Tumbling Walls, Hipster Rock & Roll da Cracovia con furore

Tumbling Walls

Monuments Are Everywhere And I’m One Of Them (2018)

La band polacca “mette in scena” un debut album che, già dal titolo, è tutto un programma.

Andiamo per gradi, non necessariamente in modo ordinato.

Non sono riuscito a trovare un’etichetta che possa, in qualche modo, soddisfare i criteri di caratterizzazione per un complesso musicale. A tratti, molto decisi, mi hanno ricordato i The Killers prima maniera, quindi ho pensato fosse grossomodo alternative rock. Ma dopo quasi venti anni cosa ci può mai essere di “alternativo”? Sulla loro pagina facebook si definiscono, letterale: “Guitar-based Melodramatic Hipster Rock & Roll / Decadent Post-punk”. Devo dire che col senno del poi, ci sta tutto.

Nella sua accezione più sublime, il titolo del disco è secondo me un inno al qualunquismo d’autore: tutti potrebbero essere qualcuno, molti meno possono essere qualcuno raffigurato in (o con) un monumento. Partendo da qui e ragionando sul senso lato delle parole, si aprirebbero decine di filoni interpretativi, tuttavia il bello della musica è che va ascoltata con le orecchie, senza libri di sociologia sotto il braccio. Bypassiamo a piè pari ogni ingorgo psicologico e, come di consueto, pigiamo “play”.

The Government, Pt. 1 (Our Brains) altro non è che una intro con elementi percussivi particolarmente accentuati, sopratutto sulle prime battute del cantato. Bello anche il video che anticipa l’LP.

Gravity è un pezzo che “suona davvero”. La chitarra funk con una punta di distorsione in più e il ritornello melodico, particolarmente azzeccato ed orecchiabile, sono i tratti distintivi di questa probabile hit. Il tutto immerso tra i vari crescendo che si trovano nei quattro minuti circa di riproduzione. Ho la sensazione che avrà successo.

Miss Madness (Dream Song No. 1) parte con tastiera e chitarra che sembrano farci il verso in modo irriverente. Il basso è davvero una colla che tiene assieme la batteria con tutti gli altri, compresa la voce. Per quanto il ritmo sia allegro, il rigo di canto tende ad essere particolarmente scandito e andante al fine di armonizzare, idealmente, una possibile canzone d’amore a trecentosessanta gradi, dubbi e manifestazioni eccentriche incluse.

In Friction la parte interpretativa del cantante è ben sfruttata ma certamente ingombrante, a tratti inflazionata (e lo si percepirà in modo maggiore più avanti).

Tumbling Walls

Non ho, ahimè, molte parole da spendere su Sex On The Beach. Non ci vuole un linguista per capire dove verte la discussione, mi sento di dire solo: “Amme Capito!”. Che in dialetto campano vuol dire “abbiamo capito”. Non è retorica, lo direte anche voi alla fine del pezzo.

Plaster Cats Of Hipster Hearts è senza dubbio il brano migliore, forse non il più commerciale e commerciabile, ma il più rock allo stato puro. Tant’è che ricorda assai i The Doors e sfido chiunque a dire il contrario. L’ho vissuto in modo positivo inglobandolo nella categoria “omaggi”. Funziona. Comincio anche a comprendere il perché della vena attoriale così accentuata del cantante.

Murder Tango è parzialmente fuorviante, nel senso che il termine “tango” crea un’inconscia aspettativa. In primis il richiamo al genere c’è, ma è delicato, inteso come qualcosa che possa rompersi da un momento all’altro. Non mi ha rapito (ci speravo, il tango induce tale effetto), ma a parte questo, la canzone resta aderente alla lontana all’idea fumosa di “tango” che ha saputo generare. E diciamolo ancora una volta: “Tango”.

In The Government, Pt. 2 (Our Hands) non so se è lo show ad essere propedeutico per il pezzo o viceversa. In base ai punti di vista possiamo trovarci di fronte ad un risultato più o meno confortante. Ad ogni modo, il tappeto musicale cammina egregiamente, anche il messaggio sociale e culturale giunge forte a destinazione.

Dopo venti minuti di spettacolo forzosamente imposto, le orecchie, in completa autonomia, cercano altre “vibrazioni” che finalmente arrivano con la traccia finale. Exit Ghost placa gli animi e, unica variazione sul tema della produzione, accoglie leggera lo spettatore. C’è anche spazio per un piccolissimo intervento di voce in stile “ghost-track”, appunto, come se ce ne fosse ancora bisogno.

Tumbling Walls

Quasi tutte le tracce prevedono uno start con “strumento + motivetto” (spesso il basso) che sul lungo termine risulta banale, ma non più del fatto che, invece, tutti i pezzi finiscono “d’un tratto”. All’improvviso. A volte il trend viene preannunciato da una leggero rallentamento ma non è il massimo della vita, in rapporto soprattutto alla buona qualità del prodotto musicale in sé. Dato che in quanto ad ossimori pare non mancare mai nulla, vi dico che la nota dolente e allo stesso tempo il fiore all’occhiello della band è l’ego del cantante.

La voce è onnipresente pur non avendo grande estensione, potenza o timbro eccezionalmente distintivi. L’aspetto interpretativo, messo in evidenza praticamente sempre, subisce una naturale inflazione, lo ripeto. Tali caratteristiche aiutano ed hanno un significato diverso, più solido e coerente, in un live. Dopo i Rolling Stones sono pochi quelli che si sono cimentati in questo stile comunicativo riuscendo a portare a casa un giusto (?) successo in termini di risposta di pubblico. Come direbbe Woody Allen: “Whatever works”.

In conclusione. Gli strumenti e le sonorità essenziali non lasciano mai dei vuoti se non quelli previsti e resi necessari dalla partitura, con risultati molto positivi a mio avviso. Il groove marcato, ma non incessante e avvilente, genera un sussulto sufficiente a tenere alta l’attenzione e la godibilità delle canzoni. Probabilmente è questa la vera forza dei Tumbling Walls, assieme al messaggio sociale più volte sottolineato.

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Mario Aiello

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