Loud & Clear, Spotify spiega la distribuzione delle royalties

I flussi economici generati dalla distribuzione digitale dei propri brani è, negli ultimi anni, una delle questioni più delicate ed oscure per gli artisti che pubblicano inediti.

Le royalties, tecnicamente, dovrebbero rientrare tra le principali fonti di guadagno per i musicisti, ma quasi sempre non è così. Spotify prova a fare chiarezza, per scollarsi di dosso accuse ed illazioni che la vedrebbero gestire l’offerta di catalogo musicale con enormi tornaconti personali. Nasce da questa necessità il nuovo portale Loud & Clear.

Questo servizio creato dall’azienda svedese snocciola statistiche ed esplica i principali concetti relativi a come si muovono i soldi nella galassia Spotify; attualmente è disponibile solo in in lingua inglese.

Ma resta, comunque, un’enorme domanda.

Spotify spiega come vengono distribuiti i proventi agli artisti?

 

La risposta è: no.

Interfaccia grafica user-friendly e scelte testuali ammiccanti introducono (oltre ai già ben noti concetti di differenze di royalties tra account free/premium e geolocalizzazione dell’ascoltatore rispetto al Paese di pubblicazione del brano) un nuovo shift nelle dinamiche di ripartizione. Spotify, infatti, tiene a spiegare come i proventi non vengano distribuiti in base al per-stream rate ma attraverso lo streamshare. In pratica, non paga garantendo cifra X per ascolti Y, ma suddividendo le “quote” dell’utenza complessiva in base agli ascolti generati. Si risulta, quindi, azionisti di Spotify e dei suoi circa 350 milioni di utenti con la quantità di ascolti dei brani come unico potere.

Loud & Clear

Excusatio non petita, accusatio manifesta, direbbero i latini.

Da anni Spotify è al centro di dibattiti perché non spiega in modo chiaro e preciso come sia possibile che gli artisti e le etichette si ritrovino il nulla (millesimi di euro per singolo ascolto, parlo per esperienza personale da publisher) nei rendiconti mensili; tale mancanza di collaboratività nel dialogo con i propri portatori di interesse sta generando fenomeni discografici dove si ripensa il paradigma delle distribuzioni digitali. Perché il discorso parte da Spotify ma può allargarsi (a vario titolo) a qualunque altra piattaforma di streaming, mentre quelle di download appaiono leggermente più eque.

Ne è un esempio la recente iniziativa dei Fine Before You Came attorno la pubblicazione del nuovo disco “Forme Complesse”.

Ma fino a quando il mercato spingerà verso apparati ormai consolidati di distribuzione digitale, sarà difficile modificare il (dis)ordine delle cose.

Ah, su Loud & Clear ci sono molte infografiche interessanti, create da designer bravissimi nel proprio lavoro. Ma penso proprio che per un artista emergente sia più una fonte di frustrazione che una vera informazione sapere che un ristretto pool di 870 artisti nel mondo genera più di un milione di dollari annui di royalties.

Spotify non è nuova a polemiche ed iniziative ambigue, eccone un esempio.

Spotify si prepara ad ascoltare le voci degli utenti

Giornalista | Creativo | Direttore di Scè dal 2018. Collaboro con diverse testate e mi occupo di ufficio stampa e comunicazione digitale. Unico denominatore? La musica.

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