I Kutso sono una band alternative nata nella magica capitale nel 2006. Molte cose sono cambiate in questi anni, tra cui la loro formazione. Il 28 settembre di questo 2018 è uscito il loro terzo album “Che Effetto Fa?”
Di questo e molto altro ne ho parlato con Matteo (M), il cantante, e Brian (B), il chitarrista.
Ne è venuta fuori questa interessantissima intervista del kutso che segue.
Ragazzi, largo ai convenevoli: che aspettative avete per questo tour di “Che Effetto Fa?”
M: In realtà non abbiamo aspettative. Speriamo di fare bene, che venga tanta gente e sparga il verbo. Insomma, speriamo che il disco piaccia.
A partire dal 2006, la formazione dei Kutso è cambiata due volte. Matteo, da cantante e anima del gruppo, quanto sei cambiato in questi anni? Quanto è importante per te avere un gruppo e non essere un “one man band”?
M: Questa è una bella domanda, che non mi ha mai fatto nessuno.
Non ho mai iniziato un progetto da solo, perché fondamentalmente sono un bambino. Mi è sempre piaciuta la dimensione gruppo. Io poi sono un rompicoglioni, un despota. Il mio è un gruppo alla Foo Fighters, dove c’è un fulcro. L’idea di gruppo mi ha sempre suggerito un’immagine di avventura. Devo dire che dopo tutto quello che è successo, ad un certo punto mi sono fatto anche delle domande. Però, poi, alla fine sono arrivati loro, con cui mi trovo benissimo. La domanda, quindi, possiamo rimandarla al prossimo giro.
B: O magari al prossimo disco!
Domanda rivolta alle new entries. Brian: come ti sei inserito in un progetto già avviato ma soprattutto come hai conosciuto i Kutso?
B: Noi ci siamo incontrati in studio, quando dovevamo lavorare sull’album “Che Effetto Fa?”. Lì ci siamo conosciuti io, Matteo e Luca Lepore. Matteo ci ha messo subito sotto e poi abbiamo deciso di continuare a lavorare insieme.
Il 28 settembre è uscito “Che Effetto Fa?”. Quando lo riascoltate, a voi “che effetto fa?” e che effetto dovrebbe, secondo voi, “fare” nei fan?
B: Pure questa è una bella domanda. Dovresti fare domande più facili (ride ndr). Le domande solite ormai le conosco, so come rispondere. Qui mi avete spiazzato. Vai, Matteo!
M: A me piace tantissimo. Io, tra i tipi umani, sono quello che crede in sé stesso. Infatti, tante volte, a posteriori continuo a vedere quelle cose mie che difendevo a spada tratta. E poi penso “ma cos’è sta schifezza? ero convinto fosse una figata”. Però, devo dire che la differenza con i precedenti è che questo disco è stato concepito in studio. Sono tutte canzoni scritte e arrangiate nello stesso periodo. Quindi, io sento questa omogeneità. Questo progetto è stato un salto in avanti. Aò, a me piace!
B: A me non piace.
(ridono entrambi)
B: Sinceramente, credo sia il migliore disco dei Kutso. Ora non voglio dirlo perché ci sono io. Come diceva anche Matteo, è un ottimo disco da tanti punti di vista, come i testi e gli arrangiamenti.
M: Anche le loro parti strumentali, ad esempio, sono più ricercate. I dischi precedenti erano strutturati in modo simile. Qui, invece, c’era proprio da trovare un’idea, magari anche non chitarristica. È stato difficile, soprattutto per noi che siamo abituati al rock.
Interessante è l’effetto che si ottiene se si toglie la chitarra. Si nota che è usata in modo più ricercato. Sono contento, perché nonostante questo cesellamento, i pezzi sono molto immediati. Siamo riusciti a non perdere la freschezza.
Probabilmente la canzone in cui mi ritrovo di più dell’album è “Disoccupato”. Sembra quasi che l’abbia scritta io. Ma non so scrivere canzoni e sono esattamente quella studentessa che sarà presto disoccupata. Partendo dal presupposto che fare il musicista è un vero e proprio lavoro, in un paese con la disoccupazione giovanile alle stelle, quali sono i rischi di una scelta come la vostra? Si prepara anche un piano di riserva?
M: Questa non è per il musicista, qua vuoi avere tu un consiglio (ride ndr).
Non mi dispiacerebbe qualche consiglio, effettivamente..
B: Una rosticceria, magari
M: Guarda, io lavoro completamente nella musica. Quindi, quando non suono, mi dedico alla produzione. Credo che bisogni stare attenti col piano B. Senza accorgertene, potrebbe diventare il tuo piano A. Vivendo, forse non ti accorgi che in quel piano A non ci stai credendo fino in fondo, e allora ti butti sempre più sul piano B ed il primo sparisce. Più che pensare al paracadute, che è sempre importante, bisogna capire quanto ci si sta impegnando sulla prima scelta. La musica è una guerra, un sacrificio. Seppure fossi figlio di papà, non è scontato che riesca ad ottenere risultati.
E poi si rischia di ricadere nel piano B e lamentarsi per tutta la vita.
M: Esatto. Insomma, noi non siamo la band che ha fatto il botto. Siamo ancora in una situazione in bilico. Ci sta chi occupa le case, noi per fortuna non stiamo così. All’inizio pensavo ci fosse un complotto con quelli che questo botto lo fanno davvero. In parte è vero, ma in parte credo sia proprio il caso. Sì, il caso. Chi ottiene successo è colui che si trova nel posto giusto al momento giusto ed ha la fortuna, musicale e testuale, che in quel momento colpisce più sensibilità possibili. La musica e i contenuti culturali sono imprese sfigate. Il fatto che sia un dato casuale scaturisce anche una buona dose di speranza.
Proprio a questo proposito. In tv, in queste settimane, sta andando in onda un noto talent show musicale. Secondo alcuni, questi programmi alimentano le illusioni dei giovani ma non danno nessuna possibilità concreta di emergere dall’anonimato. Per altri, invece, se usato bene può essere un buon trampolino di lancio. Voi cosa ne pensate?
M: Allora, l’essere umano…
B: Qua parte proprio la filosofia
M: …è affascinato dal successo. Il pubblico guarda colui che è rinomato ed è affascinato. Si entra in un meccanismo che è un baraccone che si autoalimenta. Non è importante la carriera che fai ma alimentare il baraccone. La pubblicità ai protagonisti degli ultimi anni porta sempre più fama ai talent stessi. Io non l’ho mai fatto, perché non mi va di diventare una pedina senza nessuna garanzia. Lo dico qui: se i Kutso faranno mai un talent è perché gli hanno detto che vincono e faranno quattro anni di promozione.
La gente media, e quindi mediocre, va dietro a queste cose qui. Come dico in “Disoccupato” : “La gente guarda ‘Amici’ e mangia maccheroni”. Sono buoni i maccheroni, però insomma. È come quando gli italiani vanno all’estero e mangiano cucina italiana.
B: Mi ha colpito questa, anche io vado a mangiare ai ristoranti italiani all’estero.
Questo era un brutto colpo…
M: È per questo che parlo io alle interviste.
Parliamo di Sanremo. Rappresenta ancora la canzone italiana o qualcosa è cambiato?
M: Noi siamo arrivati anni fa a Sanremo all’inizio di un processo che poi ha portato Lo Stato Sociale tra i big. Quando abbiamo fatto Sanremo era il periodo in cui l’indie stava a fa’ qualcosa. Poi in quest’anno e mezzo è successo di tutto. Il bello è che la gente ascolti musica anche senza l’ausilio dei talent. Vediamo questo cambiamento quanto durerà. Spero tanto. Ora si vedono ai concerti underground pure i coatti. Però, io sono contento, perché queste persone vengono influenzate. È un bel momento. La musica è cambiata in meglio negli ultimi cinque/sei anni. Sono tanti anni che suono e questo è uno dei momenti più floridi. Adesso c’è una scena. Adesso un gruppo di pischelli, ancora con i brufoli, prende e va a suonare a Milano. Finalmente! Anzi, peccato che ormai sia troppo grande, avrei voluto farlo anch’io!
Questa intervista è stata troppo seria finora. Penso sia il caso di farvi qualche domanda del kutso. La vita è sempre piena di enormi stranezze. Qual è la cosa più del kutso che vi sia successa?
M: Te ne ricordi qualcuno che faceva ride’?
B: Io ricordo un episodio che è successo a me. Terribile. Era il mio primo concerto con i Kutso, davanti a 5000 persone. Non mi era mai capitata una dimensione del genere. Succede che la mia chitarra inizia a perdere un pezzettino del capotasto. Mentre suono, mi rendo conto che manca una corda e di conseguenza mi si è scordata la chitarra. Quindi c’era Matteo che aspettava i miei accordi e io che per mezza strofa non potevo dargli l’attacco. Pensavo già a cosa mi toccasse dopo. Al tuo primo concerto ti succede questo, ti senti morire.
M: Infatti da quel momento cambia una muta di corde ad ogni concerto.
Prima di salutarci, vi chiedo un’ultima cosa. Qual è la cosa che più vi rompe il kutso in assoluto?
M: Ehm, il telefono che non prende. Cioè, il telefono che non prende mi fa proprio impazzire. Questo è il vero male del mondo, mica le guerre. Non mi state vicini quando il telefono non mi prende.
B: Una cosa che mi sta proprio sul Kutso? Quando non gli prende il telefono a Matteo!
Grazie mille, ragazzi. È stato fantastico fare quattro chiacchiere con voi. E io non ne avevo alcun dubbio. Continuate così, che siete una band con i controkutsi!
Assunta Urbano