Con questo commento all’ultimo dei Trees, prosegue la full immersion nei concept artistici firmati da band che vengono direttamente dagli anni novanta.
La compagine di origini napoletane ha pubblicato lo scorso Marzo il suo quarto LP, dal titolo Epilogue, per l’etichetta partenopea Vipchoyo Sound Factory. Una bella doppietta a favore di pubblico dallo spirito identitario, nonostante forma e contenuti dei Trees siano molto distanti da qualsiasi affisso pronosticabile. Tant’è che sono apprezzati anche fuori dai confini italici.

Breve premessa.
La band nasce a Napoli nel novantatré ed io, napoletano dell’ottantaquattro, ammetto la totale ignoranza nel merito. Sarà questo antefatto formale ad aggiungere qualche spunto in più per l’approfondimento al disco. I vari “chi”, “quando” e “perché” sulla loro storia, li lasciamo per motivi tecnico-tattici alle informazioni fornite dal sito ufficiale.
Serve però sapere che Epilogue è figlio di una reunion avvenuta solo un paio di anni fa, dopo almeno due lustri di “vuoto”, durante i quali i componenti del gruppo hanno preferito dedicarsi a progetti musicali paralleli.
Come esplicitamente dichiarato dagli stessi Trees, i generi a cui fanno riferimento sono la darkwave e lo shoegaze. Sul primo non si possono muovere obiezioni e già dalle prime note si consolida la visione d’insieme tipica del genere, senza doversi mettere a cercare ulteriori etichette. Canto nel canonico inglese. A posto così.
Trees – Epilgoue: panoramica sulle tracce.
A Winter Tale è la canzone che apre il sipario. Siamo di fronte ad una sorta di intro ideologica che propone immagini descrittive tra visione e realtà. Il grigio di un racconto d’inverno, caratterizzato dal suono della pioggia battente. Un trasporto fatto di chitarre, voci e suoni. Il fine è quello di portare l’ascoltatore da un punto A ad un punto B, sfruttando il delay sulle note della sei corde, oltre all’aria rarefatta né malinconica né triste. Mi viene in mente il termine “cosciente”. Mi auguro possa suggerire le stesse sensazioni anche a chi legge.
Un pizzico di pepe arriva sulle prime di A Good Reason To Go, poi tende a sfumare. Il brano numero due di Epilogue mette in vetrina l’uso intelligente del basso, atto a mitigare l’ampiezza della melodia. Riff semplice e facile da ricordare. “Nessuna ragione per restare è una buona ragione per andare”. Il trafiletto rimanda presumibilmente all’attimo prima dell’epilogo, appunto, di una fase di vita. Il momento in cui tutto si ferma e si cercano dei riferimenti per chiarire a sé stessi come orientarsi di lì a poco.
Girls Love Poets è il singolo che i Trees hanno scelto per accompagnare l’uscita del disco. Gli elementi per fare da apripista ci sono quasi tutti: arpeggi di chitarra clean, orecchiabilità tipica del genere (prendere con le molle), struttura canzone abbastanza chiara e definita, testo che si presta a ben poche interpretazioni forte del formulato causa-effetto pratico nella forma ma ben più complesso negli intenti.
Secondo estratto uscito in Maggio è invece Shut Not Your Door. Video a corredo e profilo coerente al contesto. Cambia qualcosina con la chitarra acustica e il taglio lievemente più “solare” (parolone). Non basta a sovvertire il senso di ripetitività cronica dettata dall’uso di costrutti verbali uguali tra loro. Io che adoro le allitterazioni mi sarei rifugiato in un sapiente uso della figura retorica. In definitiva sono scelte quasi obbligate, al limite dello ‘scolastico’, se comparate al genere di riferimento.
Giro di boa.
Silent Calling è un ossimoro emblematico. Nonostante rappresenti per me uno dei brani più riusciti, è anche manifesto di un’impronta fino a qui forse troppo monotematica. Pochi i sussulti, ma l’equilibrio tra fasi strumentali e cantate funziona appoggiandosi con decisione ad un rigo melodico interessante, modulato sulla progressione armonica che sa farsi apprezzare in alcuni determinati passaggi.
Malice è una delle due canzoni dei Trees che presenta il testo più ricco di particolari. Tracce definite di un incontro dai connotati eterei. Filtro che traspare sensazioni molto confidenziali.
Out Of The Blue. Purtroppo devo constatare che raggiunto questo momento della riproduzione, comincia a manifestarsi un tiepido sintomo di sofferenza creativa. Personalmente sono attratto dalle variazioni e probabilmente il pregiudizio ha inficiato le valutazioni portandomi a cattive interpretazioni. Soprattutto a fronte di un testo zeppo di metafore e senso allegorico.
The Boy Ecstatic. Nemmeno il tempo di dire quanto prima ed ecco che qualcosa sposta gli equilibri al penultimo canto di Epilogue. Piccolo sussulto per dinamiche ed approccio che aiuta a destarsi dalla linea comoda percorsa e trovare ‘nuovi’ appigli sui quali far leva. È cosa buona e giusta. Stavolta la lirica è appena accennata e, nei sette minuti abbondanti di canzone, sembra lasciare la scena al testo. Vi invito a cercarlo per una lettura approfondita.
Nubian Sun altro non è che un saluto formale, di facile ascolto, senza infamia e senza lode.
È la somma che fa il totale.
Epilogue dei Trees è uno di quei dischi che inconsciamente ti fa scegliere il modo in cui può essere vissuto: uno, ponendo attenzione al significato dei testi, sezionando le parole ed osservando le metafore che ci mette davanti; l’altro invece, lasciandosi trasportare dalle onde musicali. Io l’ho vissuto proprio così, totalmente concentrato sulle frequenze sonore. Perso tra melodie e allusioni ritmiche. Sono felice che sia andata così.
Con questo presupposto Epilogue si allinea in toto ai concetti fondamentali della darkwave e ne tira fuori qualche venatura non proprio scontata, valutando in primis la questione che questi non sono certo gli anni d’oro del genere. La discriminante in casi analoghi è sempre in mano al pubblico. Per fortuna i Trees affinano tutto il resto corrispondendo un prodotto di ottima fattura.
Mario Aiello