Era previsto originariamente per la primavera del 2020 il nuovo disco di IOSONOUNCANE. Il terzo capitolo di questa storia artistica non ordinaria doveva giungere rispettando il solenne cabalismo di pubblicazione quinquennale, perché è del 2010 “La macarena su Roma”, del 2015 invece “DIE”.
Ci si è messa di mezzo una ben nota pandemia, un tour teatrale rinviato tre volte ed ora programmato al 2022, un contratto discografico importante firmato in buona compagnia. Perché la rinascita della label Numero Uno significa posizionare l’artista sardo in un roster dalla linea artistica interessante, con Colapesce, Dimartino, Neffa e La Rappresentante di Lista.
Ma sono considerazioni da sviluppare in un secondo momento: “IRA” è tra noi, disponibile all’ascolto dal 14 maggio.
“IRA” – Il nuovo disco di IOSONOUNCANE
Ci eravamo sbagliati. Tutti.
Il doppio singolo “Novembre/Vedrai, vedrai” rilasciato in coda di 2020 aveva, di fatto, gettato fumo negli occhi e nei timpani di affezionati ed addetti ai lavori. Il brano inedito si è rivelato essere nulla più che una canzone tenuta nel cassetto dai tempi della produzione de “La macarena su Roma”, mentre “Vedrai, vedrai” è un tributo a Luigi Tenco, doveroso nella misura in cui lo stesso nome del progetto è ispirato ad una canzone (“Io sono uno”) firmata dal cantautore prematuramente scomparso.
“IRA”, invece, si presenta con poche similitudini e sostanziali differenze rispetto alla musica che Japoco Incani ha realizzato fino ad ora: il concept torna a stringersi attorno a tre lettere (come nel precedente “DIE”), ma l’intero discorso musicale si estende per circa 110 minuti attraverso 17 composizioni. A fare i conti del salumiere, la quantità tra un disco e l’altra è quasi triplicata.
Ovviamente, quello che cambia non sono solo i numeri, ma è tutta la sostanza a segnare la differenza.
Come ascoltare “IRA”
Ho programmato l’ascolto di questo album nel weekend, con la stessa perizia e quel fremito d’entusiasmo di quando c’era da preparare nei minimi dettagli un appuntamento con una persona importante.
Ve li ricordate gli appuntamenti? Io no, e francamente mi sto anche dimenticando delle persone importanti. Ma questo è un discorso a parte, perché “IRA” di sicuro non si siede al tavolo a bere un gin tonic per disquisire amabilmente di tematiche d’arte col proprio fruitore, ma è esattamente come presentato nell’immagine di copertina: oscuro, arcigno, sfumato nei contorni ed ermetico.
È un lavoro nato tra il 2017 ed il 2018, che ha vissuto molteplici vicissitudini durante la fase di produzione ed i cui testi sono arrivati nel 2019. Vede la luce nel 2021, dimostrando come il tempo, per questo long play, sia solo una convenzione numerica che non inficia minimamente i concetti e le argomentazioni plasmate.
Le canzoni di “IRA”: i riferimenti musicali e testuali
Sul versante musicale, è come sparare da bendato e centrare comunque un bersaglio: c’è di tutto. Incursioni digitali ed analogiche si innestano, con approccio jazz, su fondamenta strutturate dal concetto più puro e primordiale di ritmo; c’è etnografia musicale, gospel e orientamento al primitivismo che permette, partendo dai minimi termini, di costruire impianti strumentali da pop progressivo con il 2021 sullo sfondo. Anche se ispirato da un quintale di generi musicali, il polistrumentismo di “IRA” non si riduce ad un nugolo circostanziato di categorizzazioni.
Su un altro sistema stellare della medesima galassia, ci sono poi i testi: IOSONOUNCANE afferma che, tecnicamente, i testi sono in lingua araba, inglese, francese e spagnola usufruendo della sintassi italiana. La realtà restituisce, invece, espressioni aliene (proprio nel senso latino di alius, alia, aliud): il lavoro sulla ricerca vocale spinto all’estremo distorce le lingue e le smonta della loro convenzionalità. Un lavoro poliglotta che punta ad un nuovo linguaggio; la voce è declinata a strumento in misura ancor più estrema dei campionamenti (più di trenta) realizzati ad esempio per “Stormi”.
Se nel classico film sci-fi c’era sempre un asteroide pronto a colpire la Terra, la sensazione dopo ben più di un paio d’ascolti è che “IRA” sia stato sparato da chissà quale pianeta giungendo intatto sulla Terra. È un disco impossibile da recensire.
Perché non si può recensire “IRA” di IOSONOUNCANE
L’affermazione precedente è motivata da un ragionamento dove il tutto è più della somma delle parti.
Per comprendere quanto più possibile determinate sfumature tecniche che incidono molto in “IRA” ci sarebbe bisogno di conoscenze da musicologo che non tutti abbiamo (quantomeno, io non ho). D’altro canto, le nozioni tecnico-teoriche non bastano ed è necessario affidarsi anche a quella sensibilità che contribuisce a cogliere l’essenza di queste canzoni, creando collegamenti concettuali insinuandosi nelle increspature.
Una critica degna di tale termine è preclusa alla maggior parte di noi comuni mortali. E forse lo sforzo collettivo per cristallizzare quest’opera la eleva anche dal giudizio proprio di Jacopo Incani.
Oggettivamente abbiamo a che fare con un disco più che valido, il cui punto di forza sta nella capacità di concretizzare molteplici soggettività. Ogni ascoltatore che approccia “IRA” può sviluppare il proprio, personalissimo processo di significazione in base agli strumenti che ha a disposizione. Ogni brano vive di un cuore concettuale proprio e la tracklist proposta è solo una fra le infinite alternative combinatorie a disposizione. È una catena potenzialmente infinita di canzoni nuclearizzate, che processate in modo diverso finiscono per dare output ogni volta inediti.
Non è urgenza espressiva, è volontà di plasmare una nuova grammatica e condividerla con un pubblico che non è passivo, non più.
Un parere personale su “IRA”
Al netto di questa lunga e tortuosa disquisizione, mi sento fortunato di aver ascoltato, analizzato ed approfondito “Cenizas“ e “Telas“ di Nicolas Jaar.
Non posso fare a meno di connettere lo spirito ieratico di queste due pubblicazioni del 2020 con il presente di IOSONOUNCANE: “IRA” si pone a metà strada fra le liturgiche digitalizzazioni di “Cenizas” e le celebrazioni della sperimentazione sonora più estrema presente in “Telas”. Questo nuovo disco che arriva dalla Sardegna mi piace e l’ho ascoltato (e quando possibile, ascolterò nuovamente) con grande piacere ed interesse, coinvolto ed incuriosito dalle scelte (definite dallo stesso artista “atto politico”) in merito alla quantità di brani presenti ed alla linea artistica scelta.
Una preferenza la riservo a “DIE”: in quelle sei tracce l’appartamento di stile pop veniva arredato nel modo meno convenzionale possibile. A me quello piace, scoprire come un linguaggio universalmente condiviso possa assumere colori e contorni inediti.
Di certo non mi precludo un avvistamento UFO a priori.
Soprattutto quando i dischi volanti portano canzoni di questo tipo.
Sperimentazioni che mettono in discussione il pop e l’elettronica: “Telas” di Nicolas Jaar