“Valley of the Gods”: un viaggio attraverso la solitudine

Con il ritorno del pubblico nelle sale cinematografiche, arriva in Italia il 3 giugno “Valley of the Gods”. L’uscita del film era prevista per lo scorso anno, ovviamente rimandata a causa dell’emergenza sanitaria che ci ha travolti negli ultimi quattordici mesi.

Nonostante il rinvio, il lungometraggio diretto da Lech Majewski vedrà la luce proprio nel posto che merita. La pellicola, a cui il regista polacco sembra essere particolarmente legato, vede sul grande schermo alcune note celebrità del panorama internazionale, come l’inimitabile John Malkovich e l’affascinante Josh Hartnett. Non dimentichiamo la fondamentale quota rosa, con la presenza di Bérénice Marlohe.

“Valley of the Gods”, prima ancora di essere disponibile agli spettatori, ha partecipato a numerosi concorsi cinematografici, i quali non hanno esitato a conferire all’opera svariati riconoscimenti. Tra gli altri, il nostrano Lucca Film Festival Europa Cinema ha consegnato a Lech Majewski una statuetta per la carriera.

Le aspettative sono dunque alle stelle.

VALLEY OF THE GODS | LA TRAMA 

 

Due i diversi e contrapposti mondi di “Valley of the Gods”. Uno, lo scenario povero, tradizionale e libertino del popolo nativo americano dei Navajo, tribù simbolo dei territori dello Utah e del Nuovo Messico. L’altro, lo sfarzo e lo spreco esagerato di denaro della classe sociale aristocratica. Proprio da questa ultima realtà proviene Wes Tauros, interpretato da John Malkovich, divenuto improvvisamente ricco grazie alla buona sorte.

Della sua vita e delle sue gesta decide di raccontare lo scrittore e copywriter John Ecas (Josh Hartnett). Questo suo progetto lo porterà, però, a scoprire non pochi segreti dell’uomo più facoltoso del mondo e a rivalutare la sua stessa vita.

L’UOMO, IL DENARO, LA SOLITUDINE

 

“Qualsiasi cosa l’uomo possa creare, non è mai sicura”

 

La contrapposizione tra questi due stili di vita pone lo spettatore davanti a dei quesiti. Qual è il modello “giusto” da perseguire e quale da evitare? Il mondo “commerciale” è davvero il peggiore?

Dalla visione del film, però, comprendiamo qual è la presa di posizione di Majewski, che predilige una visione più libera dell’esistenza, ma soprattutto lontana dal pensiero occidentale del “produci, consuma, crepa”.

Questa concezione diventa metafora del modo di interpretare il cinema stesso. Il regista polacco vuole allontanarsi dal mainstream, per portare il suo spettatore a viaggiare attraverso il tempo e lo spazio, ma con la propria testa, senza seguire diktat imposti.

VALLEY OF THE GODS

Con le scene ambientate nella villa maestosa di Tauros – in cui è immaginata persino la Fontana di Trevi – si pensa immediatamente ad una location del passato. Riferimenti a Fellini, ad Antonioni, ma soprattutto al Kubrick di “Eyes Wide Shut”. Un percorso, che dall’esterno porta all’introspezione e alla presa di coscienza della propria solitudine.

 

“Umore e destino non sono sempre concordi”

 

È l’essere umano, con le sue scelte giuste e sbagliate, il vero protagonista di “Valley of the Gods”. Il lungometraggio per la prima metà della visione mostra dei personaggi soli, abbandonati a se stessi e artefici del loro stesso destino. I brani musicali sono ancor più identificativi di questa storia di solitudine fisica e mentale, in cui riversano non solo i protagonisti, ma anche l’intera popolazione mondiale.

VALLEY OF THE GODS

Il film, però, si conclude con un espediente ottimista e dà uno straordinario potere a John, prototipo di essere umano qualsiasi. La sua penna è in grado di cambiare tutto: può disarmare, uccidere, far rinascere ed ha la potenza di essere superiore ad ogni cosa. Persino il magnate, a cui non manca nulla, ha timore di questo strumento.

Qui si cela il messaggio dell’intera pellicola: sebbene la società imponga ad ogni individuo di rispettare delle regole non scritte, la parola è l’arma più forte con cui conquistarsi il presente, il futuro e talvolta trasformare il passato.

In conclusione, l’avventura di “Valley of the Gods” si conferma piacevole, ricca di spunti di riflessione. Purtroppo, però, guardare il film da un piccolo schermo del computer fa perdere la vera magia e rischia di rendere la visione pesante. Proprio per questa ragione, la pellicola è decisamente più apprezzabile in una sala con un grande schermo. Abitudine che, finalmente, possiamo ricondividere ancora una volta. Da soli, ma, in uno strano modo, insieme.

Assunta Urbano

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