La luminosa carriera dei Ponzio Pilates, in quanto tali, ha inizio più o meno cinque anni or sono. Dopo le fatiche dell’EP Abiduga (2016), è tempo per un long playing in uscita il 24 Maggio per Brutture Moderne. L’album si intitola Sukate, un agglomerato di nove tracce, tra canzoni (?) e musica da ballo (di che tipo non ha alcuna importanza). Qualcuno ad inizi anni duemila le avrebbe titolate “chansons pour le pieds”, ma i tempi sono molto cambiati. Resta la concezione goliardica volta al ritmo e al coinvolgimento tribale al fine di smuovere il corpo, più che la mente. Riesco a trovarci un sublime lato poetico in tutto ciò.

Sukate nasce grazie ad una raccolta di crowdfunding lanciata sul celebre portale musicraiser. L’appello dei Ponzio Pilates ha evidentemente funzionato, raccogliendo il necessario affinché la band del riminese potesse lanciare l’auto produzione in forma home recording ed affidare parte del lavoro in mano ai professionisti. Sul lungo termine la scelta, ovviamente, paga, soprattutto in quanto a resa sonora. Data la complessità di strumenti che spesso si trovano ad agire in contemporanea, non è una cosa da poco.
Ponzio Pilates – Sukate: le tracce.
La vena ironica viene subito messa in conto col titolo del pezzo che apre le danze: Disagio e Camagra. Sotto questo punto di vista non credo serva aggiungere altro, forse una chicca la lascio alla fine. Ad ogni modo, tutto è frenesia polistrumentistica. Eclettismo strumentale funzionale alla scelta di mettere in musica espressioni dal richiamo etnico-tribale. L’obiettivo è trascinare i corpi nel movimento.
Gamolla. Chitarre e ‘suoni’ sono il fulcro di incastri non così banali come erroneamente si potrebbe essere portati a credere. Basso canonico e tanta, ma tanta incomprensibilità vocale. Non che questo sia un problema, anzi. Non serve comprendere il verbo, è necessario afferrare il ritmo.
Bagarre. In una parola ‘acquatica’. Forse qualche ultra trentenne riconoscerà analogie melodiche con una hit Disney di tanto tempo fa. Il pezzo è più canzone, strutturata quasi come tale, nonostante sia una strumentale e, no, non c’è niente di sbagliato. Sarà un tratto distintivo dei Ponzio Pilates per tutta la durata del disco. Tornando al pezzo: riff di chitarra breve e martellante; fasi alternate tra calma e frenesia. C’è del serio in questa composizione.
L’insalata. Se non lo fosse già, potrebbe assurgere ad inno per i carnivori che allo stadio vomitano la loro insofferenza contro il vulnerabile vegano. “L’insalata dal panino toglierò. Fino a quando morirò, solo carne mangerò. L’insalata dal panino toglierò”. Ipse dixit. Interpretazione a sentimento chitarra e voce con stonature e, qui ci vuole, “brutture moderne” che, alla fine, quadrano.
Via di nuovo col ritmo forsennato in Vongole. Partendo dal presupposto che nulla c’entrano i molluschi, è l’aria di festa che domina la canzone. Questo è il bello, assieme ai vocalizzi, up tempo in progressione e frastuono sul finale. Caratteristiche per una festa di piazza che diverte.
Salomone. Altra strumentale. I brani più lunghi tendono comunque ad avere impostazioni simili tra loro, al netto dell’anarchia strutturale di fondo (voluta). Ottime le fasi di mazurca. Nell’insieme può essere tutto tranne semplice da suonare. Davvero. Pezzo che probabilmente prende vita da un esperimento vero o presunto in fase di registrazione. Un flusso di coscienza che marcia e a tratti coinvolge non poco.
Figamalapena. Un samba rivisitato, ma anche tanto direi. La punta di rock anni settanta dell’organo nei pochi contrappunti lascia spazio al filone di percussioni verso la tre quarti.
Watashi. In tutta onestà voglio credere che cantino veramente in giapponese. Come prima, se così non fosse il risultato resterebbe immutato. La funzionalità dello slang gode di ragion veduta. Forse è l’unica canzone pensata e scritta per esserlo. Gli strumenti viaggiano rodati e le citazioni di alcune celebri frasi prese da Mortal Kombat fanno effetto nostalgia.
Conclude Ciocobiscotto. Quasi dance ottanta, magari togliamo pure il ‘quasi’. Forse trattasi di una riproposizione in chiave moderna del concetto “balla che ti passa” promulgato fino a qui. Simpatico il rap, pure se non si comprende nemmeno una parola.
Perché non notare certi dettagli?
Come al solito, in chiusura, cerco di trarre delle brevi conclusioni su quanto ho appreso durante l’ascolto. Per i Ponzio Pilates ed il loro primo full lenght Sukate non è così. Voglio chiudere con una domanda che forse racchiude in sé il vero spirito della band ed il messaggio goliardico che vogliono lanciare. La domanda è questa: era realmente necessario tenere lo scroto in bella mostra nelle foto pubblicitarie per il disco?
Ci si diverte anche così!
Mario Aiello