Dieci anni (e qualche mese) fa mi trovavo a Londra.
Dieci anni (e qualche mese) fa ebbi modo di scoprire James Blake, che in quel tempo era fresco di album d’esordio ed era investito dell’aura da next big thing della musica british. Il long play omonimo era caratterizzato da electro-ballad cupe; su tutte svettava “The Wilhelm Scream”; null’altro che la cover di un brano scritto dal padre e risalente agli anni ’60, smontata e ricostruita con un piglio da autore navigato, quando l’anagrafe riportava poco più di 22 anni.
Grazie allo stile immediatamente riconoscibile, una levatura artistica in ascesa ed esponenziali miglioramenti sul piano tecnico ed esecutivo, James Blake si è fatto strada a suon di album, di inediti e collaborazioni che l’hanno portato anche a conquistare un Grammy Award (con Kendrick Lamar).
Dieci anni dopo, arriva “Friends That Break Your Heart”, la sua quinta release in studio per Republic Records e Polydor.
James Blake – “Friends That Break Your Heart” – Recensione
Dodici tracce parzialmente disvelate nel corso dell’estate con la pubblicazione dei singoli “Say What You Will“, “Life Is Not the Same“ e “Famous Last Words“. L’imprescindibile (nella discografia contemporanea) apporto di featuring evade nella presenza di SZA, Monica Martin, JID e SwaVay; quasi un minimo sindacale, che non disorienta una parabola creativa caratterizzata da forte senso identitario e coesione. Quintali di coerenza che rendono decisamente complicato distinguere fra un album e l’altro.
In questo caso, non è un male: James Blake è James Blake. Il nuovo lavoro dimostra come sia possibile fare passi avanti verso la perfettibilità della linea inaugurata un (bel) po’ di tempo fa senza per questo appiattirsi e annoiare gli ascoltatori.
La capacità di assestare un pugno alla bocca dello stomaco vive di una bicromia molto ben definita: il blue delle atmosfere si accompagna al black del registro artistico impostato. Le strumentali fondono tessiture elettriche cariche di tensione (e mai invasive in termini di volumi e dinamiche del suono) con spaziosi respiri soul, armonie gospel e incedere urban.
Ogni elemento è al suo posto, ogni strumentazione (sia essa digitale o analogica) entra nel preciso istante che te l’aspetti. Scontato? No, ordinato. C’è metodo e dedizione, perché James Blake è prima di tutto un artista che vuole migliorarsi e per quanto possa esserci lavoro di cosmesi in studio di registrazione prendere certe note di “Say What You Will” significa che sei bravo. C’è poco da fare.
E la bravura sta anche nel vivere la propria comfort zone artistica regalando un lotto di canzoni che fanno atmosfera, che riescono ad isolarti dall’inferno del traffico cittadino in un pomeriggio che volge al termine in una bolla fatta di introspezione e intensità. A dirla tutta, ci sono quantomeno un altro paio di setting che riuscirebbero ad amplificare alla perfezione le vibrazioni di questo album: ognuno può disegnarsi il suo contesto ideale.
Nella selva oscura della soggettività che è la musica, riguardo a “Friends That Break Your Heart” c’è qualcosa di insindacabile: James Blake ha plasmato un disco valido, realizzando insieme ai suoi collaboratori un’opera di qualità. Nell’anno corrente è quanto di più raffinato mi sia capitato nei timpani, frutto di un lavoro certosino, cesellato in ogni misura trascritta sul pentagramma.
Fino a quando si procede così, sarebbe un grosso peccato disperdere le proprie energie nella sperimentazione. D’altronde, questi dieci anni non sono stati avari di soddisfazioni per James Blake.
James Blake ha realizzato una cover di “The First Time Ever I Saw Your Face” che è un colpo al cuore.