Gli uomini d’oro, il crimine degli uomini travet

Arriva oggi nelle sale cinematografiche Gli uomini d’oro, la crime story firmata dal giovane regista Vincenzo Alfieri. Tratto da un fatto di cronaca realmente accaduto, il film è ambientato in una cupa e grigia Torino anni ’90. Due autisti delle poste passano le loro monotone giornate a trasportare carichi di soldi da un punto all’altro della città. Un vecchio furgone scassato è il loro ufficio, la scorta della polizia i loro unici colleghi.

Giampaolo Morelli, Fabio De Luigi e Edoardo Leo sono gli attori principali. Perfettamente calati nel ruolo di uomini senza sogni, intrappolati nella loro triste routine, riescono a staccarsi la solita maschera da comici calzando perfettamente i panni dei personaggi di un film del crimine decadente.

Più degli altri, sorprende e incuriosisce Fabio De Luigi (nel film Alvise) nella parte di uno stanco e soffocato uomo medio. Oltre il suo essere “medioman”, insomma, c’è molto di più. Sarà, infatti, proprio Alvise a proporre al fastidioso collega napoletano Luigi (Giampaolo Morelli) di scambiare i soldi nel furgone con della semplice carta e tentare la fuga con il bottino.

Quella che appare come una semplice provocazione si tramuta nella pianificazione di una rapina. L’orchestrazione del colpo, però, fa il verso al crimine perfetto di narrazione statunitense. La ricerca del piano infallibile è sempre intaccata da una vita decadente, dal timore di non farcela, dalla paura di fallire.

A guidare il sogno di una vita nuova, insomma, non ci sono professionisti ma semplici uomini. Le scene di preparazione alla rapina lasciano maggior spazio alla narrazione del vissuto dei protagonisti principali: Luigi, il playboy che sogna la pensione per evadere in Costa Rica, Alvise, il padre di famiglia che non sorride mai e, infine, il Lupo (Edoardo Leo), migliore amico e socio in affari di Alvise, un uomo tanto rude quanto incapace di agire da solo.

Gli uomini d'oro

Gli uomini d’oro di Vincenzo Alfieri

La storia scorre e si arricchisce ripartendo sempre da zero. Vincenzo Alfieri, regista ma anche sceneggiatore e montatore, sceglie di dividere il film in 4 capitoli: ogni singola parte ha il suo diverso protagonista. La ripetizione, scelta obbligata se si racconta la stessa trama ma da punti di vista diversi, non appare mai noiosa ma sempre funzionale a sottolineare quella battuta, quella inquadratura in più come tasselli aggiuntivi e necessari del quadro narrativo generale.

Vincenzo Alfieri, sicuramente molto attento alla parte visiva del film, non tralascia nemmeno la parte sonora. La musica è un’altra forte componente della pellicola. Beat dopo beat, sonorità elettroniche e disco dance raccontano, per contrasto, una realtà cupa e decadente che, però, ora sogna il risvolto, il successo. La colonna sonora di Francesco Cerasi cerca e riesce a cucirsi perfettamente all’interessante, a volte sperimentale, montaggio di Alfieri.

Gli uomini d’oro è, quindi, un interessante lavoro e lo è per aver dato spazio e realizzazione agli uomini “Travet”, quel sostantivo che usa Meo Ponte, giornalista della Repubblica nel lontano ‘96, per raccontare la rapina delle poste di Torino.

Travet è “esponente del basso ceto impiegatizio, misero nell’aspetto, monotono nelle abitudini di vita e di lavoro, patetico nella scrupolosa osservanza del proprio dovere”. Così ci dice il Dizionario di lingua italiana Le Monnier. Travet, invece, per Vincenzo Alfieri sono Gli uomini d’oro: dei miserabili uomini medi che osano sognare in grande ma senza mai crederci realmente.

 

Federica D’Auria

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