria come semplice fenomeno fisico, quando in realtà ha un forte impatto sulla psiche. Un intervento che potrebbe essere proposto è, per esempio, una prima seduta di psicoterapia consigliata direttamente dal personale sanitario, che esso sia l’ospedale o il ginecologo curante.

 

  • Informare è importante ma lo è anche comunicare in maniera corretta. Tu evidenzi come, a volte, anche le persone a noi care – loro malgrado – non riescano ad essere concretamente d’aiuto. Le parole sono pietre e saperle dosare è fondamentale. Una campagna informativa all’interno delle istituzioni scolastiche, ad esempio, può porre un argine? Come si potrebbe contrastare l’odiosa “regola delle 12 settimane prima dell’annuncio”?

Mi sono posta più volte questo quesito. Cosa farei di diverso se restassi incinta adesso? Riuscirei ad annunciarlo prima delle dodici settimane o la paura mi metterebbe all’angolo? Poi mi ripeto che nella vita serve avere coraggio, serve lottare per gli ideali in cui crediamo. Quindi sì, penso proprio che la rivoluzione – se così possiamo chiamarla – dovrei farla cominciare proprio da me. Come Women Plot, la mia associazione, stiamo già agendo per parlare all’interno delle scuole. Questo tabù si colloca purtroppo all’interno di una più vasta categoria che vede le donne in silenzio, senza la possibilità di esprimere la propria voce, raccontare la propria storia.

  • Restando in tema lotta, da femminista convinta sei delusa, in un certo senso, dal velato disinteresse del movimento relativamente alla problematica della perdita del feto. Una delle ragioni rilevi sia addebitale al linguaggio e alla definizione di Mamma – Non Mamma. Se sia corretto o meno parlare di bambino o limitarsi a parlare di embrione. Non definire per evitare di fornire un assist argomentativo alle donne pro-life, anti-choice. Esiste una possibile strada da percorrere?

Come sottolineo nella conclusione del libro, non c’è un solo modo di essere femminista – soprattutto non ci sono le brave femministe e le cattive femministe. Così come non ci sono le “vere donne” e “tutte le altre”. Non sono una femminista delusa. Sono una femminista, e basta. Una donna può e deve scegliere secondo quale libertà vivere la propria femminilità, maternità e femminismo.

  • C’è un momento in cui dichiari di esserti sentita tradita dal tuo fisico. Cosa vorresti dire oggi alle donne che – purtroppo – si sono trovate o si troveranno a vivere il tuo stesso dolore?

Vorrei dire a tutte le donne che siamo i giudici più negativi con cui avremo mai a che fare. La pressione estetica esiste – ma parte da dentro. Vorrei dire a tutte che ci meritiamo di stare bene con noi stesse, dentro e fuori. Io mi sento incredibilmente grata per quello che il mio corpo mi permette di fare – dal momento della mia nascita fino ad adesso il mio cuore non ha mai smesso di pompare sangue all’apparato circolatorio, i miei polmoni mi hanno sempre permesso di respirare autonomamente e via dicendo. Non vivo più ogni giorno come una sconfitta, ma come una benedizione.

  • Da uomo ho trovato particolarmente interessante l’argomento, di cui ignoravo determinati aspetti. Come possono contribuire, scongiurando ulteriori ferite, i partner, gli amici e le persone di sesso opposto?

Sai, Salvatore, mio marito mi ha chiesto la stessa cosa e trovo che, per quanto assurdo possa sembrare, la risposta sia univoca. Il vero aiuto che possiamo dare a chiunque stia soffrendo o passando un momento difficile è l’ascolto. Dobbiamo far sentire ogni persona in grado di avere uno spazio dove poter raccontare la sua storia senza temere ripercussioni o giudizi. Dobbiamo essere più gentili l’uno nei confronti dell’altro. Non esiste una classifica delle sofferenze, anzi ogni dolore è unico.

  • Last but not least: dove è possibile acquistare il tuo libro?

Il mio libro è disponibile su www.womenplot.com e su Amazon.

 

Salvatore D’Ambrosio

Erica Isotta

 

Erica nasce a Milano nel 1992. Curiosa e spontanea fin da piccola, al compimento della maggiore età decide di cominciare a viaggiare e scoprire il mondo. Arriva così a trascorrere gran parte dei suoi vent’anni all’estero, collezionando timbri sul passaporto e avventure indimenticabili. Nel 2014 pubblica il suo primo libro, “Portami con te”, una lettera d’amore non a un uomo, ma bensì ai suoi viaggi che non la fanno mai sentire sola. Successivamente, nel 2018, pubblica il suo secondo libro “Quando Torni” con il supporto della casa editrice Edicusano, nella nuova collana relax. Nel 2020 fonda la sua Casa Editrice, Women Plot, per investire nelle donne e nel loro talento.

Napoletano, curioso, estroverso, ama il sud e la sua gente, la buona cucina, la letteratura, il cinema, la musica, il calcio ed il mare. Adora viaggiare

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