I Nitritono sono un duo del cuneese. Potremmo fermarci qui e viaggiare per ore sulle immagini di bruniti cioccolatini al rum. Ma, ora che abbiamo risvegliato l’acquolina in bocca, vale la pena soddisfare anche l’udito? Direi proprio di sì e per certi versi cadrebbero a pennello anche i famosi cuneesi, quelli di pasticceria intendo.
Siro Giri alla chitarra e Luca Lavernicocca alla batteria compongono il sistema binario su cui ruota la forte e proclamata propensione alla Noise di stampo viscerale, quella del “cosa percepisci” che supera il “cosa senti”. Pochi suoni, tanta musica. La strana coppia rompe con fierezza il canone mefistofelico, che in genere prevede siano basso e batteria ad unirsi in promiscui demoniaci, lanciandosi in una proposta “viva e vibrante” (Cit.). Le declinazioni che ne derivano sono chiare e coerenti, eppure diversificate nel senso interpretativo. Ma, in tutta onestà, ormai nulla ci sorprende, figuriamoci la sola forma. Puntiamo dunque al succulento contenuto.
Nitritono: Eremo
A tre anni dal precedente Panta Rei e, a breve, sulla soglia del decennio di attività in giro per date e spettacoli, i due soci di ventura dei Nitritono si immergono in una realtà bucolica lontana e distante al fine di assimilare il concetto di fondo che darà poi vita al nuovo Eremo.
L’album, formato da sei pezzi di lunghezza e spessore diversi tra loro, fa suo il principio di “rumore” dal richiamo stilistico di inizio millennio, mescolando linee armoniche fruibili e innesti frenetici. Il velo Rock, il passaggio Ambient, ma anche psichedelico in alcuni frangenti, amplia l’orizzonte di ascolto promuovendo se stesso ad un pubblico diverso rispetto alla solita nicchia di genere. I contesti potrebbero essere davvero disparati, non trovo uno scenario specifico in cui non poter far suonare questo disco. Per l’approccio melodico delle tracce più estese, non mi stupirei di risvolti più commerciali, nel senso buono del termine. Anche perché I Nitritono con Eremo di certo non puntano a tale obiettivo. Tuttavia non guasterebbe.
Così il crescendo ansioso e ritmico in Re Di Pietra apre le danze. Sembra non finire, fino a quando, esasperato dal proprio carico emotivo, il pezzo si risolve sul finale mentre il pugno duro si fa sentire forte e cadenzato. Una percossa morale dei Nitritono, nonché misurabile in Hertz. Il transito verso Samos è studiato per far tornare la calma sfruttando dissonanze e sentori di una psichedelia d’autore anni settanta. Stavolta la canzone tende ad aprire su ampi spazi di sinusoide, nonostante le dinamiche ritmiche serrate.
Quasi un tappeto rosso per la successiva Passo Di Terre Nere, che sfrutta sapientemente un riff melodico e malinconico di altri tempi, probabilmente pure altro stile. Fatto sta che l’arpeggio con coppie di note trascina imperterrito come vento di burrasca. Strutturalmente l’orecchio non sente la mancanza di altri strumenti, in quanto preso dalla convergenza emotiva. Pensato con dedizione e sviluppato con solerzia, in barba alla durata medio-lunga dei circa sei minuti dedicati che non si percepiscono come tali.
Il trafiletto di Hospitales separa ciò che i Nitritono hanno fatto prima e dopo questi 56 secondi di empasse. La coda di Eremo, è coerente al messaggio fin qui veicolato, ma con Bric Costa Rossa prima e Costa Da Morte feat. Petrolio dopo, viene fuori la sfumatura mite e puramente Noise del duo. Il featuring per fortuna è uno di quelli additivi, che aggiungono cose buone, non i soliti accostamenti di parole su titoli piuttosto che di idee su musiche. Premio “raucedine dell’anno” alla voce che riesce ad imprimere un tono disperato e graffiante nei momenti in cui si fa viva. Ed è un vanto di quelli seri, senza sarcasmo.
Eremo comunica stati d’animo così, sulla scia delle impressioni e lo fa nei trenta minuti circa di riproduzione.
Nitritono – Intervista
1. Il duo nasce nel 2012. Primo disco Panta Rei pubblicato nel 2017. Tante date e spettacoli da allora. La voglia di isolarsi immergendosi nella natura incontaminata, come avete dichiarato, rappresenta la conseguenza di quanto accaduto fino a qui o la causa che ha portato alla stesura di Eremo? In tal caso, c’è una relazione con il lockdown dei mesi scorsi?
Per noi passare dei momenti in solitudine è un qualcosa di necessario, una sorta di bisogno. Con questo non siamo persone asociali, anzi, ci piace andare ai concerti, fare serate con gli amici e conoscere altre persone quando siamo in trasferta. Almeno fin quando si poteva fare. Ma il richiamo della natura, di ciò che è incontaminato, lontano dal ritmo frenetico delle città è diventato negli anni un bisogno necessario. Nel silenzio riusciamo davvero a riallineare i pensieri, a ritrovare un po’ di pace.
Con la nostra musica cerchiamo di mettere a nudo quelle che sono le nostre emozioni, cercando di essere il più possibile diretti e senza usare mezzi termini. Dopo la stesura dei pezzi (nati comunque dopo un periodo abbastanza difficile), ci siamo resi conto che esprimevano quel rapporto di ‘calma/caos’ molto affine a quella che proviamo quando ci isoliamo in spazi naturali lontani dal mondo. Da qua, l’idea di intitolare i brani con luoghi che sono a noi cari e il disco “Eremo”.
2. Quanta fatica costa pensare alle composizioni facendo leva, in fase creativa, unicamente su chitarra e batteria (parzialmente anche la voce), dovendo poi trovare una quadra più articolata e propositiva alla forma discografica interagendo con produttori che magari non hanno partecipato al concepimento dei brani? Restando coerenti con l’idea di fondo che Eremo non tradisce mai per tutta la sua durata, nemmeno nel featuring con Petrolio.
Suonare in duo ha sicuramente dei vantaggi per quanto riguarda l’intesa fra i musicisti, perché (se c’è la ‘chimica’) si viene a creare un dialogo biunivoco in cui ci si comprende a vicenda molto a fondo. Basta un piccolo gesto, un accenno per capire un attacco.
Dall’altro lato però il duo presenta tutta una serie di problematiche legate all’arrangiamento dei brani perché il range di frequenze che andranno a coprire due strumenti sarà sempre inferiore a quello che si può fare in tre o più musicisti. Abbiamo lavorato davvero molto tempo per riuscire ad ottenere un sound che avesse le caratteristiche del duo, senza però lasciare ‘zone scoperte’. Questo lavoro non si è limitato alla strumentazione, ma proprio sugli arrangiamenti dei brani; dall’idea grezza del brano dobbiamo sempre trovare i giusti compromessi per far funzionare tutte le voci con equilibrio, a volte rinforzando, altre volte svuotando.
Per questo disco siamo arrivati in studio con le idee molto chiare sul sound che volevamo ottenere in registrazione (ossia, il sound che avevamo già in sala prove). Non ci sono state difficoltà nel lavoro. Il mixaggio e il master li abbiamo affidati a Lucynine (Sergio Bertani) che ci segue sin dai primordi del progetto, per cui aveva ben chiaro il tipo di suono da ottenere come risultato finale.
3. Di solito quando ci si approccia ad ascolti dichiaratamente “Noise” bisogna destreggiarsi tra sample e “rumori” spesso derivanti da forzature che sul lungo termine risultano stucchevoli. Eremo invece “suona”. Avete dovuto cedere a compromessi o possiamo dire che la componente Noise, in questa produzione, non è poi così predominante?
Fondamentalmente non abbiamo mai suonato Noise allo stato puro. La componente rumoristica è un elemento da sempre presente nei nostri pezzi, ma non l’unica e neanche la predominante. Accanto ci sono venature doom\sludge, alcuni accenni di psichedelia, sicuramente una matrice metal (abbiamo entrambi un’adolescenza alle spalle passata a suon di Slayer e Pantera). Dopo anni, onestamente non siamo ancora riusciti a definire il nostro genere, forse il termine che più si avvicina è experimental – metal, che però è un calderone in cui confluisce davvero di tutto e di più.
4. Passo Di Terre Nere, a mio avviso è il pezzo con il connotato “canzone” più marcato. Il riff è avvolgente e si ricorda con facilità. Curiosità personale: come è venuto fuori? Qual è stata l’ispirazione che ha portato alla scrittura?
Nato da un’improvvisazione, poi a poco a poco ha preso forma ed ecco il brano. Molto semplice ed istintivo se così possiamo dirlo.
Tutti i nostri brani nascono improvvisando liberamente in sala prove, poi le idee che ci convincono maggiormente le registriamo e dalla registrazione grezza iniziamo a lavorare per dare una forma al pezzo, curarne i dettagli, gli arrangiamenti e, se decidiamo di inserirla, le parti vocali. “Passo di terre nere” è nata esattamente con questa prassi; dopo una sera di jam in sala prove. Questo brano ci ha dato un po’ di filo da torcere per la struttura, inizialmente durava quasi un quarto d’ora, ma risultava pedante e l’interesse nell’ascolto calava molto prima della fine. L’obiettivo era di cercare di mantenere la ripetizione mantrica della melodia, ma senza far mollare la tensione al brano. Speriamo di essere riusciti nell’intento.
5. Eremo sembra diviso in due momenti ben distinti. Il primo con Re Di Pietra, Samos e Passo Di Terre Nere. Mentre il secondo composto dalle restanti tre tracce: Hospitales e il binomio Bric Costa Rossa e Costa Da Morte. È solo una suggestione? Se così non fosse, spiegateci come si legano tra loro i brani.
In realtà “Eremo” è un disco in cui tutti i brani sono legati assieme. Come nei “Quadri di un’esposizione” di Musorgskij, questo disco sono sei diapositive sonore di luoghi che hanno lasciato un segno dentro di noi.
“Hospitales” rappresenta una sorta di sospensione nel disco, un brano fugace di pochi minuti e molto minimale. Per cui, probabilmente, questa impressione di un disco bipartito nasce proprio da questo dettaglio.
Mario Aiello